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Bartolomn^eo Gapasso. Perciò, or- gogliosi d'aver finito a stampare nel trascorso anno i Monumenta ad Neapolitani Ducatus Historìam pertinentia, raccolti e dottamente illustrati da lui, gli chiedemn^o d'assentire che la Strenna portasse il suo nome. €d avutane cortese licenza, ripubbli- chiamo La Casa e La Famiglia di Masaniello, due suoi scritti, cl^e editi in pochi esemplari, soqo di- veduti più che rari , introvabili. Il chiarissimo Hutore, per an2or nostro, si compiacque accre- scerne il pregio, ritoccandoli ed ampliandoli ; e < j^ V V > > noi, a renderli più graditi, vi a||iun|emn2o figure in fototipia delle persoi^e e dei luoghi memorabili. € vi aggiungemmo pure il ritratto del Capasso , nella certezza ct^e i lettori della Streni^a saranno lieti di serbare l'immagine dell' uon2o illustre, che nei Monumenta fece rivivere le glorie antiche di napoli , e nella Casa e nella Famìglia di Masa» niello , dipinse i dolori , e qarvò la riscossa del popolo napoletano. Napoli — Capodanno iS^j. Giuseppe & Nicola Giannini A. A < > V V > ejaZKDJt^JO m l' Ì^KK0 1893 < GENNAIO ^ 1 D. Gire, del Signore 2 L. 8. Spiridione 3 M. B. Genoveffa v. 4 M. 8. Tito Tese. 5 O. s.Tele8foro p. e m. ^ V. Epifania del Sign. 7 S. 8. Luciano m. ^ 8 D. 8. Maria del Princ. 9 L. 8. Marcellino v. 10 M. 8. Agatone p. 11 M. 8. I^no p. e m. 12 O. 8. Tiziano m. 13 V. s. Leonzio v. 14 S. 8. Potito m. ^ 15 D. 88. Nome di Gesù 16 L. 8. Marcello p. e m. 17 M. 8. Antonio abate 18 M. Catt di 8. P. in R. 10 O. 8. Catello V. 20 V. 88. Fabiano e Seb. 21 S. 8. Agnese y. e m. ^ 22 D. ss. Vinc. ed Anast. 23 L. Sponsal. di M. V. 24 M. 8. Timoteo v. e m. 25 M. Conver. di s. Paolo 26 O. 8. Policarpo ▼. 27 V. 8. Giov.Cnsostomo 28 S. 8. Giuliano y. ^ 29 D. 8. Frane, di Sales 30 L. 8. Martina v. e m. 31 M. 8. Pietro Nolasco FEBBRAIO ♦ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 ^ 12 13 14 15 1(5 17 18 ^ 19 20 21 22 23 24 25 ^ 26 27 28 M. 8. Ignazio V. e m. G. Punflcazione di Ma- ria SS. V. 8. Biagio y. e m. S. 8. Andrea Corsini D. 8. Agata V. e ro. L. 8. Dorotea y. e m. M. 8. Romualdo abate M. 8 Giov. de Matha G. 8. Cirillo V. ales- sandrino V. 8. Scolastica v. S. 8. Castrese v. D. 8. Modesto Levita L. ss. Martiri Giapp. M. 8. Valentino m. M. Le Ceneri, ss. Fau- stino eGiovitamm. G. b. Onesimo V. 8s.Fau8tinoeccm. s. s. Simeone v. e m. D. 8. Barbato ▼. L. 8. Eleuteriov.em. M. 8. Massimiano v. M. Catt. di s. P. in Ant G. 8. Pier Damiani V. s. Mattia apostolo S. 8. Felice III pont D. 8. Margh. daCort L. 8. Leandro v. M. 8. Romano abate HÀfiZO 1 M. s. Eudossia 2 G. 8. Simplicio p. 3 V. 8. Cunegonda imp. 4 S. 8. Casimiro e. ^ 5 D. 8.Gio.GiU8.d.Croce 6 L. 8. Coletta v. 7 M. 8. Tom. d'Aquino 8 M. 8. Giovanni di Dio 9 G. 8. Frane. Romana 10 V. ss. Quaranta mm. 11 S. 8. Costantino e. ^ 12 D. 8. Gregorio p. 13 L. 8. Niceforo v. 14 M. 8. Matilde regina 15 M. 8. Longino m. 16 G. 8. Ciriaco m. 17 V' 8. Patrizio V. e e. 18 S. 8. Gabriele arcan. ^ 19 D. s.Giueeppesp.dM. 20 L. 8. Cirillo V. geros. 21 M 8. Benedetto ab. 22 M. 8. Caterina di Sv. 23 G. ss.Felice e cc.mm. 24 V. 8. Simeone m. i 25 S. Annunziaz. di M. ^ 26 D. (f. P. B. Castolo m. 27 L. S. 6. Giov.Damasc 28 M. S, 8. Sisto III p. 29 M. S. 8. Eustasio ab. 30 G. & 8. Giov. Climaco 31 V. 5. 8. Balbina v. APRILE MAGGIO ♦ 1 S. iS^. 8. Teodora m. ^ 2 D. Pasqua di Risurre- zione 3 L. 8. Riccardo v. 4 M. 8. Isidoro v. 5 M. 8. Vincenzo Ferr. 6 G. 8. Celestino p. 7 V. 8. Saturnino v. 8 S. 8. Amanzio v. 9 D. 8. Maria Cleofe 10 L. 8. Apollonio m. 11 M. 8 Leone I p. e d. 12 M. 8. Giulio papa 13 G. 8. Ermenegildo m. 14 V. ss.Tiburzioecc.m. 15 S. ss. Basilissa e An. ^ 16 D. 8. Giulia m. 17 L. 8. Aniceto p. e m. 18 M. 8. Eleuterio v. 19 M. 8. Leone IX papa 20 G. 8. Agnese v. 21 V. 8. Anselmo v. e d. 22 8. ss. Sotero e Cf^o ^ 23 D. Patroc. di s. Gius. 24 L. 8. Fedele da Sigm. 25 M. 8. Marco evang. 26 M. s.M. del Buon Cons. 27 G. 8. Maria Egiziaca 28 V. 8. Paolo d. Croce 29 S. s. Pietro martire ^ 30 D. 8.Severo v. di Nap. 1 2 3 4 5 L. M. M. G. V. t 6 S. 7 D. 8 9 L M. ♦ ♦ 10 M. 11 G. 12 V. 13 S. 14 D. 15 L. 16 M. 17 M. 18 G. 19 V. 20 S. 21 D. 22 L. 23 M. 24 M. 25 G. 26 V. 27 S. ^ 28 D. 29 L. 30 M. 31 M. ♦ 88. Filippo e Giac. 8. Attanasio v. e d. Invenzione d. Cr. 8. Monica 8 Pio V papa 8.GÌ0V. av.p.Latina 8. Stanislao v. e m. Appar.di s.Michele 8. Gregorio Naz. v. 8. Eustachio v. Ascensione d.Sign. ss. Nereo e cc.mm. 8. Giovanni Silenz. 8. Pomponio V. 8. Simplicio V. e m. 8 Giovanni Nepom. 8. Restituta V. em. 8. Venanzio ro. 8. Ivone avv. de*p. 8. Bernardino da S. Pentecoste 8. Emilio m. 8. Eufebio V. 8. M. Aus. de*Crist. 8. Maddalena deT. s. Filippo Neri e. s. Giovanni papa SS. Trinità 8. Massimino v. 8. Ferdinando re 8. Petronilla v. ♦ ♦ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 ^ 11 12 t 13 14 15 16 17 ^ IS 19 20 21 22 23 t 24 ^ 25 26 27 28 ^ 29 30 G. Corpus Domini V. 8. Marcellino m. S. 8. Clotilde regina D. 8. Fran. Caracc. L. 8. Bonifacio v. M 8. Norberto v. M. s. Paolo V. e m. G. 8. Massimino V. V. Ss. Cuore di Gesù S. 8. Massimo v. D. 8. Barnaba ap<>st L. 8. Giov. das-Fac. M. 8. Antonio di Pad. M. 8. Basilio V. e d. G. 88. Vito e ce. mm. V. s.Giov. Fran. R^gis S. b.Paolo c.d*Arezzo D. b. Pietro da Pisa L. s. Giuliana Falcon. M. 8. Silverio papa M. 8. Luigi Gonzaga G. 8. Paolino V. V. 8. Ediltrude reg. S. Natività di 8. Gio- vanni Battista D. 8. Guglielmo ab L. 88.Gio.e Paolomm. M. 8. Crescente v.e m. M. 8. Leone II p. e e. G. Ss. Ap. Pietro e P. V. Comm. di s. Paolo < A. A. V V y < WLIO 1 S. 8. Aronne ^ 2 D. Yisitaz. di M. V. 3 L. ss. Eulogio e ccm. 4 M. s. Udalrig^o ▼. 5 M. 8. Mich. de*Santi e. 6 O. 8. Tranquillino 7 V. Ded.d. Catodi Nap. 8 8. 8. Elisabetta reg. ^ 9 D. 8. Cirillo ▼. e m. 10 L. 8. Amalia y. 11 M. 8. Lorenzo da Br. 12 M. 8. GioY. Gualberto 13 O. 8. Anacleto papa 14 V. 8. Bonaventura v. 15 S. 8. Enrico imper. 4» 16 D. SS. Red., 8.M. d. C. < 17 L. 8. Alessio e. 18 M. 8. Federico ▼. e m. 19 M. 8. Vino, de Paoli e. 20 O. 8. Girolamo Emil. 21 V. 8. Macrina t. 22 S. 8. M. Maddal. pen. ^ tSJ). s. Liborio y. e e. 24 L. 8. Cristina y . e m. 25 M. 8. Giacomo apost. t 20 M. 8. Anna M. di M. V. 27 G. 8. Pantaleone m. 28 V. ss.Xazarìo e ce. m. 29 S. r. Marta v. ^ 30 D. ss.Abdon e Sennen 81 L. 8. Ignazio Loyola OTTOBRE ♦ 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 10 17 18 19 20 21 4» 22 23 24 25 20 27 28 4^ 29 30 31 D. Festa d.Ss.Rosario L. ss. Angeli Custodi M. 8. Gherardo abate M. 8.Franc. d* Assisi e. G. ss.PUcido e ccm. V. s.M. Fr. d. 5 Piaghe S. 8. Maria d.Vitt<>ria D. Maternità d. B.V. L. ss. Dionigi e ccm. M. 8. Frane Borgia e. M. 8. Ludovico Bert. e O. 8. Pulcheria imp. V. s. Eduardo re S. s. Fortunata v. D. Purità diM.V. L. s. Callisto p. e m. M. s Edwige regina M. 8. Luca evang. G. s. Pietro d^Alc. e. V. s. Giovanni Canzio 8. 8. Ilarione abate D. F.d.B.V.titAgoniz. L. 8. Giov. da Capistr. M. s. Raffaele arcang. M. ss.Gavino e ce. m. G. 8 Evaristo p. e m. 8. Fiorenzo m. 8S.Ap.Sim. e Giuda s. Zenobio e. s. Massimo m. V. s. D. L. M. s. Narciso v. AGOSTO ♦ ♦ ♦ M. 8. Pietro in Vincoli M. 8.Alf. M.de Liguori G. 8.AsprenoI.v.d.N. V. 8. Domenico e. S. 8. Maria ad Nives D. Trasf. di N.S. G.C. L. S.Gaetano e. M. 88. Ciriaco e ce. m. M. 8. Romano m. G. 8. Lorenzo m. V. 88.Tiburzio e Sus. S. 8. Chiara v. D. 8. Filomena v. L. bb.Mart. d*Otranto M. Assunzione di m.v. M. 8. Giacinto e. G. 8. Anastasio v. e e. V. 88.Agapito e Lauro S. 8. Ludovico y. D. 8. Gioacch. p. di M. L. 8.Giov.Pr. Fremiot M. s8.Timoteo e ccm. M. 8. Filippo Benizi e G. 8. Aurea v. e m. V. 8. Bartolomeo ap. S. 8. Patrizia v. D. SS. Cuore di Maria 28 L. 8. Agostino v. e d. 29 M. Decoll. di s. GJov. 30 M. 8. Rosa da Lima v 31 G. 8. Raim. Nonnato ••••••■•*■•••••■■••••■•••■••••••••■■■«••••••••••• 1 2 8 4 5 7 8 9 10 11 12 13 14 15 IO 17 18 19 ^ 20 21 22 23 24 25 20 ^ 27 NOVEMBRE ♦ ♦ 1 2 3 4 5 7 8 9 10 11 ^ 12 13 14 15 IO 17 18 ^ 19 20 t 21 22 23 24 25 ^20 27 28 29 30 M. Tutti i Santi G. Commem.de*Morti V. 8. Silvia S. 8. Carlo Borromeo D. 8. Zacc. e 8. Elisab. L. 8. Leonardo e. M. 8. Emesto abate M. 8. Goffredo v. G. 8. Agrippino v. V. 8. Andrea Avellino S. 8. Martino v. D. Patrocinio di M V. L. 8.Stani8lao Kostka M. 8. dementino m. M. 8. Geltrade v. G. ss. Ruffino e ce. m. V. 8.Gregorio v. e e. S. Dedicd.Bas. di s.P. D. 8. Elis. reg. d*Ung. L. 8.Felice di Valois M. Presentaz. di Maria Vergine M. 8. Cecilia v. em. G. 8. Clemente papa V. B.Giovanni d. Croce 8. 8. Caterina v. e m. D. S.Pietro Alessandr. L. 88. Basileo e ccm. M. 8.Giac. d. Marca e. M. s. Saturnino sen.m . G. s. Andrea apost ♦ ♦ 1 2 3 4 5 7 8 9 ^ 10 11 12 13 14 !5 10 ^ 17 ♦ 18 19 20 21 22 23 ^ 24 25 20 27 28 29 30 SEnEMBRE V. 8.MarìadiMontey. 8. 8.Stefiuiored*Ung. D. 8. Simeone Stilita L. 8. Candida seniore M. 8. Candida Juniore M. 8. Rosalia v. G. s. Lorenzo Giust V. Natività di M. V. 8. 8. Sergio papa D. SS. Nome di Maria L. 88.Proto e Giacinto M. 8. Silvìno V. M. 8. Ligorio UL G. Esaltaz. d. Croce V. 8. Nicomede m. 8. 88. Cornelio e Cipr. D. Dolori di M. SS. L. 8. Gius, da Copert. M. 8. Gennaro p di N. M. 8. Eustachio m. G. 8. Matteo apost. V. 8. Tomm. a. Vili. 8. 8. Lino p. e m. D. 8. M. d. Mercede L. 8.M. di Cervell. v. M. 88. Cipriano e Giust. M. 88. Cosmo e Dam.m G. 8. Venceslao m. V. Dedicaz. di 8. Mi- chele arcangelo S. 8. Girolamo e. e d. ••*•••••••••••##««•••«■■•■■■•••■•■••••••■••••* DICEMBRE ♦ ♦ ♦ 1 2 3 4 5 7 8 9 10 11 12 13 14 15 10 17 18 19 20 21 22 23 ^ 24 ^ 25 20 27 28 29 30 ^ 81 ♦ V. 8. Elisio V. S. 8. Bibiana v. D. 8. FrancSaverioc. L. 8. Barbara v. e m. M. s. Sabba abate M. S.Nicola di Bari v. G. 8. Ambrogio v. V. imm.Conc di M.V. 8. 8. Leucadia v. e m. D. 8- Melchiade papa L. 8. Damaso papa M. s. Sinesio m. M. 8. Lucia V. e m. G. 8. Agnello abate V. s.Viuerianov.em. 8. Patroc di s. Genn. D. s. Olimpia L. E%peta.PartodiM. M. 8. Fausta m. M. 8. Filogonio V. G. 8. Tommaso apost. V. 8. Zenone m. 8. Viff. del S. NaUle D. 8. Eugenia v. e m. L. Natività del Sign. M. 8. Stefano Protom. M. 8. Giovanni apost. G. ss. Innocenti mm. V. 8. Tommaso v.« m. S. 8. Sabino v. e m. D. s. Silvestro papa > < j< A. } y y ■ y- y > U GASA E LA FAMIGLIA DI MASÀNIELLG RICORDI DELLA STORIA E DELLA VITA NAPOLITANA NEL SECOLO XVII PER BARTOLOHMEO GAP ASSO < < J< A V />&,/ f^,^^ v-./fi > V < A /v -;.XUD COLi> '<^ ( JUL 11 1910 \ JL > A. < A- > y v < NOTIZIE i ùm optre ineie pneipnaiiieDtt adopente in qiiiti IMi > La rivoluzione di Napoli del 1647-48, per la singolarità ddle persone che la iniziarono o m presero parte, e per la va- rietà e Vattrattiva de^ drammatici episodi di cui fu ricca, pro- dusse tale profonda impressione ndVanimo di chi assistette allo straordinario avvenimento , e di tutti i contemporanei , che moltissimi vi furono, napoletani e forestieri, nobili e popolani, dotti ed indotti, di ogni classe e di ogni condizione, i quali vollero, scrivendo di quello, lasciarne duratura memoria ai po- steri . Lungo quindi è il catalogo delle €pe>'e su questo argo- mento, sì in prosa che in versiy si in varie lingue che nel na- poletano dialetto, le quali furono dividgateper le stampe; mag- giore forse è il numero di quelle che giacciono tuttora pólve- rose e neglette negli archivi e nelle puòbliche e private biblio- teche. Or, senza pretendere di voler fare una bibliografia di tali opere, io credo util cosa dar qui qualche cenno di talune di esse , che sono tutt^ ora inedite e poco conosciute , e che sono state da me principalmente adoperate nelle narra^oni che se- guono. Cosi U lettore potrà di per sé apprezzare il valore sto- rico di ciascuna ed io non sarò obbligato a descrivere parti- colarmente qualunque manoscritto tutte le volte, che mi occor- rerà allegarne la testimonianza. Esse dunque , disposte per ordine alfabetico, sono le se- guenti. < A. A V V > < I. Anonimo. « Racconto della sollevazione di Napoli accaduta nel 1647 , distribuito a Giornali, sino al tem- po che furono introdotti gli spagnuoli, incominciando dal 7 luglio 1647 e finisce al 6 aprile 1648. Dippiù si ag- giungono altri successi derivati daUa stessa sollevazione, che durano fino all'anno 1655, 3 giugno, » Con questo titolo o altro simile ndh pubbliche e private biblioteche si trovano molte copie manoscritte di un Diario della rivoluzione del 1647 e delle sue conseguenze. Esse cominciano con le parole : Dovendo far racconto di alcuni particolari accaduti : e sono piti o meno estese o complete , quali con addizioni, quali senza. Per la maggior parte non hanno al- cun nome di autore, ma soltanto qualcuna con manifesto ar- bitrio del copista erroneamente nel frontespizio è stata attribuita a Giuseppe Donzelli, V autore delV opera sullo stesso argomento, stampata col titolo: Partenope liberata. Questo Racconto o diario, secondochè ho potuto rilevare da un manoscritto origi- nale che m' è capitato fra le mani, procede da tre compila- zioni diverse. La prima è opera di un tal Marino Verde, prete di S. Antimo ^) che, a quanto rilevo dal detto manoscritto, non dovette protrarre il suo lavoro oltre il 27 febbraio del 1648. Venuto poscia questo nelle mani del nostro benemerito d. Ca- millo Tutini, fu da lui, corretto, interpolato ed accresciuto con moltissime giunte, e prolungato forse fino a' 6 aprile dd 1648. Dico forse , perchè il manoscritto da me posseduto è monco della fine e s'arresta al racconto d^ fatti di quel giorno. Da una postilla di carattere dello stesso Verde ho rilevato il nome delVautore e Vepoca in cui egli scrisse, che fu tra il 1651 , ed il 1652. Dopo dd 1656 un ignoto amatore di patrie memorie rescrisse V opera del Verde ; ma o perchè il manoscritto , che ^) In un piccolo Ms, del tempo di poche carte in 8, che da me si conserva, ed è intitolato: Memoria de los rebeldes, que fueron en Francia, y vinieron sobre la ar* mada francesa, y residieron en Roma, y los que se volvieron a este re3aio despues del indulto general, il Verde dicesi di Giugliano, e che finjio de ser fìel vasallo y acudia à la yglesia de S. Iago de los espafioles en Roma. > A -A. V V étòe era mancante , o perchè gli parve troppo diffuso per i tempi posteriori al 4 ottobre 1647, o per altre particolari ra- gioni, forse anche disparte, che io non saprei ora affermare , da quel gimmo in poi lasciò il racconto del Verde, e proseguì la storia con trascriveì^e il manoscritto di Aniello della Porta, di cui pile innann parlerò, riducendone la narrazione a gior- nali , modificandone spesso i giudizi. Così parecchie copie del Racconto giungono fino al 1665. Il Ms. originale, corretto e continuato dal Tutini, che io posseggo è in fól. non cartolato. Tanto il Verde quanto il Tutini sono nella loro compi- lazione apertamente avversi agli Spagnuoli, ma non a' nobili, ed in molte circostanze si dimostrano non amici dd duca di Chiiisa. Contuttodò, se il giudizio è alquanto passionato, i fatti peìv sono sempre esposti con verità ed esattezza. « Devesi ren- « der sicuro il lettore, afferma il Verde, che quanto si narra « in questo racconto con sincerità e fede viene da me riferito, « poiché a gran parte di quello occorse fui presente , e con « grande esattezza da me osservato, in altre raccolsi da per- « sorte di autorità veritiere relazioni , e , per narrare ogni « minuzia , notai giorno per giorno tutti li successi , dando « campo con questi Diurnali a pellegrini ingegni di tessere « una formata storia e veritiera ». Oltre a ciò , nel margine del manoscritto originale il Tutini rettifica o cangia le cose che da lui per maggior diligenza, erano state trovate false o poco esatte. In somma questo Diario è un bellissimo riscontro di quello del Capecelatro, pubblicato dal principe di Belmonte, nel 1860, poiché comunque Vuno fosse di un partito diverso dall'altro, pure nessuno altera i fatti, ed ambedue si spiegano e si com- pletano a viceìida. Esso é specialmente singolare per le minute e particólarizzate narrazioni delle fazioni di guerra combattute tra gli Spagnuoli e i popolani nel mese di ottobre 1647, che il Capecelatro nel suo Diario con dispiacere protesta di omet- tere, non avendo per la sua lontananza da Napoli potuto a- veme diretta notizia ( V. Diario t. IL p. 15). Una copia qua- si sincrona di questo Ms. secondo la redazione del Vei'de, ma < > < A A. V V > < che finisce ai 4 ottóbre 1647 conservavasi dalV egregio abate d. Vincenzo Guanto, ed ora trovasi nella biblioteca Municipale di Napoli segnata nel Catalogo dei Ms. 20-3-2. n. Anonimo. Racconto della sollevazione di Napoli del 1647. Ms. sema titolo del 1760, di e. 206 in 4. presso di mei Comincia: 1631 Dal governo del signor Co. di Mon- terey, ecc. e finisce nel 1649 colle parole: V avesse il viceré fatto morire. Seguono indi dice Note , una dei Napolitani venuti in Napoli con V armata francese nel 1648, e Valtra dei Capipopoli che furono in Napoli durante la rivoluzione. Si ag- giungono in ultimo fatti del 1648 e 1649. Questo Diario, di cui non si conosce l'autore , certamente contemporaneo , ci dà parecchie notizie o circostanze che non si trovano in altri scrittori dello stesso avvenimento. È scritto però seny ordine e confusamente, secondochè i fatti alV autore venivano in mente, e vi sono aggiunte in margine, o interpolate nel testo, parec- chie note ricavate dalla Partenope liberata del Donzelli. Pu- ranche ne esistono parecchi esemplari. in. Campanile Giuseppe. Diario di Giuseppe Campa- nile circa la soUevazione della plebe di Napoli degli anni 1647-1648, con addizioni d'Innocenzo Fuidoro. Ms. in fol. di carte scritte n. 82 presso di me. Dopo un breve discorso del Fuidoro : Alla Posterità, comincia : Successo al governo di questo regno e finisce: pietra fondamentale della sua santa fede, S. Pietro apostolo. Sotto il nome del Fuidoro si nasconde Vincenzo d'Onofrio, che avendo trovato il manoscritto del Campanile, noto genealogista del secolo XVII, con molte lacune o carte lasciate in bianco; manoscritto già dallo stesso Campanile dato al Marchese di MontesUvano , si prese cura di trascriverlo fedelmente ed aggiungere quelle notizie, che, come testimone anch' egli di veduta, conosceva circa gli avveni- ìnenti dal medesimo Campanile narrati. U opera è piena di aneddoti e scritta con sufficiente giudizio ed imparzialità. IV. Della Monica Tizio. Historia della rivoluzione di Napoli dell'anno 1647 del dottor Tizio della Monica. Ms. > < A. _A V V < autografo in fól. di e. scritte 663 presso di me. Comincia, dopo la dedica alV arciduca Leopoldo d'Austria, ed un discorso ai lettori: Stando a diporto in una mia collinosa vignetta.., e finisce nel ìnaggio 1660 con le parole: Viceré havemo in Napoli de la giustizia è per tutti, nemico della nobiltà. L'autore , come rilevai da molti luoghi del libro, intervenne spesso alle cose, che giorno per giorno notava in uno stile assai rozzo e sconnesso, ed è minuto ed imparziale nel racconto. Abi- tava nel borgo dei Vergini. V. Della Poeta Aniello. Causa di stravaganze ovvero Compendio historico delli rumori e sollevazioni e dei suc- cessi nella città e regno di Napoli dai 7 gennaio 1647 sino a giugno 1655 opera del dottor Aniello della Porta divisa in 4 parti. Il Ms. da me posseduto è legato in 3 voi. in 4.^ — Molte copie esistono di questa opera che già fu ampiamente de- scritta dal eh. Minieri'Riccio nel Catalogo dei Mss. della sua biblioteca P. 7, n. 4, p. O-JSd. L'autore di essa, del quale il Mi- nieri non si occupa, era un forense ed aveva un fratello che serviva, come capitano riformato, il cattolico padrone, del quale egli, lo storico, si dichiara cos'animo devoto vassallo. Abitava dietro la porta piccola di S. Domenico Soriano, e soffrì parecchi danni dalla parte del popolo. Difende quindi spesso gli Spagnuóli ed il Dìica d'Arcos dalle accuse dépopolari. Il Ms. è specialmente curioso per le composizioni poetiche dettate in quel tempo e dal Della Porta trascritte nella sua opera. VI. FumoRO Innocenzo (d' Onofrio Vincenzo). Successi raccolti della soUevazione di Napoli dalli 7 Luglio 1647 fino aUi 6 Aprile 1648 per Innocenzo Fuidoro. H mano- scritto in fól. di carte 270 con figure rappresentanti vari perso- naggi delVepoca inserite nel libro trovasi nella biblioteca del Grande Archivio di Napoli. Comincia: « Dal Governo del Con- « te di Monterey, ecc. e finisce: della quale (cattolica e san- « ta Fede), l'augusta e religiosissima Casa d'Austria vive « e viverà sempre fino alla fine del mondo, gloriosissima « difenditrice ». > A. A. V V > — 8 — « Scrisse pure un secondo voluììie, nel quale (Continuò il rac- conto fino al 1663 e lo intitolò: Successi storici raccolti del Governo del Conte d'Ognatte, viceré di Napoli, dal mese di aprile 1648 per tutto il 20 novembre 1653, che successe al governo di questo regno il Conte di Castrillo. Un esem- plare di questo secondo volutile, dello stesso carattere del primo conservato ndV Archivio di Stato , ed anche con figure, trovaci nella biblioteca del Principe di Fondi in Napoli, ed un altro dello stesso secolo XVII sema figure di e. 464 in fól. conservasi nella biblioteca Najs^ionale; ed è segnato X — B — 45. Vn. PoLLio d. Giuseppe. Historia del Regno di Napoli, Revolutione dell'anno 1647 insino al 1648, scritta dal R. d. Giuseppe PoUio, napolitano. Ms. probaòilmente autografo, certo originale di carte scritte n. 329, che conservasi nella bi- blioteca Nazionale di Napoli, (X — B — 7). Comincia : Sono leggi infaUibili, e del testo evangelico.... finisce SI Giovedì (Giugno 1648); s'intende che fosse differenza a S. Seve- rino; e poi neW altra carta: fine dell'ultima impkessione? Devesi però avvertire che l'opera realmente nel f. 327 ar- riva al 19 novembre 1648, e che se finisce col 21 giugno^ ciò pro- venne da un errore di chi legò il libro; il quale, essendo le carte in origine non numerate, introdusse molta confusione nei qua- derni di esso, e malamente pose in ultimo un foglio che an- dava collocato prima. Si noti pure che il racconto in molte parti è duplicato , ripetendosi di nu^vo con poche varianti quel che si era già scritto altrove; U che spiega la dicitura dd- Vultima carta, che accenna ad una seconda recensione dd- Vopera. Alcune notizie intomo alla vita ed alV opera del Pollio, oltre quelle a^sai scarse cJie si ricavano dalla stessa narrazione di lui, per fortuna ci sono state tramandate da Giuseppe Campanile, nd Diario, di cui sopra ho parlato. Secoìido qu/esto scrittore, il PóUio abitava ndla strada degli Armieri, e nd gennaio del 1648 servi per cajrpdlano al Duca di Tursi, che, preso pri- gioniero dal popolo, fu per qualche tempo trattenuto nella casa < > < A. A V > < del dottor Marco Maresca, posta in qìieUa via. Dopo la quiete dd regno, il PoUio, con la protezione del detto Duca di Tursi, ottenne un canonicato nella cattedrale di Lucerà; ma, avendo avuto contesa con quel vescovo, volle andare in Ispagna per rinunciare il beneficio nelle mani dd Be. N^ ebbe in cantbio una pensione in Sicilia di annui scudi 200, e fu nominato cappellano dd conte d^ Ayala, viceré di quel Begno. Poscia tornato da colà, essendo stabilite ed assentate le cedule ddla sua nomina, se ne morì in Sicilia, verso il 1660 ^). Il Cam- panie ci attesta, avere il Pollio scritto in un grosso volume i Successi del Regno nel 1647-48, i quali venduti dopo la sua morte dal fratello ad un libraio chiamalo Donadio Pel- legrino, furono da costui donati al reggente D. Fdice TJUoa, che se li portò in Ispagna. Lo stesso Campanile afferma pure, aver avuto in sorte di tenere in poter suo parte dell'originale borro di questi Diarii a lui data dal medesimo libraio, e que- sto probabilmente è lo stesso esemplare che ora trovasi nella biblioteca Neuronale. Il libro dd Pollio, comunque scritto assai goffamente, è importante per gli aneddoti e per talune circostanze, che non si ricordano da altri scrittori contemporanei, e che egli, come sacerdote, come compare ddV Eletto del popolo, e come abitante di quella parte ddla Città, (yifera il focolare ddla sollevatone, poteva facilmente e meglio degli altri conoscere. Egli protesta narrare le cose con verità o per aver visto coi proprii occhi, o per averle intese da persone degne di fede. E difatti V ingenuità e la schiettezza dd racconto ne dimostrano la sincerità, ed U Campanile stesso, suo contemporaneo, ci a^ssi- cura aver trovato assai confronto di verità in moltissi- me cose. Vm. Oltre le storie del Tarsia, del Buragna, o dd- VEguia, già pubblicate per le stampe, esistono parecchie altre rela- zioni di questi avvenimenti scritte da spagnuóli, o in linguai spa- 1) V. Di Blasi Stor. cronoL dei Viceré di Sic, t. IT. p. II. pag. 336. > < X A "V V > — 10 — gnuóla^ che sono tuttora inedite. Una raccolta di esse fatta in un volume intitolato : Relaciones de los tumultos dela ciu- dad de Napoles desde el ano 1647 basta el 1648, di carat- tere del tempo e di e. scritte n. 185 conservasi presso di me. Sono alcune lettere di un gentiluomo della viceregina e di un d. Michele de Miranda, provveditore délVarmata e dei castelli di Napoli, indirizzate a Spagna, con altre scritture sull'argo- mento. — Bicordo pure un altro Ms. intitolato : Napoles con- fuso brebe relàcìon de todos los marabilosos accidentes que an sucedido en la Cividad de Napoles en todo el Reij- no desde el primer dia que fiie a los 7 de Julio 1647 asta los 6 de Abril 1648. — Dia por dia ij ora por ora sin apartarse jamas él hautor dela berdad ciégo dela Passion. Ms. in 12^ di e. scritte n. 243 ed altre pò- che non numerate o bianche. E rilegato in pelle con tagli e fregi dorati. — U autore presentò il libro al Duca d'Arcos per aver la grazia della stampa. Il viceré lo passò al Visitatore generale, al Segretario Lusia ed al giudice Navarrete; i quali, esaminatolo, diedero la loro approvazione, ma ne rimisero la stampa alla fine della Rivoluzione. Il Ms. conservasi nella bi- blioteca Nazionale ed è segnato XV — F. — 92. Simili relazioni si trovano pure in un vói. Ms. già posse- duto dal lodato d. Vincenzo Cuomo, ed ora conservato nella biblioteca Municipale, intitolato: Miscellanea diversa. Tomo primo di e. 412, óltre le non numerate. In esso si contengono parecchie scritture di diverso carattere, ma tutte del secolo XVII, che appartengono alla storia dd reame di Napoli nel 1647-48. Quattro soìio scritte in spagnudo. La prima, che è la più, lunga (f. 266-321) e tratta degli avvenimenti dal 7 luglio 1647 fino al febbraio 1648, è quel Diario o Relazione, di cui si servì, come dal confronto ho rilevato, d. Francesco de Eguia Beaumont nei suoi Varios discursos sobre la reducion de Napoles. Le altre tre scritture (f. 322-346) riguardano Ven- trata degli spagnuoli nel 6 aprile 1648. < > < A. J< V "V > — 11 — IX. SiMONETTi Tarquinio. Storia della rivoluzione di Napoli dell'anno 1647 scritta dal dottor Tarquinio Simo- netti napolitano. Ms. di e. 515 in 8° nella biblioteca Nazio- nale (XF, Ey 49). Comincia: A tempo che Roboam finisce: in suo luogo ha pigliato possesso per interim il regente Zufìa, Giovedì 22 di detto mese di settembre 1650. L^ autore contemporaneo è presente ai fatti fino ai 17 ottóbre 1647 ^ quando^ come egli stesso nota, con sua moglie Vit- toria Califano se ne andò al feudo in casa sua e la sera a Benevento. La moglie aveva una ca^a alla Selleria nd fondaco della Zecca dei panni. Tralascio qualche altro Ms. di breve mòle, di cui, occor- rendo, farò menzione nelle note. < Alle opere sopra indicate, per la connessione che i due fatti hanno tra loro, bisogna aggiungere quelle che trattano dei tumulti accaduti nella partenza dd Duca di Ossuna da Napoli e notano la parte che in essi ebbe U Genoino , poscia ispiratore e consultore principale di Masaniello. Questi fatti sono specifieatamente ed aecuratamente narrati dallo Zazzera scrittore contemporaneo, nei Giornali del governo del duca Ossuna, 1616-1620; lìihro, di cui esistono móltissime copie Mss. e che fu puòblicato dal Palermo nel vd. IX (feZZ^ Archi- vio storico italiano dd Vieusseux, ma tronco delle notizie che gli parvero frivolissime e personali, o contro U buon co- stume. Altre opere speciali sullo stesso argomento sono: POs- suniana conjuratio, qua Petrus Giron Ossunae dux re- gnum neapolitanmn sibi desponderat, cum relatione stra- tagematis, quo card. Borgia designatus Duci successor in eam provinciam sibi aditum et successionem fecit, di un tal Tortdetti, stampata in Venezia nd 1623 e nd 1625 in 4®, ed i Conatus irriti Ossimae ducis, ne a regimine regni > < A_ A. V V > y — 12 — neap. amoveretur, liber unus, auctore Horatio Feltrio, viro patritio, cperetta scritta nel 1625, e non mai pubblicata. Oltre a questo, ed alV opuscolo intitotato : Neapolis liberata, Discursus juridicus politicus adversus Julium Genuinum, populi pro-electum , ejus asseclas complices et fautores super seditionibus et tumultibus ab eis Neapoli commo- tis 1620, che è un'allegazione giuridica di poco o nessun va- lore storico. Possono anche utilmente consultarsi^ i Diurnali di Scipione Guerra, recentemente per la prima volta dati alle stampe dalla Società Napolitana di storia patria per cura déU'egregio Marchese de Montemayor; il Barrino nel suo noto Teatro eroico politico de' Governi de' Viceré di Napoli (dal quale copia il Giannone nella stia Storia Civile) ed il Leti nella Vita di d. Pietro Giron duca di Ossuna , Amsterdam 1699, t. 3. n. 12. Ma principalmente importante sul proposito è una Rac- colta di relazioni, lettere, e documenti diversi, intomo ai fatti di quel tempo, che, meno qualche scrittura stampata con lo Zazzera, si conserva tuttora inedita. Essa è opera di not. Giovan Berardino Giuliani, o de Juliani, che fu poscia segretario della Piazza del Popolo, ed autore della Descrizione dell'ap- parato fatto nella festa di San Giovanni del IQSlj e di un Trattato del Monte Vesuvio e de' suoi incendii del 1632. Egli inoltre vi appose molte postille ed annotazioni illustrative. La Raccolta è variamente intitolata. Un esemplare, che a me sembra V originale del Giuliani, e che si conserva nella biblioteca Nazionale {X — C — 10) porta il seguente titolo : Historia veridica delle cose notabili successe nel regno di Napoli e nella Corte di Spagna sotto i governi del duca di Ossuna e dei Cardinali Borgia e Zapata e del Viceré duca d'Al- ba etc. dall'anno 1617 all'anno 1624, coi documenti au- tentici dei fatti occorsi ; registrati da me Giovan Ber- nardino de Juliani, segretario del fidelissimo Popolo di NapoK. H Ms. è di carte 479 e finisce con una fede stampata di notar Romano del 9 giugno 1624 sulle cariche avute e lode- < < A A > > V v f — 13 — volmente esercitate dal Gritdiani. Un altro esemplare pur anco originale, e che inoltre ha le postille autografe dell'autore, ma mancante détta fine, si conserva da me, ed è intitolato : « Cose varie e curiose raccolte da notar Giovan Bernardino de Giuliani de Napoli, nelle quali particolarmente si ha no- tizia di quanto con verità passò in Napoli al tempo del Duca di Ossima et alla fine di esso nell'anno 1620, et di quello, che succede all'uscir di detto duca di Napoli, et alla Corte et altre cose curiose. Inoltre, qualche m^zo secolo dopo dd Giuliani, un bene- merito cultore delle patrie memorie riunì in una sola opera tutto qudlo, che potette raccogliere intomo al governo del Duca di Os- suna e di alcuni Viceré, suoi successori, sino al 1624, ed intitolò questa raccolta: Successi del duca di Ossima. Egli distribuì la materia in 4 volumi, nel primo dei quali rescrisse lo Zazzera, e nel 2^, 3^ e 4^ riunì la compilazione del Giuliani e vi aggiunse altre cose che sull'argomento a lui riuscì di trovare. Il raccogli- tore ebbe V opportunità di avere tra le mani alcune scritture auto- grafe dd Genoino che erano restate presso i suoi nipoti, e ne tror scrisse nel suo libro le piti notevoli. Giova a tal proposito notare, come nel Diario di Giu^seppe Campanile, dd quale sopra feci parola, si accenna a queste scrit- ture del Genoino, e si dice che « tra di esse vi erano varie campo- « sizioni manoscritte ddV Historia di Napoli, opera assai fati- « cala da esso in piti anni et altre materie notabili a favore del « popolo : tutti i biglietti inviatigli dal duca di Arcos in questo « tempo (1647) et altri scritti legali » Campanile Diario f 25 v. Il Genoino stesso in una sua Apologia all'abbate Tor- rese per haverU contradetto l' ingresso e luogo acqui- stato con una lunga età nell'almo Collegio de' Dottori, scrittura che si trova al f 432 mihi dd voi. Ili della cennata Raccolta, compendiando i fatti détta sua vita, conchiude così: « se « si trova che alcuno falso historiatore o altro avesse scritto per « historia V opera del Duca et mia, il fatto in altro modo di « quanto ho detto, tutti hanno mentito et mentono, come falsi, < < J^ A — 14 — « et co^ farò constatare j)er pubbliche scritture in un'Apologia « quale darò in luce (f. 437). » Ma guesi' Apologia o non fu scritta andò perduta. Molte copie di questa Raccolta dei successi del duca di Ossuna fatta verso U 1670, le quali appartengono ad epoche ed a mani diverse, esistono ndle pubUieke e private biblioteche, e sono state da me consultate. Ndla biblioteca Nazionale se ne ritrovano del secondo {X.-B,-4), dd terzo (X-S,-5) e del quarto volume (X- B,- 33). Io ne conservo una del solo terso, scritta verso la fine dd secolo XVII. AUorchè mi occorrerà indicare le scritture di cui mi sono servito nella narratone cA« s^vi^, io le citerò, secondo i Mss. da me posseduti, col titolo di: Giuliani, Cose varie, e di Successi va- ni t. in. PARTE PRIMA La piazza del Mercato di Napoli e la casa di Masamello L A piazza del Mercato di Napoli, tanto memora< bile nella nostra storia, fii rinchiusa nel peri- , metro della città coU' ampliazione Ajigioina circa il 1270 *). Prima di una tal epoca tutta la contrada era un campo vasto ed inabitato, che dalle mura e dai fossati posti ad occidente ed a settentrione , dove ora trovasi S. Eligio ed il monastero dell'Egiziaca a Forcella, distendevasi verso mezzogiorno ed oriente fino al lido del mare, ed alla chiesa ora parrocchiale di 8. Angelo al- l' Arena , che dal suo sito prendeva ima tal denomina- zione *). ') Oiobdàho, Hùt. Keap. Ms, e XIH: De hie qwipomoerium aiarrint; Suii- MONTi. Bùt. di Nap. I, 64 ; Tuma, Dei gfggi di Napoli p. 10. *) Cftron. Svessan. ap. Pelliccia, Baccolta di Cronache etc. I, 67; Registri Angioini d. 19 (I2T4, B.) f. 27; Doc. del I28S ap. Sabatini, Calend. Xapól. Maggio p. 58. V V > — 16 — Questa pianura, come già prima tutto il littorale fino al Molo piccolo, chiamavasi in quel tempo Moridno ^), ed il tratto più occidentale di essa campo del Moricino ^. Qui, e propriamente limgo le mura, dove poscia fii edificato S. Eligio, ed accanto la porta, che dicevasi Porta nuova, anche allora si teneva il mercato della città ^). Un fiu- micello formato dalle acque esuberanti del fonte Formello, o sia dell'acqua della Bolla, che quivi accogUevasi , at- traversava e chiudeva questo campo nel sito, che si di- ceva e si dice il Lavinaio, ed indi andava a scaricarsi nel mare ^). Al di là del fiumicello verso oriente sorgeva ima piccola chiesetta con im contiguo romitorio, ove alcuni Frati Carmehtani da poco tempo avevano esposta alla venerazione dei fedeU una devota imagine della Vergi-, ne % ed innanzi la chiesetta una colonna con una croce, ed alquanto più oltre il sepolcreto degh Ebrei ®). Tal era il campo dd Moricino, allorché nel 1268 fa il teatro di una sanguinosa e memorabile tragedia. Ai 29 ottobre di quell'anno Corradino di Svevia, per ordine di Re Carlo I d'Angiò, ivi subiva con alcuni suoi compagni di sventura l'estremo supplizio. L'infeUce principe, che pel tradimento di Astura cadeva nelle mani del suo ne- < y 1) In loco, qui dieitur Moricinum. Reg. 1269. S. f. 173, ap. Minieri, Notizie SìUTarchiv. Angioino p. 81; extra civ, Neap. in loco qui dieitur Moricinum, Reg. n. 9 (1270. C) f. 83. Cf. Beg. 1278, B. f. 76, ap. MiyiEai, Alcuni studii storici intomo a Manfredi e Corradino p. 60 — Moricinum sive Mercatum, Reg. 1292, E, f. 345 ap. AHtto, Vetusta Be^i Neap. Mon. Ms. f. 56 v. mihi Cf. Bullarium Carmeli- tanum I, 606. «) Reg. 1269, S, f. 173 e Reg. n. 30 (1278, B.) f. 75 ap. Mcraai, Ch. Il ce. 8) Dipi, del 1270 ap. Summonte, Op. cit II, 264, Fase. 80 il 2<> ap. Minieri, sui fascicoli angioini p. 55. *) Reg. n. 106 (1300-1301. A) f. 82 e n. Ili (1301. F), f. 30, e 149 v. In que- sti due documenti si nota il lavinarium, per quod decurrit aqua^ que descendit a fonte Formelli in mare; GiOY. Villani, Istor. Fior. L. VII, e. 29. *) Giov. Villani, /. e. Cf. Filanoieri, prìncipe di Satriano, Docum.per la Sto- ria^ le arti e le industrie nelle prov. Nap. voi. HE., p. 257. •) Saba J^alaspina, HisfL. IV, e. 16; Chron. diPartenope, L. II, e. 11. A. A mico, ei-a stato, secondo che aiferma uno scrittore con- temporaneo, condannato ') nel capo da un' assemblea dì G. de MoHtemayor fot. Dalia Guida del Parrino Sindaci , o buoni uomini deputati delle provincia di Terra di Lavoro e de' Principati , la quale riimita a tal effetto , e ligia del nuovo dominatore , aveva tro- vato , come suole avvenire , il dritto nella forza , e la colpa dove stava l'infortunio ^. E in quel mmpo, l'ultimo rampollo della casa di Hohenstauffen , come Maniredi lungo il fiume Verde , trovava un' ignominiosa sepoltura ■ Sotto la goordia della grave mora >. Ma poco stante l'aspetto del campo fu mutato in massima parte. Re Carlo, che avea fissato la sua dimora 1) Saba Ualasfina, Hiet. ì. e. ^ I^atestimoniBiizadelMalaspma è stata combattuta recisamente dal cb. cav. Del Giudice con la sua dotta memoria : Il giudiiùt e la etMdarma di Corradino (Nap. 1876), ritenendola come fotpetta e del tutto inverotimile (pag. 19). Va, sebbene le TagÌ4mi,cbe l'egregio mio amico & sostano della sua opinione desume dal siste- ma tenuto in quel tempo tra noi intorno ai parlamenti ed alle eurie generali,ed in- torno al procedimento penale contro i proditori notori! e manifesti, sieno certa- mente fondata e gravissime, pure io non oso rigettare interamente l'affermazione di uno scrittore cosi autorevole qual è Saba Malaapina. La convocazione dell'as- semblea fu forse una semplice formalità eccezioDale per un caso cosi specialmente eccezionale e singolare, e fu diretta ai deputati di due sole provincie del reame, le più vicine a Napoli, affinchè l'esecuzione dell'infelice Corradino, già preventiva- mente decisa da Carlo, ntm fosse anche per poco ritardata. ■y V > — 18 — in Napoli, e l'avea dichiarata capitale del suo reame, volse tosto le sue cure all'ampliazione ed all'abbellimento della medesima. Volle quindi che le murazioni e la porta, che dicevasi Forta nuova o del Moricino, si protraessero più verso oriente nel sito innanzi l'attuale chiesa del Carmine lungo il descritto fiumicello, e nell'angolo della strada del La- vinaio ^). Concedeva pm-e im buon tratto di suolo pub- blico a tre pii francesi, i quali vi fondavano la chiesa di S. EUgio, e lo spedale pe' poveri ciechi e pe' mutilati in servigio del Re ^). Collocava inoltre in questo sito ac- canto alle mura taluni pubblici edifizii, come il macello (puc^aria) la panatica (jpanecteria) e la casa dello scalda- toio (domus scaldatorii\ che era accanto al macello verso Oliente, e che non saprei dire a qual uso propriamente servisse ^. Poco tempo dopo, Re Carlo II, proseguendo l'opera del genitore, trasportava dalla contrada di Pistasi in questo sito i conciapeUi, dando loro uno spazio accanto le mura verso il mare di canne 17 di limghezza e 9 di larghezza, spazio che aveva da im lato il nuovo Oratorio di S. Maria del Carmine ed il Lavinaio, dall'altro la via, che conduceva alla spiaggia, e la spiaggia stessa *). Con- temporaneamente concedeva ampio privilegio ai Napole- tani di continuare a tenere nel medesimo campo del Mo- ricino il pubbHco mercato due volte la settimana ; e vo- lendo che si fosse quel sito sempre neUa stessa ampiezza e capacità conservato, prometteva che giammai nell'av- venire quel luogo o parte di esso ad alcim privato po- tesse esser donato o conceduto, o in qualunque altra ma- niera aUejiato e distratto ^). < > 1) TuTiNi, Op. cit p. 16; Falco, Del sito di Nap. p. 22. 2) Reg. cit. 1269, S, f. 162, ap. Minieei, Notizie l. e. e Reg. n. 30 (1278, B), f. 75 — Cf. SuMMONTK, n, 262. ») Reg. n. 76 (1296. B), f. 86, e cit. Reg. n. 106 (1300-1301. A), f. 82. *) Reg. cit. n. 106 — Cf. Camera , Annali, II, 86. 6) Reg. n. 126 (1302, E), f. 53 — V. Camera, Op. cit. n, 94. < A A V V > — 19 — Dopo quest' epoca la piazza perdette l'antica deno- minazione, e prese quella di Mercato di 8. Eligio, e per lo più semplicemente di Mercato, con la quale nello stesso secolo e nel seguente comparisce più volte nella storia della nostra città. Qui infatti nell'agosto del 1346 Roberto Cabano, gran Siniscalco del Regno, Raimondo Cabano ed il Conte di Terlizzi conducevansi per essere bruciati vivi in pena della morte da essi procurata ad Andrea d'Un- gheria marito della Regina Giovanna I. Il supplizio era accompagnato da atti della più nefanda ed inaudita bar- barie. I rei dopo essere stati tormentati con tenaglie infiiocate e finistati per le principali vie della città, giunti nella piazza, chi semivivo e chi morto, venivano gittati nel fuoco. Allora U popolo accorso in gran numero al- l' atroce spettacolo , slanciandosi quasi tra le fiamme istesse, ne estraeva i corpi degl' infelici, e con le accette li spaccava come legna, ed indi ritornava a gittarli nel fuoco. Né contenti di ciò alcuni artigiani dalle ossa for- marono poscia dadi e manichi di coltello , secondo che ci attestano alcuni scrittori contemporanei ^). La vecchia Fihppa Catanese, che i NapoUtani volgarmente chiama- vano la mastressa {mistrissa, magistressa) non perchè, come dice il Villani (L. Xn, e. 52), fosse la maestra della Regina, ma perchè intrigando dominava in Corte, pure condannata allo stesso supplizio era preventivamente morta nelle car- nieri ^. Qui pure nel 1348 Landulfo e messer Giacomo della < 1) Don. DE Gratina, C%rtm. ap. Pelliccia, Op. cit JH, 226; Boccaccto, De casibus virorum illustr. L. IX, e con minori particolari,la Chronaca di Partenope, UL, 23, ove erroneamente 8i aggiunge anche Sancia,la nipote di Filippa Catanese, che, per essere in quel tempo pregna, fa giustiziata dopo. Queste fonti furono se- guite dal CoLLENNUccio, 1, 246, ediz. Gravier, dal Costanzo, J«for. dd regno p.203, dal SmiMONTE, 0. e. n, 426 e da altri, che tralascio.— D'altra parte Gioy.Yillani nelle Istor. Fior. Xn, 52 parla del supplizio dei soli uomini, e cosi pure il Chron. Si- culum testé pubblicato dalla Società Napolitana di Storia Patria p. 10 ; aggiun- gendo poscia esattamente la giustizia di Sancia al dicembre seguente. ^ Reg. Ang. n. B53 (1346 G.) f. 24. Debbo questa notizia all'amico prof. De Blasiis. > < A. A. V V > — 20 — Polla presi da Ludovico re d'Ungheria, che era venuto a vendicare la morte di suo fratello Andrea, erano impiccati per la gola, come rei d'aver consentito allo stesso dehtto ^). E pare che in quel tempo le miu-a della città nel mede- simo sito fossero cadute o abbattute, perchè gli Ungari, qualche anno dopo ritornati in Napoh, combattendo cogh uomini d'arme del secondo marito di Giovanna, entrarono senz'alcim intoppo nel Mercato, e saccheggiarono le botte- ghe della ìmcceria, che stavano appresso deh dtcto mercato ^. Nel secolo seguente qui, e propriamente nell'orto di Agostino Bonsani o Bongiani, ricco mercante fiorentino, la Regina Giovanna II, invitata alle nozze della figliuola di lui, veniva im giorno a convito. Era allora il 13 settembre 1416. Moltissima gente del popolo e parecchi nobili, che si erano già prima indettati sul da farsi, ingombravano il Mer- cato e le vie circostanti. Dopo pranzo la Regina si affacciò alla moltitudine, che gridava: Viva Madatnma la Regina, e dicendo : Signori per Dio non me abbandonate, né fatime trattar cosi da mio manto, non mi abbandonate, eccitò tutti a por mano alle armi. Allora messer Ottino Caracciolo ed i fratelli , che erano i capi della congiura , presero Giovanna in mezzo, e non facendola ritornare al Castel nuovo, dove era suo marito, per la via de lo Pendino de S. Angustino la condussero al palazzo arcivescovile, e di là nel giorno seguente al castello di Capuana. Cosi essa ripigliò l'autorità ed il comando, che Giacomo della Marca dopo il matrimonio si aveva appropriato ^). < ^) n fatto è narrato assai ambiguamente e con la data, certamente erronea, del 1855 nella Chronaca di Fartenape, UE, 28 copiata da Notar Giacomo a p. 56 in nota. Ivi si confonde la venuta del conte Landò e di Luigi di Durazzo in Napoli nel 1351, col supplizio dei due fratelli della Polla, che assai verìsimilmente dovette avvenire nel 1348, quando fu fatta, come dice il Cronista di Gravina, vindicta tnaaitna de morte ducis Andreae, e non dopo, quando questa sarebbe stata tardiva. «) Chnm, di Parten. WL. 35. *) Diurnali del Duca di Monteleone secondo il testo genuino. U raffazzo- namento posteriore (p. 67 ediz. Gravier) varia. Notar Giacomo p. 69; Annali del Baimo ap. Peluccia 0. e. I, 114; Passaro, Giornale p. 11. > < A. A. V V — 21 — La piazza aveva allora poche abitazioni. A setten- trione, oltre l'orto del Bongiani, di cui abbiamo parlato, vi erano parecchi altri giardini, e tra essi quello principal- mente di Diomede Carafa, conte di Maddaloni ^) , di cui resta tuttora memoria nel nome di Orto del Conte , in alcuni vicoli ivi posti. Nelle fazioni, che indi seguirono in Napoli per le contese tra la stessa regina Giovanna ed Alfonso d' Aragona , costui dopo che ebbe inutil- mente tentato d' impadronirsi di Castel Capuano , ove la regma dimorava , qui come in luogo ampio e spa- zioso ^ ridusse le sue schiere Catalane, evitando le an- guste e tortuose vie della città, nelle quali avrebbe po- tuto essere facilmente oppresso dai Durazzeschi, che in Napoli erano molti e prendevano le parti della regina. Ma verso la fine del secolo, per l'incremento continuo e progressivo della popolazione, il recinto angioino si allar- gava anche dippiù, ed il muro della città fa inoltrato più in là, dove fino a tempi nostri abbiam potuto e possiamo ancora osservarne le vestigia. A 15 giugno 1484 re Fer- rante I d'Aragona con gran solennità iniziava questa nuova murazione, gettando alcime monete d'oro per me- moria nelle fondamenta di essa, e ponendo un palo per segno della nuova ampliazione dietro la chiesa del Car- mine ^. Cosi sparivano a poco a poco gU orti e i giardini, che nella contrada esistevano , e si mutavano in ninne- rose case ed abitazioni, le quaU, dopo che i nobili ed i ricchi preferirono di portare la loro dimora nella parte occidentale della città, quando ivi sursero la novella via di Toledo ed il regio palazzo, furono ordinariamente lascia- te agU artigiani ed alla infima plebe. < > 1) De Pietri, Hist Nap. p. 80 ; Celano, Notizie ecc. m, 263. ^ Facto ,- De rthus gestis ah Alphonso 1, L. n, e. 31. >) Cfr. Cronica Anonima in cit. Raccolta ecc. I, p. 180 ; Cronica di Ant. Feh trio ivi p. 290 ; Passaro, Op, cit, p. 12. < A. A V V > — 22 — La piazza verso la metà del secolo XVH, aUorchè fu il teatro di uno dei più memorabili e singolari avveni- menti che ci ricordi la storia, presentava, specialmente per gli usi e pei costumi del popolo di quel tempo, im a- spetto assai diverso dal presente. Essa, senza compren- dervi lo spazio innanzi al Carmine, aveva l'estensione di più di 12 moggia e quarte due dell'antica misura napoleta- na ^). Lungo la linea dei fabbricati girava intomo una via, che dalle selci vesuviane, ond'era costruita, veniva vol- garmente chiamata V inséliciato ^. Il resto della piazza era semplicemente in terreno battuto , ed era in molte parti sozzo, dove da piccoli pantanetti di acqua, dove da pozzanghere e da mucchi di lordure, in cui a loro posta s'avvoltolavano i porci in gran numero, che allora pote- vano impimemente vagare per la città. Le case per lo più irregolari avevano le finestre con le gelosie e senza in- vetriate o con le impannate spezzate in croce e chiuse in- vece di vetri, ch'era piuttosto im lusso, con tele incera- te ^. Pochi erano i veroni, e tutti con parapetti di fab- brica, o con ringhiere di legname. Una tettoia fissa, or- dinariamente di tavole impegolate, talvolta anche in fab- brica, sporgeva per lo più sulle botteghe, e col permesso del Portolano, magistrato municipale, dove più dove meno, si allungava fino a palmi nove e mezzo. Anche le cacciate o le mostre al di sotto potevano avere imo sporto simile, dove i bottegai usavano esporre le loro robe e le cose commestibiU, di cui facevan commercio, e gli artigiani lavorare riparati dal sole e dalla pioggia *). Ai venditori di < 1) Celano, Op, cit IV, 68; Parbino, Nuova guida di Nap, 1723, p. 228, dove è pure la veduta della Piazza presa da S. Eligio, che sta innanzi a questo capitolo. / 2) V. Bandi municipali nelle Pragmaticae r, Neap, 1, 228, 231, ediz. Cervone. ^ Valentino, Napole scontrafatto etc. p. 321, ediz. Porcelli, e Basile nella lettera premessa alla Yajasseide del Cortese t. H. delle Opere. *) V. la Situazione fatta daW Blustrissinio signor Portolano di questa fedelis- sima città nelPanno 1692, de cacciata e pamate delle botteghe, posti fissi et amo- vibili, barracche et altro, Napoli s. u. n. in 4. > < A. A. V V > > — 23 — grascia e di pane, che chiamavansi volgarmente suggid ^) perchè soggetti alla gimisdizione del Giustiziere, e del Tribunale di S. Lorenzo, era prescritto dagli ordinamenti municipali che dovessero tenere attaccata ad im' asta, o sospesa alla porta una tabella coW assisa o tariffa de' vi- veri, secondo che era stata da quelli già determinata ^. Una sudicia bandiera o ima grossa frasca era poi l'insegna delle osterie, e tra queste sappiamo essere allora la più famosa la taverna àé galli ^. È ricordato dalla storia come alcime di queste insegne fossero le prime bandiere usate dai lazzari^ e come uno de' primi atti di Masaniello fosse stato l'aver tolto via dalle botteghe le assise che vi erano, allora per i molti dazu gravissime, e l'avervi indi sosti- tuite le altre rifatte con prezzi più miti dal principe della Rocca , nuovo Grassiere , e da Francescantonio Arpaia, nuovo Eletto del popolo. Sopra talima dì queste botteghe di grascia ^) vedevansi inoltre dipinte le armi di qualche nobile e potente famiglia, o di qualche regio ministro, il quale occupava uffizii superiori ed importanti. Era que- sta una salvaguardia, onde potere a propria voglia rubare ed angariare il popolo minuto, e con essa senza timore alcimo bravare i ministri di giustizia ed i grascini, che avessero voluto fare il proprio dovere. Ben le leggi di quando in quando provvedevano a vietare im tale abuso, ma esse eran per lo più impotenti a reprimerlo. Impe- < 1) Siiggeco nel dialetto Napoletano Tale soggetto. Cf. Basile, Lo cunto de li cunte I, 126 ediz. del Croce. ^ Capitoli del ben vivere, e Bandi municipali nelle Pragmat. r. Neap, 1, 184, 191, 193, 204. >) Campanile, Diario circa la soUevcunone della plebe di Nap. nel 1647. Ms. f. 3. ^) Nella Belaadone del 1773 intomo alla causa della Città col B. Fondo di separazione dei lucri si dice che per tradizione sapevasi come anticamente i ìmccieri e aalcicciari passavano 10 o 12 ducati Tanno al capitano e tenente degli alabardieri, perchè davano loro il permesso di tenere avanti due botteghe, una a S. Francesco Saverio (S. Ferdinando di Palazzo) e Taltra a S. Qiovanni mag^ giore, una casacca di alabardiere, ed una alabarda, con cui era lecito vendere ivi carne porcina due settimane prima che se ne desse il permesso dal Tribunale di S. Lorenzo. Memoriali^ voi. XII, f. 31 nell'Archivio Municipale. < A. J< V V > — 24 — rocche né i bandi municipali, né xm severissimo ordine del viceré Duca d' Ossima, col quale minacciavasi la ga- lera a chi vi contravvenisse, ebbero per moltissimi anni effetto alcimo ^). L'interesse de'venditori, l'orgogho dei nobili, e la stessa legge, che accordava espressamente U privilegio del monopoUo e della esenzione a coloro, che fornivano di viveri la casa yiceregnale e le milizie, con- tribuivano a far sempre più attecchire questa costumanza invece di estirparla. Noi uomini del secolo XIX, avvezzi dopo le con- quiste della rivoluzione francese all' uguaglianza di tutt' i cittadini in faccia aUa legge ed ai procedimenti regolari ed imiformi nei giudizi! civili e criminali, non possiamo comprendere gli ostacoU, che aUora incontrava l'ammi- nistrazione della giustizia, e com'essa, anche quando ese- guivasi, divenisse spesso arbitraria ed ingiusta. Privilegi locali e personaH, immunità ecclesiastiche, feudali o mu- nicipali, ed altre cause di violenza o di corruzione, ga- rantivano da una parte la impunità dei deUtti ; dall'altra le leggi stesse, non determinando la pena dovuta ai reati, e rimettendola ordinariamente all'arbitrio del viceré o del magistrato, erano non rare volte ingiuste ed oppressive, ed in taluni casi anche xm mezzo di basse e prepotenti vendette. Chi infatti allora si affacciava in suUa piazza del Mercato vedeva tosto sorgere quasi in mezzo di essa una trave con la corda per la pena dei minori reati, non che xm talamo fisso ed ima forca stabilmente eretta pel supplizio dei nobili e degl' ignobili colpevoU di più gravi delitti ^. < 1) Bandì municipali nell^Op. cit 1, p. 21G— Zazzera., Oiortuili del duca d^Os- 9una neìVArchiv. star, ital, IX p. 496. ^ Dkl Tufo, Bitratto della nobilissima città di Napoli. Ms. della fine del secolo XVI nella biblioteca Nazionale. Cf. Volpicella, Giov. Battista del Tufo, Nap. 1880. Pàbbino, Op, cit p. 228. — n talamo pel taglio della testa a coloro che non s^impiccavano può notarsi a poca distanza della cappella della Croce nel quadro di Micco Spadaro nel Museo Nazionale. La forca yedesi poi incisa nella Pianta di Napoli del 1566 nella Corsiniana in Roma: Col. 44, 4, 24. > < A. LA. CHIESA DEL CABHINE — Y Y > - 26 - ^ Ma nello stesso tempo dal vestibolo della chiesa del Carmine il bandito Domenico Perrone ed i suoi com- pagni nel giugno del 1647 potevano guardar sorridendo quegli strmnenti di tortura e di morte, ed in quel sacro recinto sfidare orgogliosamente tutt' i birri deUa G. Corte della Vicaria, che per colà dinanzi passavano. Cosi il dritto di asilo, rimedio opportunamente introdotto dai Canoni nelle società barbare per aiuto del debole contro il po- tente, era allora per la malvagità degU uomini divenuto mezzo ai colpevoU, per eludere le leggi, e fonte non certo lodevole di ricchezza per i monasteri e le chiese ^). La piazza, e forse più verso il lato occidentale, si vedeva allora in buona parte ingombra da molte barac- che di legno, ove pure esercitavansi le piccole arti ed il minuto commercio deUe civaie e di altre robe comesti- bili, ed ove, sia per custodia deUe loro merci, sia per non avere più comodo abituro, dimoravano puranche moltis- simi del popolo, che a quei mestieri intendevano. Qua- rantacinque anni dopo in ima Situazione fatta dal Porto- lano della città se ne numeravano fino a 156 disposte in otto file, cominciando dalla croce di pietra che esisteva dietro S. Ehgio. Alcime fosse profonde, che fatte, in ori- gine per conservarvi granagUe, nel 1656 servirono per se- > 1) Intorno a ciò veggasi principalmente la Corrispondenza tra la Corte di Roma ed il Nunzio Pontifìcio nel cit. Archiv. star. t. IX, p. 446, e 524 ed al- trove. — Talvolta però si procedeva con minori scrupoli, ed il dritto di asilo non era punto rispettato. Difatti in questo stesso anno 1647 due giovani, Marco e Giu- seppe Ferraro, ai 28 marzo furono ammazzati per ordine del viceré dentro S. Lucia a mare. H Registro dei morti della parrocchia di S. Giovanni maggiore, dal quale ricavo questa notizia (L. IV, f. 66) non dice la ragione del fatto. Un altro e- sempio singolare ne abbiamo pure sotto il viceregnato di D. Pietro Antonio d* Aragona. Allora, « essendosi, come dice con parola di biasimo imo scrittore contemporaneo, tre delinquenti scappati dal carcere della Vicaria rifugiati nella chiesa di S. Tomaso a Capuana, i ministri di corte di notte tempo scoverto il tetto della chiesa ferirono di molte archibugiate quei poveracci, i quali indi a poco da sicarii stessi, che di là su calarono dentro la chiesa, in mezzo agli altari avanti l'ostia sacratissima crudelmente scannati furono.» Isolani, Apologia etc. Bologna 1672 p. 35. < ^ K. V V > — 27 — poltura ai morti di contagio in quella terribile epidemia, stavano allora quasi nel mezzo e sotto della piazza me- desima, n luogo dopo quell'epoca luttuosa fii detto i Mor- ticelli ^). Qui ed in alcune fogne circostanti, allorché nel 10 luglio 1647 lo stesso bandito Perrone tentò di am- mazzare Masaniello, per testimonianza d'alcimi scrittori, fiu-ono riposti parecchi barili di polvere, affinchè dando- visi fuoco nel momento, in cui la piazza era maggior- mente piena di popolo, i sollevati fossero massacrati, e le loro abitazioni minate e distrutte. FaUito il colpo si .ebbero il Perrone ed Antiao Grasso suo compagno coi loro seguaci condegno e terribile castigo. Né finalmente in tutto l'ambito della Piazza mancavano posti o banchi fissi per altri venditori, che non avevano botteghe o ba- racche ; tavolini ^, o tavolini, ove si esponevano le frutta in quadretti ^, o sia disposti ordinatamente in quadri ; sai- matan o ortolani che vendevano erbe ed ortagUe ; e spesso anche palchi per i cerretani ed i saltimbanchi, ove si fa- cevano balU, salti, forze d'Ercole, mattacini e commedie, le quali colla loro rozzezza, e coi modi satirici ed osceni ricordavano le antiche favole Atellane. Era questo l'aspetto generale della Piazza verso la metà del secolo XVU. Ma a compimento del quadro, che io ho tentato di abbozzare, giova lìferire le parole di imo scrittore con- temporaneo, che descrivendo alle signore Milanesi il mo- vimento che in essa facevasi, quando vi si teneva mer- < 1) Memorie attinenti alla Chiesa di S. Croce al Mercato. Ms. già presso Te- gregio ricercatore delle cose patrie, l'abate D. Vincenzo Cuomo, ora nella Bi- blioteca Mimicipale. S) Bandi municipali nell'Qp. cit, t. I, p. 224 e 236. ^ Del Tufo Ms. cit. nel l.<» dei suoi Bagionamenti fa un sonetto in lode del quadretto Napoletano. — Le frutta dovevano essere scelte, si vendevano senza bilance e senza assisa, ed i venditori si chiamavano quadrettari. > < A. A. V V y — 28 — caio nei giorni di lunedi e venerdì di ciascuna settimana, in questo tenore ne discorre: Dirò de la gran piazza del mercato Dove tatti vi yanno La settimana ogn' anno Due volte sempre, olii per lo suo affare E chi per tempo à vendere, ò comprare. Ivi tiensi apparato n grano, e Forgio e tatto il miglio insieme Né molto indi distante I cedri, i fasoli, e fave firante. Cosi gran qaantità d'ogni altro seme Ch' à seminar convien prato, e lupini Con qaanto è di bisogno à qaei giardini; Cento carri di vini L' un dopo V altro in ordinanza posti Cairichi di suoi fosti Colà vedrete, e qaà cento facchini Con i barrili in spalla, aspettare S' alcun vuol comperare A posta sempre, sol per guadagnare. Più innanzi havete i lini, Bianchi, forti e maturi Ma più, che il ferro duri. Come gli vuole il mio napoletano Maturati ad Agnano; Tale un lago chiamato Ch' imbianca il lino e non lo fa salato. Qui porci, asini, capre, agnelli, e bovi In mfinita quantità vedreste Qui cento e mille ceste Donna mia tu ritrovi Cento sporte e panari Di frutti e tutti rari E mela, e pere, e là mille sportoni D'uva, persiche, fichi e di melloni, All' altra parte poi cento montoni Di noci e di nocelle Castagne verdi, secche e mondarelle ; Qua giumenti e cavalli E là galline, et oche, anatre e galli. Cento tende parate Donne mie ritrovate < > < >, A. > V — 29 — Hayrete voi per vestir la famiglia e qni l'olive e la buona caniglìa Molte tele vedreste Se comprar le vorreste Bianche, brunette e forti Dì cinquecento sorti Come certe altre, ch'han le villanelle chiamate cetranelle che fanno invidia à quelle in fede mia, De la Cava, ò di santa Patricia Di più sarian da lor begli occhi visti. Trecento semplicisti Voglio dir non dui soli di quei nostri herbaioli da cui prendon sovente i spetiali r herbe atte à i servitiali E semplici ^con fior più d' una sorte Con cui fan spesso resistenza à morte i). V < Ecco ora alcuni particolari degli edifizii e dei vicoli, che per tutt'i lati circoscrivevano la descritta piazza. E primieramente nel sito poco più oltre, dove ora vedesi la seconda fontana verso il Carmine, esisteva allora ima piccola cappella isolata e con volta arcuata col titolo di S. Croce. Essa era di palmi 20 quadrati ed aveva due porte, una dalla parte di mezzogiorno, l'altra dalla parte d'oriente. AU' altare nel lato settentrionale della cappella era soprapposta ima colonna di porfido alta circa palmi 10, e di palmi 4 di circonferenza, su cui sorgeva una croce di marmo, e nel muro posteriore vedevansi dipinte le imagini della B. Vergine, di S. Griovanni Evangelista, deUa Maddalena e di S. Orsola. Nella parete occidentale erano inoltre dipinti i fatti di Corradino di Svevia, il suo passaggio in Italia, la disfatta di TagUacozzo, la presa dell' infelice giovine in Astura, e la morte nel campo del > 1) Del Tufo. Ms. cit. Ragionamento IV, p. 116-17, A. < A. v V > — 30 — Moì^icino ^). Per antica tradizione crede vasi che questo fosse stato il luogo, ove fd decollato il misero giovanet- to, di tal che un pietoso napoletano per nome Domenico Punzo conciatore di peUi, nella metà del secolo XIV vi erigeva l'accennata cappella. Ora la colonna di porfido ed un ceppo coUa impresa dell' arte dei Coriarii veggonsi nella sagrestia della nuova chiesa del Purgatorio al Mer- cato ^. Nei tempi , di cui discorriamo, accanto alla cap- pella era il posto dei venditori di lino ^). Le case nel lato meridionale della piazza tiravano verso il Carmine più in là di quello che al presente s' i- noltrano. Per allargare \> spazio innanzi al castello, pa- recchi fabbricati vennero in quel sito abbattuti sotto il governo del viceré Conte di Pignoranda nel 1662. E qui nell'angolo incontro la chiesa ed il convento da una par- te, e la sopradescritta cappella della Croce dall'altra *) , trovavasi allora collocata la statua di ima donna inco- ronata e sedente con una borsa tra le mani ^). Tenevasi allora comunemente che fosse quella l'imagine della madre di Corradino , chiamata erroneamente Margherita , la quale, venuta in Napoli per salvare il figliuolo caduto nelle mani di Carlo d'Angiò e trovatolo morto, offriva i < 1) V. Acta vi9it. capp, ab archiep. Bucncompagni an. 1633, voi. Il , f. 182. Le pitture dei fatti di Corradino furono fatte incidere ed inserire nella sua opera dal Summonte II, 232 e 233— Nel 1630 tentandosi fare una nuova cappella dietro a questa, che descrìviamo, fu impedito, e vi restò solo una stretta tribuna che vol- garmente fu detta la cappella dei seggettari. Cronistoria del Convento del Cartnine maggiore, Ms. nella Bibl. Nazionale a f. 16 v. ^ 11 disegno della colonna e del ceppo, come anche della statua di Mar- gherita, che accennerò in seguito, può vedersi nell'opera di Bel Re, Rimembranze storiche ed artisticìte, p. 193. Inoltre non ha guari il Bev. d. Vincenzo di Napoli, rettore della chiesa del Purgatorio al Mercato, fece trarre la fotografia della ac- cennata colonna e l'inserì nel suo opuscolo intitolato: La colonna espiatoria di Corradino di Svevia, Nap. 1888. ^ Bandi Municipali, ivi p. 225. *) SuMMONTB, Op. cit, n, 263. *) Secondo che rileviamo della cit. Cronistoria f. 13 in quel tempo, allorché qualcuno diceva di non aver danari e ne dimandava, risponde vasi, andate alla re- gina del Carmine che ve li darà. > A. -V r- ^ - 81 - ^ tesori portati a quest' oggetto ai fi*ati del Carmine per l'ampliazione della loro chiesa e del CMDnvento. La statua che, non di EUsabetta madre di Corradino , ma piutto- sto, come non ha guari ha dimostrato il principe Filan- gieri ^), era di Margherita, seconda moglie di Carlo I d'Angiò, ne' tempi successivi fu trasferita nel secondo chiostro del medesimo convento, e poi sotto la porta su cui s* erge il famoso campanile di fra Nuvolo , e di là finalmente nel Museo di S. Martino, ove ora ritrovasi. I vicoK, che da questo lato sboccano nella piazza, ap- partengono al quartiere della Conceria, che estendevasi verso mezzogiorno fino alla raviraglia fatta costruire per timore dei Tiu-chi nel 1537 dal Viceré D. Pietro di To- ledo. Da qui si usciva poi sul mare per una porta col prospetto a levante , che dicevasi della Conceria , ed era posta innanzi la chiesa di S. Caterina in foro ììiagno; e più in là per im' altra porta, che dicevasi di S. Maria a parete da ima cappella di Nostra Donna ivi esistente, e deUa quale ora, posciachè le mura furono cangiate in abitazioni, vi rimane un sempUce arco ^. Era questo il quartiere dei conciapeUi ^), i quali allora formavano due corporazioni, distinte in arte grossa e piccola. Gente ar- dita e robusta, essi s'adoperavano ad estiaguere gì' in- cenda, allorché non era ancora istituita presso noi al- cuna compagnia di vigili, o di altre persone a tale og- getto ordinata. Da questo stesso lato verso S. EUgio fino ai tempi del Celano si notava U sito sopra alcimi archi, ove im tempo fd fondato lo spedale di Niccolò o Nicola 1) Filangieri, Documenti ecc. t. UT, p. 438 e 451. ^ Acta visit cappell. ab archiep. Caracciolo an. 1675, f. 540— Qui sulla mu- raglia, e propriamente dove dicevasi « allo reale della carne » stava pure ima cappelletta di S. Maria del Carmine. Acta visit. arch. Buoncompagni voi. Il, f. 200. ^ Quest'arte fu qui trasferita, come già accennai, nel 1301 per ordine di re Carlo II. Da quel tempo il quartiere prese il nome di Conceria, che tuttora ritiene, quantunque Parte da circa 50 anni non più vi si eserciti. < > -A > V v — 32 — di Fiore, detto volgarmente di Cavolofiore. L'aneddoto, che die causa alla sua abolizione, è noto nel popolo, e ci viene cosi raccontato nel suo rozzo ed ingenuo stUe da un no- stro antico scrittore. « Detto Cola, dice egli, andando un « giorno nela preta del pesce per comprar del pesce, ri- « trovando un cefaro solo, ch'altro pesce non vi era, fa- « cendo il patto con lo pescatore, et non fumo d'accordo, « nel medesimo istante arrivò Uà un ferrare mal vestito, « e subito s'accordò con lo pescatore, e si pigliò il ce- « faro, dove detto Cola, qual stava a vedere, ne rimase « molto ammirato, et li dimandò che arte faceva, li ri- « spose, ch'era ferrare, e replicando detto Cola quanto « tempo havea posto a guadagnare detti danari ch'havea « dispeso al cefaro, U rispose che ci era stato dui o tre « giorni; li ricordò detto Cola, come ti governerai si ti « accaderà alcuna infermità ; detto ferrare li concluse che « nel presente voleva godere, et si alcuna rofirmità li fosse « venuta da poi, non li saria mancato l'ospidale di Cola « di Fiore, non conoscendo detto Cola ; quale intendendo « questo disse, adimque io faccio l'hospidale per li pol- « troni, e cosi mancò di seguire dett'hospidale, et il Dia- « volo vinse che non si seguisse detta buon'opra ^). Nel lato occidentale della piazza non vedevasi nel tempo, di cui discorriamo, la facciata regolare e di soda architettura, che ora ha lo Stabilimento di S. EUgio. Ivi allora scorgevasi la parte postica della chiesa coi suoi fi- nestroni gotici, ed indi le fabbriche non molto elevate dello spedale e del conservatorio, ed innanzi sopra il ter- razzo di alcune botteghe ima cappella intitolata a S. Ma- ria ddla Neve. Era questa antichissima ed aperta da ogni lato verso la piazza aflSnchè la messa, che ivi per inve- terata consuetudine nei giorni di mercato celebravasi, potesse da tutti coloro che colà convenivano vedersi. Una > 1) Stefano, Luoghi meri di Nap, p. 46. < < ^ A. —y Y— )" - 33 - ^ campana avvertiva allorché dal sacerdote consacravasi , ed era, dice lo Stefano, mirabil cosa a vedersi come in mi attimo tutta la innmnerevole gente, che nel Mercato allora trovavasi, intermettesse subito i suoi negozii pro- strandosi devotamente al santo sagrifìcio , e come al chiasso ed al tumulto succedesse immediatamente un profondo ed istantaneo silenzio. Sull'altare della cappella era dipinta nel muro la B. Vergine con S. Agnello, S. Gennaro ed altri Santi ^). Volgendoci dall'altro lato tutta la contrada posta a settentrione della piazza, che come già accennai, dicevasi una volta l'orto dd Conte, denominazione ora rimasta sol- tanto a due vie parallele alla stessa piazza, allora era ed è tuttavia intersecata da più vicoU, che presero suc- cessivamente varie e diverse denominazioni. Cosi il primo, che incontrasi dopo l'angolo di S. EUgio, fii detto, e di- cesi ora de' Cangiarli ^. L' altro, che segue, è U vico dei Spicoliy che così pure chiamavasi nel secolo XV % Più oltre sbocca U vico delle Barre ^ che trovo cosi denomi- nato fin dal 1449, e dove nel 1529 ebbe cominciamento la peste in Napoh *). Ad esso dalla parte superiore cor- rispondeva U Fo7ìda/co dei Cenatiempo, cosi detto da questa famiglia, che ivi aveva un ampio palagio *). n vico che segue de' Barrettari, fu chiamato una volta de' 8cann£Lsorici ®) per qualche possedimento di questa no- > 1) Acta visit cappell. ab archiep, Gesualdo 1598, v. IV, f. 608. Cf. Stefa- no, Op. cit e. 43; e d^ENGENio, Nap, Sacra p. 445. 2) Acta visit cappeU, arch. GrestuMi v. IV; Celano, III, 265. ^ Istr. del 1437 per net. Nicola Vigiliano notato nella Craniatoria cit. f. 34; Acta vi8it. cappdl, ab Annib. de Capua 1583 f. d—Item Paroc, minor, f. 133. ^) Doc. ap. Acta visit paroch. mai. ah Annib, de Capua 1580 f. 42 v.— Sum- uoNTB, Op, cit, rV, 430. ^) BoLYiTO, Notam, Mss. f. 115, mihi. •) Doc. dei 25 ottobre 1454 per not. Giov. Pisano ap. Cronistoria cit. f. 34; altro del 14% ap. Acta vis, 8, Restitutae f. 91 v. , ove il vico è detto de li Scan- nacardilli seu de li Scannasorici ; ed altro del 1563, in cui esso chiamasi vico de li Scannasuricif seu li parrettari, Acta visit, par, mai, ab Ann, de Capita 1580 f. 960. < > A. V V" y — 34 — bile famiglia, già estinta nel sedile di Portanova e poi dei Scafati ^). Esso, come ben dice il Celano (EU, 263), do- vrebbe dirsi piuttosto dei Parrettari, perchè qui si faceva- no quelle pallottole, che si scagliavano dalle baliste, allor- ché non era tanto in uso lo schioppo, e che da noi si dicevano parrette ^. Sotto l'arco, che dalla piazza immette in questo vicolo esisteva nel secolo XVn una cappèlla di S. Maria delle Grojne dei carrettieri ^). Procedendo più oltre verso oriente, il vico che segue ebbe in prima il nome di Lioni o fontana delli lioni, forse da qualche fonte che quivi vedovasi, o l'altro generico a tutta la contrada di orto del Conte *). Poscia fii detto del Car- minello dalla chiesa della Vergine sotto questo titolo, che fondata verso la metà del secolo XVI, fii nel 1611 data ai Gesuiti, ed ampliata con denaro del Monte della Mi- sericordia e di alcuni pii gentiluomini Napoletani, i quali per altro intendevano ad ima diversa opera di benefi- cenza. La via, che è l'ultima da questo lato, fin sopra, dove sta ora la Chiesa di S. Maria delle Grazie all'Orto del Conte, fa chiamata allora dei lanaiuoli % forse perchè in tutto il contomo di essa non vi era vicolo, come dice il Celano, che non fosse pieno di donne che filavano lana ^). Ora per quel tratto dov'essa è più larga e spaziosa di- cesi Pia:s:js;a larga, per l'altro che è più angusto e tira su alla trasversale di S. Maria della Scala, prende il nome di via Salaiolo. < *) Parrino, Op, cit. p. 222. Sj Basile. Lo cunto de li cuntiy I, 75 ediz. Croce. •) Acta visit cappell. ab arch. GesiuUdo 1598, voi. IV, f. 208. *) Istrum. del 1508 ap. Acta visit cappell. ab Ann» de Capua 1583 f. 28 v. e descrìz. della cappella del Carmìnello. Ibid. n^ 20. •) Acta visit, capp. anno 1583 n® 19. «) Celano, G. Ili, p. 261. > A. J^ < V V y — 35 — In sul cominciare della strada Pias^zalargay ed, a quanto pare, a dritta di essa, stava in quel tempo la casa e la dogana della farina, dentro la quale vedevasi pure ima altra chiesetta sotto lo stesso titolo di S. Maria delle Ora- zie fondata nel 1597 dai vastasi o facchini, e specialmente da quelli che intendevano a trasportar la farina dalla do- gana e a distribuirla per i panettieri della città ^). Per regolamento municipale erano costoro obbligati a matri- colarsi in S. Lorenzo, e dovevano dare plegeria de fide- liter exercendo il loro mestiere ^. Dopo che verso la fine del secolo XVI il viceré Conte di Olivares fece fabbri- care un nuovo edificio per la conservazione dei grani al Mcmdrdcchio, questa casa colla dogana fii adoperata sol- tanto per le prowenienze di terra, e nel breve imperio di Masaniello ser\d di carcere a molti della nobiltà e dell'ordine civile, che caduti in sospetto del popolo, e quivi trattenuti per essere giustiziati, vennero poscia per le pratiche del cardinale Filomarino hberati. Chiudeva la piazza dal lato d'oriente im' isola di case dal vico rotto o dd pero fin dove termina la strada del Lavinaio dinanzi la chiesa del Cannine. E qui poco dopo il vicolo stavano gli ufficii dell' arrendamento di piazza inajure o piazza maggiore; ^ e dell' arrendamento delirano a rotolo, dazii di consumo sugli animali e suUe carni fre- sche e salate, non che sulle provole o sia provature ed ogni altra specie di formaggio *). Il sito prendeva allora da quell'ufficio la denominazione di Piazza majura, ed ora, conservando tuttavia le tracce dell'antico balzello, che ivi riscotevasi, dicesi comimemente la gabella delle provole. Al- < > 1) Acta visit cappelL ab. arch, Gesualdo 1598 v. IV, f. 496.— Stefano, Op. cit e. 43. ^ Bandi municipali nell' Op. cit. 1. 1, p. 192. ^ Bandi municipali nell' Op. cit. t. 1, p. 196, 224, 229. 4) Mazzella, Descrizione del regno di Nap. p. 338 ; Ageta, ad Mole» etc. I, 420 — V. pure. Bandi mimicipali nell' Op. cit. t. 1, p. 196. A. < A. V > V — 36 — quanto più oltre vedevasi una gran fontana circolare dì pipemo, con una piramide nel mezzo, che da più fistole buttava acqua ^), ed in suUa estremità dei fabbricati aUo sbocco della strada del Lavinajo rimanevano ancora i ru- deri della vecchia porta Angioina, rovinata in parte nel 1637 per l'incendio di talune case contigue; mentre pochi anni prima eransi diroccate altre case, le quali, prolun- gandosi più in là verso mezzogiorno, impedivano la vista della facciata della chiesa del Carmine ^. Il sito dice- vasi il Ponticèllo ^, ed era destinato alla vendita delle robe commestibili di cattiva qualità *). < 1) SuMHONTE, Op, cit 1, 246. Essa dopo questa epoca nel 1653 fu in altro modo rifatta dal viceré conte di Ognatte ; Parrino, Teatro dei Viceré t. U, p. 464; Celano, IV, 73. ^ In talimi Frammenti Mss. degli annali della dita di Napoli dal 1611 al 1679 composti da Nicolò Caputo, dei quali io conservo copia, all'anno 1632 di- cesi* « i Napoletani in onore della Madonna del Carmine contribuirono alla spesa di presso a ducati 9000 per lo prezzo di molte paja di case, che furono diroc- cate in Napoli avanti la porta maggiore della chiesa del Carmine al Mercato, che impedivano la vista della facciata di quella, e stavano contigue ad un'an- tichissima porta... Coloro che contribuirono a questa spesa furono li signori Vi- ceré del Regno, gli Eletti della città si dei nobili come del popolo ; il Reggente D. Giovanni Enriquez, marchese di Campi; D. Giovanni Orasso Reggente della Vicaria; Nicola Giodice principe di CeUammare, et corriere maggiore: il con- sigliere Pietro Antonio Caravita e D. Francesco del Campo ; li razionali della Regia Camera Gioseffo Ametrano et Fabrizio Cennamo, che fu poi Presidente di Camera. Questa porta cosi antica della città si ridusse in nulla nell'anno 1637 per causa di un incendio ivi successo per la polvere da fuoco, che vi si vendeva » — Cf. pure Tutini, Op. cit p. 16. 3) Cosi denominato da im piccolo ponte, che stava fino al 1459 innanzi la Chiesa, e sotto il quale scorrevano le acque del lavinajo prima che il corso di esse tosse trasferito alVArenaccia. V. Cronistoria f. 36. *) Bandi municipali nella Op. cit. 1. 1. p. 186, 196, 204. > A A. < V V 37 n. Del resto tutto l'isolato, con cui abbiam compiuta la descrizione sulla piazza del Mercato nel secolo XVll, non presentava allora altro di notevole ; né ora merite- rebbe l'attenzione dei posteri, se non ricordasse im uomo ed im avvenimento, memorabili certo per ogni napoletano non incurioso della patria storia. Qui infatti e propria- mente nelle prime case dopo il vico Botto, al primo piano, stava nel 1647 la povera abitazione di Masaniello o Tom- maso Aniello d'Amalfi, Grli storici della rivoluzione napo- letana di quell'anno, toccando di mi tal particolare , tutti concordemente asseriscono che il capo e l' iniziatore di quella dimorasse in una casa che affacciava sulla piazza del Mercato ^). Talimi inoltre riportano qualche più pre- cisa indicazione. Il Giraffi, ed il suo pseudonimo il Lipo- nari, nella BeUusrione data in quel tempo stesso alle stampe, asserisce che Masaniello abitava nel Mercato verso la parte sinistra della fontana ivi vicina, ed altrove ricorda Visola della casa di Masaniello ^. Il Campanile nel suo Diario tuttora inedito, ove si contengono preziose notizie riguardanti la storia di quel fatto, chiaramente afferma che Masaniello aveva la sua stanca a dirimpetto lo spedale di S. Eligio, che è situata sopra la gabella dello bestiame al Mercato ^. Maggiori particolarità troviamo negli altri scrittori contemporanei. Nel Racconto o Diario Ms. del Verde, con le correzioni e giunte del Tutini, leggesi che in quel tempo: « era venuta in Napoli ima compagnia di ballerini , li quali facevano cento giochi con camminar sopra la corda , ed 1) Cafecelatbo, Diario 1. 1, p. 14; Nicolai, Higtoria delle ultime rivoluzioni di Nap, p. 20. 2) GnuTFi, Le rivoluzioni di Napoli, p. 13 ediz. di Ferrara 1706. (LiPO- KABi, Relazione, etc, Padova 1648 p. 14, e 131). >) Campakile, Ms. cit. f. 7. < A V V > — 38 — avevano preso luogo vicino la strada detta de'Lanajoli al Mercato, non lungi la fontana, e posto avevano un palco di tavole , sopra del quale salivano a rappresen- tare » ^). Leggesi pure : « che in questo tavolato saliva Masaniello scalzo e vestito di tela grossa con un berret- tino rosso in testa, e dava ordini e leggi » ^. Inoltre dal Tontoli sappiamo che Masaniello reggeva il popolo sopra U trono assiso di un tavolo mercenario a caso eretto da salterini giocatori svila corda avanti sua casa , e dal Nicolai, che dava i suoi comandi aUa plebe « sopra un palco fatto da alcuni cerretani poco discosto da casa sua » ^. Le mede- sime cose son pure ripetute dal Donzelli, che aggiunge aver avuto questa casa corrispondenza *) colla strada di dietro (del Lavinajó), dal Capriata ^) , dal Tarsia ®) e specialmente dal dott. Aniello deUa Porta, il quale ri- portando qualche altra particolarità, afferma che Masa- niello abitava su la strada dd Lavinajo, e propriamente a la sbarra di Pia^jsia majura , e che dava udienza nei giorni del suo potere sopra alcune tavole néiraffacciata del Mercato sotto le finestre di sua casa a piazza Majura, che per prima, vi stavano certi saltatori ciarlatani ^. < 1) Verde e Tutint, Racconto Ms. al giorno 8 luglio. ^ Un altro scrittore contemporaneo dice, « che questo tavolato era lungo da palmi 60 et largo 10, e stava dalla parte orientale del Mercato, che serviva per giuochi de persone saltatori, sopra del quale vi stava infinita gente al Df* de 200 con bandiere di pezze vecchie, ed insegne del Ite e del popolo ». Della. Mo- nica, Historia delle rivolutioni di Napoli del 1647 Ms. f. 21. v. 3) Tontoli , Il Masaniello p. 47 ; Nicolai, Historia etc. p. 45 ; Capbcela- TRO, Diario etc. I, 58. Gf. Ricca Bernardo, Annali del mondo dei nostri tetnpi etc An. Domini 1655. Ms. in 4 nella biblioteca dell' Archivio di Stato, f. 90 v. e Storia del tumulto di Napoli, pure Ms., che manca del fine, conservato presso di me al f. 13 v. Bisogna però avvertire che il Ricca nella narrazione di questi fatti, copia testualmente le parole del Tontoli. 4) Donzelli, Partenope liberata p. 43, 44, 61. *) Capriata, Istorie t. HI, p. 365. 0) Tarsu Tumultos de la ciudad y reytu) de Napoles en el 1647. Lione 1670 p. 93. T) Della Porta, Ckiuse di stravaganze etc. Mss. 1. 1, f. 9, e 129 mihi; Fui- DORO Innocenzo, Successi storici Ms. f. 18 ; Simonetti Tarquinio, Storta della ri' volu£Ìone di Napoli, Ms. al giorno 7 luglio. > < A. A. > y y — 39 — Ma niun altro scrittore tra i moltissimi editi e ine- diti, che ho potuto riscontrare, descrive con maggior pre- cisione il sito di questa casa quanto un tal d, Griuseppe Pol- Uo, scrittore di non molta levatura, ma assai ben infor- mato dei fatti che narra, perchè sacerdote ed abitante dello stesso quartiere. Questo Masaniello, egli dice, teneva la sìjui casaréUa nel Mercato sopra la gabella del grano a ro- tolo al muro della dogana della farina, vicino la piazzetta de li lanaiuoli allo lavinaro al primo appartamento dove sono le porteUe congionte; la prima a mano destra era la sua; sopra le sue finestre vi era un aquila di pittura imperiale ^) fatta da molti anni prima per aòbdlimento credo di quella casa da 5 palmi alta, quale vi durò per cinque anni da poi detti tumulti, et credo che fosse stata levata da nuovi padroni di quella casa. Altrove aggiunge, che sotto la finestra di Tommaso Aniello vi era un lungo intavolato, che certe persone forestiere ci fa- cevano giochi come salti, halli, et forze dercóle, et continuarono detti giochi per mólti giorni prima del narrato tumulto ^. Qualche altro particolare che riguarda pvire l'interno di essa casa, ci vien somministrato da ima storia Ms. di questo avvenimento, di cui io conservo una copia recente avuta già dall'amico Minieri Riccio. In essa al fol. 7 leggesi: abitava (Masaniello) a man s^inistra, quando si entra 1) Lo stesso dice il Della Porta nel cit. Ms. f. 42. U Campanile inoltre nel Ms. cit. f. 15 V. dichiara che era un'aquila imperiale pittata con un laccio in tomo, £d il GmAFFi, p. 13, spiegando meglio la cosa aggiunge: « Sotto la finestra della sua casa v'è l'arma e nome di Carlo V molto antica verso la parte si- nistra della fontana, ivi vicina, che si attribuisce a misterioso presagio di do- ver egli rinnovare e mettere in pie, come egli stesso disse facetamente più volte, nella città e popolo di Napoli i favorevoli e gratiosi privileggi conce- dutili dall'innata benignità di quell'invitto Monarca. » U Tontoli da ultimo a p. 124 afferma, che l'impresa stava sopra la finestra e dichiara che « l'a- quila fosse stata pronosticatrice del futuro imperio in quella casa sebbene il lac- cio che la circondava infausti annuncii par che additasse. » Ma è facile ima- ginare che l'impresa di Carlo V fosse stata ivi apposta, perchè probabilmente un tempo vi stava l'officina daziaria di Piazza maggiore, poscia più oltre tra- sferita. ^ FoLLio, Histor, del regtw di Napoli. Ms. nella biblioteca Nazionale, f . 24 v. < < A A. V 40 (d Carmine; la stia casa consisteva in una sóla cainera^ ove si ascendeva per una portella. E più appresso al fol. 36 v. : <( farcendosi U signor TomasanieUo assistere da gente di confi- dema attorno ^ diede ordine che tutta la riviera dei palagi attac- cati con la sua casa^ cosi di sopra fino al primo vicolo, come di sotto fino aUa chiesa del Carmine^ che si sgombrasse dalli abi- tatori ». Eld anche al fol. 36 aggiungesi: « concorrevano tante gente alla stui udienza per ogni affare della città et . regno et teneva tanti segretarii, parenti, amici et compatri aMomo che nella sua piccola camera non si potevano movere , laonde co- mandò che si sfaòricasse un muro divisorio con la camera del fratello, et essendo ciò fatto hdibe più comodità di dar udienza per le finestre, senza partirsi di casa et hora per una finestra della camera del fratello che haveva V uscita alla strada del Lavinaro et hora per la sua propria ascoltando tutti faceva gratie et giustitie infinite » ^). Ne da ultimo mancano testimonianze di altra natura, che confermano quanto leggesi negH accennati scrittori su questo proposito. Chi si fa infatti a considerare il famoso quadro di Micco Spadaro , o, se pur non è suo, certa- mente d'altro pittore contemporaneo, quadro che ancora vedesi nel Museo nazionale, scorge in fondo di esso dopo la cappella della Croce l'isola di case che chiude la piazza del Mercato dal lato d'oriente, ed innanzi ad essa la fon- tana che ho di sopra accennata; più a sinistra di chi guarda il palco, di cui discorrono gU scrittori della rivo- luzione, è Masaniello in piedi sul medesimo che parla a > 1) n Ms., che non aveva titolo neanche nell^ originale^ comincia: « È pur troppo diffidi cosa scrivere Thistoria » e finisce « quel che poi succede appresso si scrìverà da chi è stato presente ». L'A. anonimo principia la sua narrazione dai 7 luglio 1647 e la termina col sabato 5 ottobre, quando avendo inteso « che il Duca d' Arcos e sua Altezza havessero risoluto cannoniare la città si parti con tuttala casa per Barì. » Egli spesso è testimonio di veduta e narra le cose con sufficiente imparzialità. Voglio pure notare Terrore in cui cade nel credere che il tavolato innanzi alla casa di Masaniello fosse stato fatto per ordine di costui per avere più. agio a dare udienza. < A. A. — V ^~ y - 42 - ^ moltxD popolo ivi radunato; e finalmente dietro al palco le due portelle congiunte, ed accanto un breve tratto di fabbricato, che costeggiando la piazza presenta un por- toncino ed ima bottega, e va a terminare al vico rotto. Ora, comunque U lungo volger dei secoli, ed i mu- tamenti che la progi'edita civiltà, l'interesse o il genio dei proprietari ed il comodo o le necessità degl'inquilini han dovuto arrecare all'aspetto estemo ed alla distribu- zione intema del descritto caseggiato, abbian potuto per avventura rendere questo in alcune sue modalità più o meno diverso da quello che era nel secolo XVll; ^) pur nondimeno non può mettersi in dubbio, che qui e pro- priamente o nel portoncino segnato col ninnerò civico 177, o piuttosto neUa portella che ha il numero 179, ^ ambedue a brevissima distanza dal vico rotto, dovette dimorare Tommaso AnieUo d'Amalfi. La concorde autorità deUe testimonianze contemporanee che ho di sopra alle- > 1) Cosi le due portelle congiunte^ ora non più esistono, perchè una di essa, in epoca che non posso accertare, diventò bottega. ^ Nella Pianta di Napoli fatta nel 1798, che si conserva nell' Archivio di Stato, al n.<> 17, che porta il titolo: Pezzo del Mercato, si annota Pisola dei caseggiati, che ho di sopra descritta, e si veggono registrati 28 compresi fra botteghe e portelle coi numeri civici da 176 a 202, niunerazione che non è stata mutata ed esiste tuttora presentemente. Se non che la destinazione di alcuni compresi differenzia ora da quella che prima aveva. Cosi il n.<* 179 che ora è portella, allora era bottega, e viceversa il n.<> 181 che ora è bottega, allora era portella; cosi piu^ il n. 191, che ora è portella, era bottega, e il n.<> 192 che ora è bottega, allora era portella. Cosi pure scambiano finalmente i compresi se- gnati coi numeri 198, 199, 200, 201. A quanto pare dimque il n.® 179 che una volta era portella , nel 1798 era bottega ed ora è stata di nuovo addetto alla primiera destinazione. Da ultimo bisogna pur ricordare che recentemente il Municipio di Napoli su proposta della Commissione per la conservazione dei Monumenti Municipali fece apporre sul portoncino n.® 177, la seguente iscrizione: IN QUESTA CASA NACQUE IL XXIX OIUONO DEL MDCXX TOMMASO AKIELLO D* AMALFI E QUI DIMORAVA QUANDO FU CAPITAN GENERALE DEL POPOLO NAPOLETANO < > A. > > y y — 43 — gate, ed oltre a queste l'attestato espresso deUe fedi par- rocchiali, che notando la dimora deUa famigUa d'Amalfi la designano sempre con l'indicazione al vico rotto ^ di- mostrano con evidenza ed assai chiaramente la verità di quanto su tal fatto ho affermato ^). Qui dimque, sebbene ora in qualche parte mutata, era senz' alcun dubbio la casa di Masaniello, e dalle finestre di essa, che erano assai basse ^), o dal palco vicino, egli nel suo breve imperio resse e governò Na- poli con potere assoluto e quasi sovrano. Non vi era in quei giorni altro Magistrato o Tribimale neUa città, non altro comando pohtico o mihtare. Gli stessi or- dini del Viceré non avevano per 1' ordinario esecuzio- ne alcuna , se Masaniello non ne avesse prescritta la osservanza coUa formola che ci vien riferita dagli scrit- tori contemporanei ^) , e che è la seguente: « Visto il presente bando d' ordine di S. E. si ordina da parte dell' Illustrissimo sig. Tommaso Amelio d'Amalfi Capi- tano Generale di questo fedehssimo popolo, che al su- detto bando le si dia la debita esecuzione. » La casa del vUe pescivendolo era quindi più che il regio palazzo allora frequentata. Nobili e plebei, rehgiosi e cavalieri, cittadini e regnicoU, chi per necessità, chi per curiosità, tutti accorrevano numerosi sotto le finestre di questa casa per loro negozii, o per vedere cogU occhi proprii il fatto stranissimo e singolare. E qui nel 10 lu- 1) Vedi le fedi di nascita di Masaniello, dei fratelli e della sorella ripor- tate prima di tutti dal eh. fa signor Luigi Volpicella negli Atti ddV Accademia Cosentina, Né si creda che dicendosi in quelle fedi al Vico rotto, ai abbia voluto indica- re qualche casa posta dentro quel vico. Ivi non vi è presentemente, né pare che abbia potuto esservi pel passato altro che bassi e botteghe. B parroco mancando allora più chiara indicazione, cercò di determinare il sito col vico, assai noto, ch'era alla casa più prossimo. 2) ClPECKLATRO, Op, cit. I, 66; GlBAFFI (LlPONARl) p. 131. 8) Donzelli, Op. cit, p. 52 ; De Santis Op, cit, p. 93 ; De tubri Disaiden'- ti8 etc. p. 83. < < A A. V » y > — 44 — glio del 1647 il generale delle galee del Regno, Giannet- tino Doria, appena giunt» nel golfo spediva un suo gen- tiluomo da Masaniello, perchè « Sua Sig.* Illustrissima divisasse il modo, col quale esso Doria si dovesse gover- nare ; » e qui l'arcivescovo di S.* Severina volendo par- tire da Napoli mandava parimente, come molti altri si- gnori per lo stesso oggetto, a ricercare prima il di lui beneplacito. Anche il cardinale Trivulzio ^), che andava vi- ceré a Palermo, ed allora trovavasi di passaggio in Na- poli, insinuato dal Duca d'Arcos si portò qui un giorno a visitar Masaniello, il quale è fama che lo ricevesse di- cendo : la insita di Vostra Eminen^ia benché tarda pure ci è cara ^. Qui seduto sul davanzale della finestra con le gambe penzoloni al di fuori, senza scarpe e senza calze, il ca- pitan generale del popolo, arbitro della vita e della morte, con ima daga o im moschetto tra le mani, dava ordini, spediva provvigioni , e disbrigava gì' inniunerevoli me- moriali, che suUa pimta delle canne o delle picche dalla strada gU si presentavano ^). Né dehberava soltanto sulla polizia , o sull' annona della città , sulle armi e suUe milizie , sulla giustizia civile e criminale e su quanto i 37 tribunali e magistrati , che allora erano in Napoli , la loro giimsdizione estendevano. Egli in- tendeva pm-anche riformare i costumi, regolare gh Eccle- siastici con strettissima disciplina, maritar tutte le donne di partito, e castigar di morte gU adulteri *). E negh or- < 1) Donzelli, p. 41 : Gibaffi (Liponaki), p. 141 ; Brusoxi, Hiat memorahiU (Ven. 1653) p. 245 ; De Santis p. 79-80; Diario Ms. f . 82. Altri come il Cape- celatro e Nicolai, tacciono questi due fatti o li raccontano diversamente. ^ Questo fatto dal Saltini, Annotazioni ecc. affermasi accaduto al cardinale Pilomarino, secondo che egli aveva udito dire (V. Yocah. della Crusca v. tardo\ ma certamente la persona del visitatore nella diceria fu scambiata. 8) Di Fiore, Giov. Tomaso. Bacconto dei tumulti popolari di Napoli, Ms. contemporaneo presso la bibl. municipale ; De Turri , Op. cit. p. 87 ; Capece- LATRO, I, 165. *) Nicolai, Op, cit, p. 85. A. v V > — 4:5 — fiini suoi, nelle disposizioni che dava, se non vuoisi ri- cusare la testimonianza di lui uomo competente, e che molto da vicino ebbe a trattarlo, vogho dire il Cardinale Filomarino, testimonianza, che è pure confermata dagU scrittori contemporanei tanto napoletani che stranieri, è indubitato che il povero pescivendolo si comportò sul prin- cipio con grandissima prudenjs^a, giudÌ£:io e moderazione^ e che anco senza consulto d'alcuno nei primi giorni dette ^er- fettissimi ordini di buon governo, e dimostrò grandissimo ani- mo , spirito e sapere ^). Ed era pure meravigliosa cosa no- tare con quanta prontezza e con che cieca obbedienza i suoi ordini, anzi i suoi cenni, erano eseguiti. Una leggiera fregatina di coUo fatta coli' indice deUa mano era sen- tenza del tagliamento del capo ; il poUice luicinato e pre- mente il disotto della mascella era più sentenza che in- dizio di forca. In somma quel misero plebeo, era dive- nuto, come il cardinal Filomarino, che ebbe a trattarlo continuamente, scrive al Papa, un Re in questa Città, ed il più glorioso e trionfante che abbia avuto il mondo ^). Fu in questa casa che nella notte del 10 luglio si deliberava delle sorti della città e del regno tutto, e si gettavano le basi delle capitolazioni, poi lette pubbhca- mente sul tavolato della piazza e nella chiesa del Car- mine, ed indi gim-ate dal Viceré nel Duomo. Principal consultore di questi trattati era d. Giulio Genoino, vec- cliio ottuagenario, allora prete, e che in sul principio fii l'anima e la mente della rivoluzione. Altri dottori ma- scherati si trovarono pure in casa di Masaniello in que- ste dehberazioni , e credesi che fossero OnoiSio di Pal- ma, Salvatore di Gennaro, e specialmente Vincenzo d'An- drea, che poscia ebbe tanta parte nel seguito della rivo- < > 1) Arch. Stoì\ Ital t. cit. p. 382; Birago p. 244; De Turri p. 71. 2) Archiv, 8tor. ItaL ivi p. 385 — Capruta Op, dt p. 366. A A. < V V > — 4:6 — luzione , ed indi anche nel ristabilimento degli Spa- gnuoli ^). Qui pure a 13 luglio la gente del Mercato vide strano e curioso spettacolo. Il Viceré dopo aver giiu-ato i Capi- toli nel Duomo, verso la sera di quel giorno per le vie dei quartieri popolari di Napoli se ne tornava al regio palazzo. La cavalcata procedeva collo stesso ordine che aveva tenuto nell'andata. Si apriva con molti reaU trom- betti e con ima compagnia di cento cavalli comandata dal suo capitano e dai rispettivi aiutanti. Succedevano indi parecchi Capitani deUe 29 Ottino, iti cui Napoli era allora divisa, dopo i quali Masaniello montato sopra un cavallo bianco, dono del viceré, vestito di lama d'argento bianca, con un cappello in testa ornato parimente di piume bianche, augurio e simbolo di pace, e coUa spada nuda tra le mani si dimostrava, a tutti riguardevole; e per la testimonianza di uno scrittore contemporaneo , e Spa- gnuolo di nazione, manifestava eccessi di varie virttt ba- stanti ad indurre il popolo all' applauso, V Italia olV ammira- 2:ione, ed il mondo tutto ad un stupore infinito ed incredibile ^). A fianco a lui cavalcava Giovanni d'Amalfi, suo fratello, pm-anche vestito di lama d'argento, ma di color cilestro, ed immediatamente dopo Francesco Antonio Arpaia, il nuovo Eletto del popolo, con due segretarii; d. Giuho Genoino che veniva appresso per la sua grave età era condotto in ima sedia di cuojo nero. Seguiva indi il capi- tano delle guardie di palazzo d. Diego Carriglio con quat- tro alabardieri, i quah precedevano la carrozza del vice- rè tirata da sei cavaUi, e circondata da paggi e palafi^e- nieri e dai medesimi soldati Alamanni, che in quei tempi formavano la guardia d'onore del Viceré. Molte carrozze < > 1) Campanile Ms. f. 14 con qualche variante nei nomi dei consultori ; Ni- colai, Op, cit p. 57. ^ Amatore, Napoli sollevata p. 3G. < >. A. V V > — 4:8 — chiudevano il corteggio , in cui erano i reggenti del Col- laterale, i Consiglieri di Stato ed i Gentiluomini deUa Corte del Duca. La cavalcata uscita dal Duomo aveva girato per la via Tribunali, per la Nunziata, e pel Lavinaro. Tutte le strade, per le quali passava, erano addobbate di tapez- zerie, e, dove non si aveva di meglio, da bianche len- zuola, e le case avevano sulle porte le armi di Spagna da un lato e quelle del Popolo dall'altro ^). Di quando in quando lungo il cammino s' iacontravano sotto bal- dacchini di seta o di damasco i ritratti di Carlo V e di Filippo IV ^ che erano fatti segno alla pubbhca ve- nerazione ^). I popolani armati sotto le rispettive insegne facevano ala al passaggio. Era un tripudio, una gioia uni- versale. Tutte le campane delle chiese suonavano a fe- sta, ed i gridi di viva il Re di Spagna ed il Duca d^Arcos, ai quali dava il cenno Masaniello istesso, si avvicenda- vano col suono dei tamburi, con i clangori delle trom- be, e coUo sparo festivo dei moschetti, che secondo gli usi della milizia salutavano il Viceré nel suo passaggio. Giunti innanzi alla chiesa del Carmine, fosse arte dello astuto spagnuolo, il quale intendeva con ogni modo a gratificarsi la plebe, fosse caso o ordine di Masaniello stesso, la cavalcata volgendo a dritta prese a girare in- tomo la piazza del Mercato. Cosi passava per sotto la casa di Masaniello, ove alle finestre stava la mogUe di < V ^) Lo stemma della piazza del Popolo era un campo bipartito giallo e rosso con un P nero soprapposto. ^ Ciò era stato ordinato da Masaniello. Donzelli Op, cit p. 25 ; Nicolai Op. cit p. 71 ; GiRAFFi (Liponari) Op, cit p. 133; Capecelatro Op. cit I, p. 44 j De Turri, Op. cit p. 71; Ton'toli, Op. cit p. 29. >) Narra il Pollio che Masaniello un giorno capitanando i lazzari avendo visto nella ma Francesca uno dei ritratti del re esposti ordinò a tutto il po- polo che si fermasse e s' inginocchiasse innanzi alP effigie « et fece dire tre pater et altrettcuite avemarie per Taugumento di S. M. come {da quelli) ge- nuflessi fu fatto in presenza mia. » < X A — 49 — lui Bernardina Pisa, giovine, bella ed avvenente, la quale, vestita di damasco turchino guarnito di una sola guar- nizione e con una collana d' oro al collo ^) , secondo G. Montemayor fot. Da una itampa conlemporaitea l'antico costume del nostro popolo nelle grandi occasioni di festa e di allegrezza, gettava con xm bacile di ar- gento ai lazzari ed ai monelli colà raccolti grano , con- fetti, e denaro ^. •) ZeHero del maestro di campo Ottaviano Sauli al Marchete Spinola a Ge- !, nellMrcA. «ter. Nap. an. XV, p. 372. S) PoLUO, Op. cit. fbl. 38 V. e f. 239. V V > — so- li Duca d'ArcMDs, addatosi della persona di lei, o forse dimandatone a chi n'era informato, nel passare la salutò, cavandosi il cappello, come se fosse ima delle più grandi dame della città ^). Cosi egli, come dice il buon prete Fol- lie, che non poteva con più enfatica parola compendiare la grandezza e la singolarità del fatto, volle vedere Masa- niello trionfante nella stia propria casa, ed indi fra gli ap- plausi e le festive dimostrazioni del popolo, essendosi la città tutta per ravvicinarsi della sera straordioariamente Ulumiuata, verso le ore due della notte si ridusse al regio palazzo. Ma la povera casa venne tosto in uggia al Capitan generale del popolo. Allorché la gran mole dei pensie- ri , la lunga inedia , 1' abuso del vino e le veglie pro- tratte, e forse, più che tutto ciò, il veleno dell' adula- zione, di cui era stato cosi largamente abbeverato dal Viceré, perturbarono il suo cervello, egli ordinò — e guai a chi non avesse subito ubbidito — che fra lo spazio dì 24 ore tutti quelli, che dimoravano allato e di contro la sua casa, avessero le proprie abitazioni sgomberate ^. Ivi egli disegnava ergere un maestoso palazzo che fosse de- gna dimora di imo, il quale aveva tanta potenza ed au- torità sul popolo. La fine immatura di lui, che non andò guari e vituperosamente cadde ucciso, troncò a mezzo il superbo disegno. L'ultima volta che egli si mostrò alle finestre di quella casa fii nella vigilia della sua morte. Era alta la notte ; il silenzio e la quiete succedevano omai ai tumulti ed agli schiamazzi della giornata, ed i lazzari sdraiati intomo ai fuochi, che sparsi per la piazza o posti nel capo d'al- cuni vicoli della Conceria e dell' 0?Yo del Conte comincia- < ^) CaxpanilEi Ms. cit. f. 15. n Sauli, nella Lettera sopra cit. dice che fu da S. E. e da tutti salutata ed applaudita. S) Della Porta, Ms. cit. f. 56; Della Monica, Ms. cit. f. 58 v.; Donzelli, Op. cit. p. 48; ToNTOU, Op. cit. p. 134^; De Santis, Op. cit. p. 92. y < A A. V y > — 51 — vano ad impallidire e ad estinguersi, chiudevano gli occhi al sonno. Poche scolte appoggiate al moschetto o alla picca guardavano mezzo assonnate la brace, che di quando in quando, gettando una fiamma più viva, illuminava fan- tasticamente i volti, e le bizzarre posture di quei plebei. Era imo spettacolo degno del pennello di Gherardo Hon- torst o dello stile di HofiBnan. Le guardie si vedevano più numerose intomo la casa di MasanieUo, ove vegUa- vano sei compagnie comandate da Pione o Scipione Gian- nattasio del Lavinaro e da altri capitani più fedeli. Com- ponevansi di giovanetti da 16 a 22 anni, antichi compagni del pescivendolo, per lo più cenciaiuoli o saponari, che por- tavano ordinariamente come special distintivo il graffio e la sporta. Lungo le mura delle case qualche rara ombra cercava di strisciare inosservata. Era Vanni o Giovanni PanareUa della Conceria, o taluno di quelli che col Viceré avevan concertato la morte di Masaniello , e cercavano l'opportunità di mandare ad effetto il loro disegno. Balzato improvvisamente dal letto cosi com'era, in camicia, Masaniello si fece alla finestra, ributtando la po- vera madre e la moglie che cercavano di ritramelo, e dato il suo solito grido di comando, cosi cominciò a parlare ^) : « Popolo mio , ( in questo modo egh soleva apostrofare « i suoi seguaci e la gente che intomo a lui radimavasi) « lascia che io ti dica due parole per mia soddisfazione. « Tu ti ricordi, popolo mio, in che stato eri ridotto per le « tante gabelle ed estorsioni, e per le tante tirannie, con le « quali gì' infami traditori e nemici della patria ti oppri- me mevano. Ti ricordi che non potevi saziarti di quelle frut- « ta, di cui tanta copia ti dà questa terra benedetta, per- 1) Le parole che seguono sono testualmente riportate dagli Storici con- temporanei si stampati che manoscritti. Io qui non ho fatto che raccoglierle e ripeterle. V. tra gli altri Donzelli, Op, cit p. 61 ; De Torri, Op, cit p. 107 e Campanile, Ms. f. 17. Le stesse cose poi Masaniello replicò nel giorno seguente dal pergamo nella chiesa del Carmine. De Santis, Op» cit p. 10. < > < A. A. V V > — 52 — « che dovevi pagare quelli arrendatori e gabelloti che ti « dissanguavano. Ed ora la mercè di Dio e della SS. Ver- « gine del Carmine (ed in cosi dire si toccava V abitino che « dal petto gli pendeva) tu guazzi e vivi nell'abbondanza « e nella grassa, senza gabella e senza gabelloti. Ma per « mezzo di chi, popolo mio, hai tu ottenuto tutto ciò? « Chi ti ha levato da tante oppressioni e tirannie se non « io che non ho risparmiato travaglio e pericolo alcinio « per liberarti ? E pure qual mercede ne ricevo da te, po- « polo ingrato. Dopo tutti questi servigii che io cosi fe- « delmente ti ho prestati, dopo tanti benefizii che ti ho « fatti, ecco in che modo ne son riconosciuto da te. Oggi « coU'abbandono e col disprezzo, dimani coUa morte, per- « che io so che sarò ucciso fra poco. Popolo mio , io son « morto, ho visto che fino la montagna di Sonuna (ilVesu- « vio) mi è contraria, ed ha vomitato sopra di me un diluvio « di fuoco. Ecco vedete, io non ho più carne (e mostrava « il petto ignudo) e questa pelle è solamente informata « dalle ossa. Credetemi, io so chi è stato che mi ha ri- « dotto in questa misera condizione, chi congiura per fi- « nirmi, e potrei anco annichilarlo. Pure io lo perdono, « e voglio che questo Cristo anco lo perdoni ». Cosi di- cendo, levò il crocifisso che avea tra le mani per bene- dire il popolo e soggiimgeva. « Ecco che io ti voglio fare « cinque benedizioni per le cinque piaghe di questo Cri- « sto, anzi sette per le sette allegrezze, nò, voglio essere « più liberale, sieno nove per li nove misteri. » E cosi fece, ed indi lasciando il Crocefisso, voUe che portassero alla finestra tra due torce accese le teste del Duca di Maddaloni e del padi-e di lui eh' erano state staccate dai loro ritratti, opere del cav. Massimo Stanzioni o di altro famoso pennello, e gridò : « Orsù, popolo mio, ecco i tra- « ditori deUa patria ; io so che domani debbo essere uc- « ciso, ma non me ne cm'o; voi però dovete trascinare « quest' infame di Maddaloni, e tutt' i suoi compagni per < y < A. V V > — 53 — « Napoli, e poi, popolo mio, se vuoi star sicuro, e farti « sentire da sua Maestà, devi seguire il mio consiglio, e fare « un porto di questa piazza ed un ponte da Napoli a Spa- « gna. In quanto a me io so e son certo di essere uc- « ciso domani ». Tutte queste parole avrebbero certo grandemente commosso il popolo circostante, se vacillando di nuovo r intelletto non avesse dato un'altra volta segni evidenti di aberrazione e di pazzia. Per mostrare col fatto lo stato, in cui per la inedia e per la fatica erasi ridotto, egli si scopri il petto e il ventre e le parti anche che il pudore cela. L'atto strano eccitò il riso degli astanti, e la pero- razione del discorso fii accolta con beffe e fischi all'uso napoletano. Il prestigio era perduto, o piuttosto si era ecclissato con la ragione del misero pescivendolo. Allora i parenti potettero ritrarlo dalla finestra stanco ed abbat- tuto com'era dalla commozione e dal travaglio. < La piazza del Mercato, che Masaniello voleva fosse sgombrata dalle baracche di legno che la detiupavano, e che prendesse il nome di piaz£:a dd popolo, dopo la sua morte non ebbe alcun notevole mutamento sino al 1781. Allora per un incendio appiccatosi a quelle dopo i fuochi arti- ficiali, che solevano farsi nella sera della festività della B. Vergine del Carmine, il suo aspetto fii cangiato nel modo come presentemente si vede. Poco dopo, nell'ultimo anno del secolo, la sua storia, che comincia col supplizio d'un Principe, fii chiusa con la memorabile e tirannica eca- tombe di quei tajiti illustri personaggi, che allora sagri- ficarono ivi la loro vita all'amore e alla hbertà della patria. «^/^/w^/^AM»> AM^ MA/^MMMA^ > A < PARTE SECONDA La famiglia di Masaniello ; OBEBTA r anno di grazia 1620 , anno notevole nella storia napoletana ai tempi del viceregna- to, si per le novità allora tentate dalla piazza del fedelissimo popolo di Napoli nell'anuninistraaione del Comune, e si per le turbolenze ed i rumori che ne seguiro- no ; primi preludi! della più famosa rivoluzione del 1647. Occasione e favore a queste manifestazioni ed ai tumulti davasi dallo stesso D. Pietro Giron duca d'Ossuna, che in quel tempo era viceré, luogotenente e capitan generale del Regno per Filippo UT, re di Spagna, Napoli e Siciha. Egli da circa quattro atìtìì governava U reame con varia opinione dei popoli soggetti, allorché nel principio di que- sto anno 1620, contro ogni sua espettaaione, era dalla Corte richiamato in Madrid, e gh era dato per successore il cardinal Borgia, ambasciatore spagnuolo a Roma. Non è a dire quanto rammarico e dispetto V ambizioso Duca V ■y > — 56 — risentisse da un tale ordine. Il governo di Napoli, secondo il detto d'un altro viceré, non era da desiderarsi, appimto per non soffrire il dispiacere di doverlo un giorno lascia- re ^). All'Ossuna dunque, come a moltissimi altri viceré che lo precedettero e lo seguirono in questo disgraziato paese ^, riusciva più che mai importuna la nomina del successore, epperò cercava ogni mezzo, onde attraversare la venuta del medesimo e prolimgare cosi per sé il gover- no di Napoli ; se piure, come fii fama, non mirasse ancora ad usurpare dignità più alta ed indipendente. Dovevasi in quel tempo per l'assenza dell'eletto Carlo Grimaldi , andato a Madrid ^ come ambasdatore della sua piazza^ e per la morte di Ottavio Spina) che fino ai 21 marzo lo avea sostituito *), nominare un proeletto del popolo, che durante quell'assenza amministrasse. Or tra i sei nomi presentati, com'era costiune, al viceré per la nomina, eravi quello del dottor GiuUo Genoino, nato di onorata famiglia napoletana ed uomo di acutissimo in- gegno e di sufficiente dottrina % ma di animo torbido ed awersissimo alla nobiltà. Costui dunque parve al Duca, e lo era infatti, imo strumento atto a menare ad effetto < > 1) n Conte di OUvares (1595-1599), V. Giunta aUi Giornali di Scipione Guerra, che si crede opera di un tal Ferrante Bacca. Ms. presso di me f. 1. ^ Non altrimenti di Granvela nel 1570 (Ardi. Stor. IL IX p. 236) ed il duca di Alba nel 1629, (Bucca Ms. cit. f. 2). ^ Era partito il 2 maggio 1619, onde contradire gli ambasciatori man- dati dalle piazze nobili, e supplicare il re per la continuazione del governo del duca di Ossuna. Arch, Stor, It, IX p. X p. 234 n. 65. *) V. Nota Ekctorum, t. UE f. 131 nell'Archivio Municipale. ^) Dell'indole e dei costumi del Canoino trattano lo ZkZZWLk , Giornale eoe, néiV Arch, Stor. It IX p. 571 Capecelatbo, ^nno/t, p. 138; e Diario, I, 7, ec. e tutti gli storici della rivoluzione del 1647. In un Besunto originario de la aoUòacion de la ciudad de Napoies, che si trova tra le Relacionea de los tumìd- to8, di cui ho fatto cenno nella Notizia premessa a questo libro, cosi parlasi di lui: « Jullio Genuino de edad de 86 (80 dicono tutti gli altri scrittori con* < temporanei) ailos, clerigo de misa, descendiente del lugar de la Cava, sin « h\jos, aimque asido casado, hombre inique, y de execrables costumbres, a- « stuto, caviloso, y de min nacimiento, villano, y por tal admittido en Napo- « les, fue eleido por Electo del popolo en tiempo que era virrey el duque de A. > > Y V — 57 — i suoi ambiziosi disegni, epperò fu in preferenza scelto tra gli altri a quell'importante ufficio ^). Il governo municipale della città di Napoli risedeva in quel tempo nelle cinque pixjusze nobili , che dicevansi di Capuana, di Nido, di Montagna, di Porto, e di Por- tauova, ed in quella del Popolo. Tutte queste piazze, che chiamavansi anche seggi , non erano mai riimite in ima generale assemblea, ma ciascima deliberava separatamen- te, in guisa che il voto di quattro di esse, che fossero d'accordo sopra im dato negozio, costituiva la maggio- ranza nelle decisioni di qualimque bisogna del Comune. Ogni piazza nobile per l'ordine intemo e per la propria amministrazione, avea un governo di sei gentiluomini, o cavalieri y come generalmente chiamavansi, meno quella di Nido che ne aveva cinque, d'onde si dissero i Cinqtie e Sei. Sei eletti nobili nominati da questi gentiluomini, imo per seggio, eccetto per Montagna, ove, perchè rappre- sentava anche l'abolito seggio di Forcella, se ne creavano due con im sol voto, e l'eletto del popolo avevano il po- tere, che potremmo dire esecutivo, nel governo della città, e formavano il Tribtmale di 8. Lorenzo, preseduto da im magistrato eletto dal viceré, che chiamavasi Prefetto del- V Annona o Orassiere. « Ossuna, » f. 1. Qualche altra particolarità^ taciuta dagli storici, trovasi nei capi mandati dalla Città contro il Duca di Ossuna, ove dicesi che il Canoino, « avendosi attribuito di essere egli assoluto elettore de* consoli dell'arte della « seta, ne fu per decreto della Camera, come uomo sedizioso, levato con tutta « la sua casa et origine, e comandato che non potesse in futurum esercitare « cariche in detta arfce, nò esso, nò suoi parenti » Giuluni f. 61, v. ^) n Genoino fu creato Proeletto con biglietto del Viceré dei 7 aprile e prese possesso agli 8 dello stesso mese nella sua piazza in S. Agostino. Gin- LUNi Ms. cit. f. 21. Si disse che per avere ima tal carica, avesse pagato 8000 ducati. Bdacion de lo Arcobispo de Capila dirigida al confesor de su Mageatad in' Madrid nei Successi cit UL 369. Egli nell'anno antecedente già una prima volta era stato a' 2 maggio nominato ad ima tal carica; ma la sua nomina per alcime irregolarìtà, con decreto del collaterale de' 17 luglio dello stesso anno, era stata annullata. Le copie del biglietto di nomina, e di questo decreto tro- vansi nel Ms. cit. Successi varii ITE, f. 406, e nel Giuliani, f. 19. < ^ ^ 8 — 58 — Sembra che in origine il popolo avesse nel Comune ingerenza nu^giore. Ed infatti da alcuni documenti ri- leviamo che sotto gli Angioini esso contribuiva per la terza parte nell' amministrazione municipale, rappresen- tando le altre due terze parti i sedih di Capuana e di Nido da un lato, e quei di Montagna, Porto e Porta- nova dall'altro. Ma a poco a poco, né, per mancanza di documenti, può dirsi il come ed il quando, quest'ordine di cose cangiò. Ai tempi, di cui discorriamo, il Comune erasi costituito nel modo come sopra dicenuno, e la piazza popolare, che aveva anche perduto molte delle sue an- tiche prerogative, stava in faccia alle nobiH come uno a cinque. Cosi, per discorrere della maggiore e principal hbertà, l'eletto del popolo, che prima nominavasi a suf- fragio universale di tutti i popolani, dopo i tempi di d. Pietro di Toledo sceglievasì dal viceré tra sei nomi pre- sentati dalla medesima piazza e imbussolati tra 58 de- putati eletti dal popolo, due per ciascuna delle ventinove oUine, in cui dividevasi allora la Città. Cosi pure i ca- pitani delle ventinove ottine sceglievansi dal viceré fra sei persone nominate da quelle ; come tra i 58 deputati sce- glievansi 20 a maggioranza di voti, e tra questi si tira- vano a sorte 10, che assistevano l'Eletto nel suo uffizio col titolo di Consultori. La perdita di queste hbertà e prerogative munici- pali era l'oggetto di spessi reclami da parte del popo- lo, *) ed era lamentata moltissimo dagli scrittori popo- lari di quell'epoca, come dal Summonte, dal Capaccio e dal Tutini ^. E comunque i reclami per la sempre in- 1) Ancho in maggio 1586, allorché Ift sollevazione della plebe pareva che non avesse altro motivo se non l'abbondanza ed il buon mercato del pane, il popolo, come dice un ambasciatore veneto, ù lasciò intendere voler l'esser- Tanxa di taluni privilegi toltigli, e fra gli altri avere cinque voci la sua piazza sola da bilanciare le cinque de'nobili > Mltihblli, Relazioni, II, 148. ») SnmiONTK, Hist. di Sap. I. 135, 144, 157; Capaccio, B forettien p. 780; TrTBi, Deirorìgine e fmdaziime dei Seggi di Xapoli p. 240 ecc.— Io una lettera J I > V — 59 — Tadìtrìce prepotenza della nobiltà, non partorissero alcun effetto nella corte di Spagna e presso i viceré, né si cu- rassero punto i lamenti dì coloro, che cercavano di con- servare le patrie memorie, piu:e e gli imi e gli altri fa- cevano diffondere negli animi di quella classe, per altro assai ristretta del paese, che ora si direbbe borghesia, ed anche, sebbene più scarsamente, tra i popolani e la pie- < > del 12 luglio 1650, che trovasi trascrìtta nella copia del Bacconto della solleva' zùme di Napoli, (V. Notizia sopra citata) la quale già si conservava dal fu mio egregio amico abbate d. Vincenzo Cuomo, ed ora trovasi nella biblioteca Mu- nicipale, il Tutini si lagna di essere st«bo « perseguitato dalli napolitani et in « particolare dalli nobili, li quali, dice egli, sopportar non potendo quello stam- « pai cinque anni prima de' Seggi et in particolare del popolo di Napoli, hanno « sempre cercato di volermi malignare... e, nelli sollevamenti della plebe, pre- « sero occasione di opprimermi, et tentarono calunniarmi.... et in particolare il « figlio del reggente Latro, detto don Diego, lo quale per tutti li puntoni di « Napoli, andava con li librì delli seggi in mano, dicendo che io era stato causa « collo predetto libro, di far sollevare il Popolo Inoltre, vedendo questo vuoto « di effetto, mandarono un giorno in. Sant'Agostino a gridare che io era quello « che andava fomentando per Napoli prima che venis9e l'armata del signor « D. (Hovanni, mandarono un tale di casa Montagna al popolo, in pubblico « con dire che io l'avea fatti ; e questo fu nella festività del mio gran protot- « tore S. Gennaro, poiché alcuni sacerdoti che si ritrovarono presenti, mi di- « fesero con la verità e me lo riferirono la mattina stessa del santo , dentro « l'Arcivescovato.— Inoltre, essendo venuto quello scellerato del Duca di Ghisa, « che fecero! vollero tentare due vie per £Eurmi morire: la prima con pérsua- « dere don Agostino Naclerio , ed il popolo che io diceva male del Duca, e « r altra che io aveva scritto una lettera all' ambasciatore di Francia..... cosa « che neanche mi era passata per la mente acciò se non pigliava per la « strada del Duca , fossi inconfidento del re Cattolico. Dissero dippiù che io « aveva intorbidata la pace. Colui che fu autore di questo fatto fu uno scel- « lerato sacerdote apostata, che, avendo buttato l'abito sacerdotale, vestiva da « secolare e fu Maestro di campo del popolo di NapolL Intendo abbia pagata « la pena delle sue scelleraggini. Dissero finalmente che io aveva fatto uno « scritto contro il Popolo e contro altre genti, quale non si ò veduto mai, ecc. « Camillo Tutini— Die 12 Julii Millesimo sexcentesìmo quinquagesimo ». Bac- conio ecc. f. 88 v.— Il Tutini accusato presso il duca di Guisa di aver scritto la lettera contro di lui all'ambasciatore di Francia, di cui sopra egli stesso fa cenno, per evitare la sorte toccate ai suoi compagni Salvatore di Gennaro, ed Antonio Basso ai 17 gennaio 1648, si rese latitante, ed indi fuggi a Boma, ove tra il 1666 ed il 1667 mqrì. Il fatto taciuto o poco esattamente narrato dagli altri storici e daUo stesso Capeoelatro, trovasi diffusamente riporteto nel Beuxonto del Verde al detto di 17 gennàio. < A A "^ V V > — 60 — be, odii e desiderii, i quali maturavano i semi di una fu- tura rivoluzione. Erano in questo stato le cose, allorché Grenoino venne creato Eletto prò interim del popolo. Egli, preso che ebbe il possesso della carica ai 9 aprile 1620 ^) , comunque non ne fosse ancora il tempo, fece prima di tutto mu- tare nel reggimento popolare i consultori ed i capitani delle ottine. A questi ujfficii fece pure prescegliere dal viceré persone da lui dipendenti e che erano tra i più famosi compagnoni ^ , che allora fiissero in Napoli , spe- cie di vagabondi e faziosi legati in compagnia a comune difesa e vantaggio. Tra gli altri fii allora nominato ^ < ^) Nota Ekctorum t. IH, f. 135 nell* Arch. Municip. Ivi, ai 9 Aprile ò segnato « Oiulio Genoino » ed in margine si nota: Questa mattina pigliò pos- sesso deW Eiettato popolare, ^ Si trova memoria àé* Compoffnoni in Napoli fin dal secolo XV. Nel 17 febbraio 1495 saputosi l'arrivo di Carlo VUE nelle vicinanze di Capua e la perdita di quella città, Napoli si levò a rumore, perchè, come dice il Pàssabo {Giornale f. 66), andaro con tutti i gentiluomini certi ruffiani et compagnoni a sacchiare li Judei (Cf. Diurnali di Oiacomo Gallo p. 12). In seguito, il viceré D. Pietro de Toledo (1532-1552) cercò di estirparli dalla città, vietando con pubblico bando che nessimo andasse in quadriglia, e parve infatti che cessassero (Miccio, Vita di Pietro di Toledo neWArch, Stor, It, IX, p. 18). Ma i Compagnoni ripullularono ed erano numerosi nel secolo XVIL Di loro parla lo Zazzera narrando questi avve- nimenti, ed Innocenzo Fuidoro nei Successi storici della sollevazione del 1647, di cui ho fatto un cenno nella Notizia sopra indicata n. 4. Costui di Onofrio Cafiero dice che vivea « da compagnone di vihssimo valore , habile a far male, di pessima vita, come sono tutti quelli che si chiamano volgarmente compagni (compagnoni),,, e si aveva vendicata opinione di gpiappo alla spagnuola, et smargiasso alla napoli- tana f. 23. Quindi, nel dialetto, im tale appellativo si usò come sinonimo di bra- vaccio, e faceva lo compagnone , dice Fasano nella Gerusalemme XIII, 20. V. pure n, 15. In processo di tempo, forse daUa loro frequenza nelle case di giuoco, e spe- cialmente nella baracca o casa che stava innanzi Palazzo chiamata la Camorra, anziché dalla forma di una sopravveste, ohe fin dal secolo XV pure Camorra dice- vasi (NoTAB GucoMO, Cron, p. 168), i compagnoni presero il nome di Camorristi, senza lasciare l'antico che tra loro (V. Marc Momnisb La Camorra p. 58 ed altro- ve) tuttora ritengono. ^ n biglietto del Viceré dei 12 maggio colla lista dei nuovi capitani nomi- nati si trova nel Giuliani della biblioteca Nazionale al f. 39 v.— Negli Avverti- menti et ragioni in facto, da dirse et informare sopra li capi che sHmputano a Giulio Genoino pi'O eletto del papiro, come nella sua pretensa inquisizione si legge : che, > < A. A. v V y — 61 — capitano del Mercato Francesco Antonio Arpaia, uomo di legge e valente schermitore ^) , che dopo ventisette anni si vide novellamente ricomparire col Gtenoino, e di- rigere per alcun tempo la rivoluzione, che ebbe il nome da Masaniello. Con questi mezzi il Genoino pensava di favorire i disegni deU'Ossima, e nello stesso tempo otte- nere, se fosse stato possibile, il soddisfacimento deUe aspi- razioni del popolo. Egli contava specialmente sul favore, che il Duca si aveva procacciato fra la gente minuta e nei quartieri popolari del Pendino e del Mercato, talvolta con qualche pronta giustizia ^, cosa non comune in quel tempo, spesso coUe feste e coi bagordi, e più di tutto coU'abolizione della gabella sui frutti imposta nel 1605 sotto il governo del Conte di Benavente, ed affittata al- lora per 84,000 ducati ^ Tanno. Un giorno che il vi- ceré passeggiava secondo il suo solito per la città, ed ac- compagnato e seguito dalla plebe, alla quale gittava di quando in quando monete di argento, girava per la piazza del Mercato, passando per la baracca, ove risedevano gli esattori di questa gabella, si accostò alla medesima, e smontato dalla carrozza, cacciò la spada che avea al fianco, e con quella tagliò le corde della bilancia con cui si pesavano le frutta. L'atto subitaneo e liberale, che fii poi seguito da im bando regolare, destò il più indi- cibile entusiasmo nella povera gente ivi affollata, che più delle altre malamente soflEriva questa gravezza. Tutti pro- ruppero in istraordinarie grida di applauso e di gioia. I fruttaiuoli specialmente, che ivi più che in altra piazza < nello scrutinio della elezione essendo approbato Orazio Bega, il Duca elesse Fran- cesco Antonio Arpaia, persona dimandata con grande istanza dal marchese di Trevico, tanto al segretario del Viceré, Urive, quanto ad esso Genoino. Successi cit f. 409. 1) Zazzera 0. e. f. 573. Cf. Capeceultbo, Diario del 1647, 1. 1) Capaccio, 0. e. p. 526 e Zazzera in vari luoghi. 2) V. Cautele voi. VI f. 219 neU'Arch. Munidp. Cf. Arch. Stor. It IX p. 264, n. 51 ; ma qui erroneamente è notato Faffitto per ducati 100,000. > < A. A V V > — 62 — della città erano numerosi, ne dimostrarono allegrezze grandissime, facendo per tre sere fuochi e luminarie, e portandosi nel terzo giorno in ischiera a Palazzo , per rendere al viceré le grazie più solenni ^). Or il Genoino, pensando che la plebe memore di que- sto beneficio avesse energicamente appoggiato le sue di- mostrazioni in favore del Duca, né dubitando della gente civile, alla quale credeva servire colle riforme mimicipali, la mattina del limedl 18 maggio radunò i consultori della piazza popolare ed i capitani delle ottine nella sua casa vicino S. Giorgio Maggiore a Forcella, ed ai medesimi espose con calde parole il poco o nessun riguardo che i nobili avevano del popolo e del suo magistrato \ Indi seguito da tre capitani di strada, e da molta turba ar- mata, si presentò improvvisamente nel luogo della resi- denza municipale in S. Lorenzo, ove, come egli aveva preinteso, eransi riuniti i sei eletti nobUi ed alcuni de- putati delle 'piazze. Oggetto di questa riunione era la notificazione da farsi alle piazze per la nomina degli ambasciatori e del sindaco ^. I primi , secondo il costume , dovevano an- < y 1) Relazione de' 22 Marzo 1619 nell' ^rcA. Stor. IL TX, 231, 64 Zazzxb^^ Op. cit. 553, 815. S) Conclusioni della piazza del Popolo de' 18 maggio 1620, riferite nel Ms. del GiULZAMi f. 22 e Sententia farjudicationis ivi f. 77 Cf. Capaccio 0. cit p. 531. ») Nel voi. Praecedentiarum VI, f. Ili a 13 (n. 132 nell'Archivio munici- pale) ò registrato quanto dagli Eletti nobili praticossi in questa occasione, il che è opportuno riportare qui in compendio. Ivi dunque si narra; che essendosi inteso esser venuto a Procida a. del mese di il nuovo Luogotenente Card. Borgia, gU Eletti nobili decisero notificare alle Piazze che facessero l'ele- zione degli ambasciadori e del Sindico. Le quali elessero ad ambasciatori Anto- nio Caracciolo per Capuana, Carlo Brancaccio per Nido, Cesare Bocoo per Mon- tagna, Matteo Serra per Porto, ed Annibale Capuano per Portauova, perciocché quello del popolo Giulio Canoino non vi ai volle ritrovare, tuttoché fosse stato chia- mato, D. Bernardino di Cardines fu eletto per Sindaco della piazza di Nido, cui toccava. Ai 21 Maggio 1621 gli ambasciatori si radunarono in S. Lorenzo e fecero parità di voti nel nominare chi doveva esporre la ambasciata, tra Cesare Rocco < A. A. V -y > — 63 — dare a far riverenza, l'altro indi ricevere il giuramento, e dare il possesso del governo al Cardinal Borgia nuovo viceré, che in queUa stessa mattina era giunto nascosta- < ed Antonio Caracciolo; ma poi riunitisi di nuovo a' 23 convennero in Antonio Caracciolo, mancandovi il Brancaccio, andato già a Precida. Ai 29 detto mese il Duca mandò nel Tribunale di S. Lorenzo D. Michele Veigara, r^o usciere, a dire che si facesse il ponte per l'entrata del Borgia. Non si trovarono gli eletti perchò dai 18 non erano più venuti nel Tribunale. L'ambasciata fu fatta a Scipione Mazzuola, portiere delle Deputazioni stra- ordinarie. Ai 24 domenica dopo pranzo, gli ambasciatori si riunirono in S. Maria la nova, e, non avendo potuto avere la galea, andarono per terra fino a Poz- zuoli, e poi a Procida. Lidi, fatto intendere al Cardinale pel segretario della Città ch'erano giunti quivi, e che trovavansi nel monastero di S. Margherita fuori la terra, venne loro incontro l'usciere maggiore sino alla metà della strada, e cosi andarono a Palazzo, dove furono ricevuti con suono di trombe e festa grandissima. H Cardinale dal baldacchino , sotto il quale si trovava, venne loro incontro sino alla metà della camera, e poi stette in piedi vicino ad un buffetto. H Caracciolo espose l'ambasciata e disse tra l'altro che i Na- poletani « dal continente avevan distese le braccia dell'affetto sino a quell'i- « sola per ricevere la persona del Cardinale , e che non ritrovandosi per la « strettezza del tempo preparato il ponte solito farsi nella venuta dei viceré, « havrebbero i medesimi cittadini disteso i proprii petti per riceverlo con « quella riverenza et affetto, che li conveniva. » Dopo ciò gli ambasciatori presentarono la lettera degli Eletti, e furono con grande cortesia accomiatati, rientrando indi di nuovo ad imo ad uno per farsi conoscere. Ai 27 mercoledì mattina anche gli Eletti andarono a complimentare il Cardinale, e furono nello stesso modo ricevuti ed accomiatati. Ai 8 Giugno, mercoledì, gli Eletti, senza il SanfeKce, perchè trovavasi malato , e senza quello del popolo , perchè il Genoino ripugnava , ed il Gri- maldi aveva avuto biglietto che andasse a servire nella Summaria, andarono a Procida a dare il consueto giuramento. Quindi nel palazzo del marchese del Vasto in una galleria, verso 20 ore, insieme con alcuni signori del Colla- terale di toga di spada ed altri ministri regi si diede il giuramento. E prima il signor Reggente Giordano lesse la patente, poi parlò il signor Marco An- tonio Muscettola per Montagna, cui toccava, il quale protestando la fedeltà della Città e Eegno supplicò la sua S. DI.» che secondo il solito, e giusta i privilegi della città, giurasse di osservare e far osservare i privilegu, capitoli e grazie. Allora il Cardinale ponendo le mani sopra un messale apparecchiato dal regio usciere disse : Io giuro di osservare e fare osservare a questa fede- lissima Città e Begno tutti i loro privilegu, g^tie, et capitoli conceduti loro finoggi. Ciò finito , il Cardinale vestitosi con celerità s' imbarcò per Napoli, sbarcando a Posillipo e n' andò a dirittura nel Castelnuovo , ove entrò ad im' ora e y^ ^ ^^® ^ notte. La mattina per tempo, si cominciò una delle mag- giori allegrezze che si fosse mai fatta per NapolL < A A. V V > — 64 — mente in Procida. Il Q«ioino, lagnandosi di non essere stato avvisato di una tal riunione, dimandò arrogante- mente agli eletti nobili : se sapevano quanto era potente il popolo di Napoli, e, sapendolo, perchè avevano attre- vito (ardito) di unirsi e deliberare V ambasciata al Car- dinale senza il suo intervento ^). Forse era questa la prima volta, che nel reggimento mimicipale della nostra Città si parlasse cosi arditamente dei diritti e del potere del popolo; ma^ca parola, che è stata sempre la bandiera, per la quale i generosi sa- grificano sé stessi al bene pubblico, ed i furbi cuoprono le ambiziose mire del proprio utile e dei privati interes- si. Alle arroganti minacce i nobili risposero modestamen- te. Dissero aver essi invitato regolarmente il pro-eletto alla riunione, esser colpa del portiere se l'invito non era giunto a tempo ; in ogni modo quell'atto non esser punto pregiudizievole alla piazza del popolo. Il Genoino però non mostrandosi soddisfatto di queste spiegazioni, e pro- testando essere necessaria ima divisione fra le due clas- si, fece leggere al notajo Francesco Romano, secretario della piazza del popolo, una protesta sul proposito, e, scritto di propria mano il suo voto difforme nel registro del Comime ^, volle che la riunione fosse sciolta. I nobili d'altra parte, i quali vedevano i tempi cor- rere loro sfavorevoli, e sapevano che non avrebbero pò- < 1) Zazzbba nell' Op. cit p. 575. *) Questo voto che si legge nel libro Votorum t. Il f. 33, del nostro Ar- cbivio municipale, è il seguente: « A di 18 Maggio 1620 io Giulio Genoino, < eletto di questo fedelissimo Populo dico che essendomi conferito con alcuni « deputati de detta mia fedelissima Piazza, nel tribunale di Santo Lorenzo, dove « ho trovato gl'in&ascritti signori delle infrascritte piazze, ciò è per Capuana « Francesco Figliomaria (sic) ; per Porto Pietro Macidoni ; per Montagna Mar- « cantonio Musceptula; per Nido Scipione Dentice; per Portauova Matteo < Capuano, avanti li quali ho fatto leggere una protesta per mano di notare « Francesco Bomano , et quella stipulata in presentia delli detti signori , et « per ultimo per molte giustLssime cause si è dimandata la dissunione del « Populo da detta nobiltà , ccme appare in detta stipulazione , fatta questo « medesimo giorno ». ' y < A- A. > > Y /■ — 65 — tuto trovare alcun appoggio nel viceré, per consiglio di Pietro Macedonio eletto di Porto, che disse: Lasciateli protestare, perchè protestare e mendicare idem est : non fecero alcima opposizione ^). Deliberarono quindi ritirarsi, e rapportando il tutto ai reggenti del Collaterale ed al Car- dinal Borgia per mezzo degli ambasciatori nominati daUe piazze a complimentarlo, spedirono Giovan Francesco Spi- nello a Madrid ^ afiine di esporre al Re le loro la- gnanze e ventitre capi di accusa contro il Duca d'Os- suna ^. Frattanto si appartarono dalle cure del pub- blico governo, e coi più compromessi della loro classe restarono chiusi nelle proprie case o nascosti nelle chiese e nei monasteri della città. Cosi il governo municipale di Napoli era lasciato a disposizione del solo Genoino, che provvedeva le cose e l'annona a suo modo e talen- to % Né con la venuta di Carlo Giìmaldi *) che era , come già dissi. Telette titolare, da Spagna, le cose mu- tarono; perciocché, obbhgato costui dal Duca a dimet- tersi, lo stesso Genoino, sebbene non ne fosse ancora il tempo, fu creato eletto dal viceré, ed ai 29 maggio dopo aver cavalcato per la Città, preceduto e seguito dai por- tieri, e con la toga di giudice crimiaale, che pochi dì in- 1) Avvertimenti et ragioni ec. sopra cit. f. 410. 3) Lettera degli Eletti della Città al Re, del 19 Maggio 1620, stampata dallo Zazzera, Arch, Star, t. cit. p. 576. ^ Questi capi di accusa mandati al Re contro il duca di Ossuna, e distinti in Governo di giustizia, in Governo del regno, et allogjiamsnti, nel Chvemo della Città, in Azienda reale et Religione si leggono integralmente in Giuliani, Cose Varie f. 54 ed in compendio presso lo Zazzera, p. 572. *) Le licenze ai Suggici da' 30 maggio a' 3 di Giugno sono firmate dal solo Genoino. IHvers. Xm, f. 114; (N. 1394, A. M.)-Gli eletti nobili affermano che egli fosse anche messo in possesso di molti arrendamenti della città, esigendo e disponendo tutto da sé solo. Lettera al re, presso lo Zazzera, p. 579. ^) « In questo di del 18 arrivò di Spagna il Dottor Carlo Grimaldi, e la « mattina del terzo di seguente fu dichiarato che rinunziava al suo eiettato et « durò per alcuni giorni che tornò il Canoino ». Nota Electorum, IH, f. 137 v. D Grimaldi mandato alla regia Camera, non accettò Fufficio e si ritirò nel convento del Carmine. Zazzera, p. 586. < < A — 66 — nanzi gli era stata pure accordata, pertossi in S. Loren- zo, ove non essendo presente che un sol eletto nobile, prese possesso deD'ufficio ricevuto ^). Bentosto un manifesto del fedelissimo popolo di Napoli scritto dal nuovo Eletto, e sti- pulato ai 30 del mese da notar Francesco Romano, dichiarò le intenzioni del Genoino. Con es- so s'invitavano le piazze nobili ad intervenire fra otto giorni neDa chiesa di Santa Chiara, ove si dovessero trattare tra quelle ed il popolo le riforme del reggimento municipale da lui proposte. Si dichiarava inol- tre che mancando le dette piaz- ze o persone da esse deputande all' intimato parlamento , s' in- tendeva proclamata la separa- zione tra la nobiltà ed il pò- «lui-ro gekoino polo, e lodandosi l'ottimo gO- 0.aeMont«nayart^t. daMU^,p«c. Sueeesii, t. Ili, 410 v. V > — 67 — renze non fossero concordate, e finché non fosse fatta giustizia alle pretensioni della pia^^a popolare ^). In- tanto preventivamente ad istanza del medesimo Genoino, si chiamavano dal Duca in palazzo le stesse piougze no- bili ed il Collaterale, perchè avessero conoscenza dei capi delle proposte riforme % e con quelle anche i capitani ed i consultori popolari, tanto della vecchia quanto deUa nuova sessione, perchè li firmassero. All'ora stabilita né la nobiltà né il Collaterale com- parvero. GU stessi capitani delle ottine popolari non tutti assentirono, ed alcuni anzi ricusarono apertamente di fir- mare. Altri, tra i quali fii Marco Antonio Ardizzone, cre- denziere e conservatore dei grani deUa città, sotto il pre- testo di non voler mostrare di cedere alle pressioni del viceré (era presente il Duca d'Ossuna) proposero che l'as- semblea si portasse in qualche luogo pubblico ed indipen- dente, come in una chiesa, ed ivi avesse più Uberamente deUberato. E cosi fii fatto. Si andò nella chiesa di S. Luigi di Palazzo ivi vicina, ora S. Francesco di Paola; ove credendo il Genoino che si firmassero i capi propo- sti, nessuno volle farlo, ed ognimo andò via alla sua pro- pria casa ^. In questo frattempo la città per gl'insoUti avveni- menti, era piena di agitazione e di tumulto. Il grido se- < > 1) Questo manifesto è pubblicato nello Zazzkwa, Op, cit p. 591. ^ I capi delle riforme proposte dal Ghenoino si leggono stampati con lo Zazzera nel cit. Arch. Stor. It t. IX, p. 593, n. 375.— U Genoino voleva fieurli stampare per diffonderli nel popolo, ma il tipografo non volle eseguir ciò senza il permesso del Collaterale (p. 596).-rInoltre gl'intendimenti del popolo sono alquanto più ampiamente manifestati in ima lettera del medesimo Genoino agli Accademici Oziosij trascritta dalle carte di lui nel voi. m, de' Successi del Dwxl d'Ossuna f. 403 v. che credo util cosa interamente riportare in Appendice al n. 1. ^ Cosi narra lo Zazzera, p. 549, ma il Genoino nella propria Difesa af- ferma che si facesse la conclusione almeno di supplicare il Re a lasciare il Duca d^Ossuna nel Governo del Regno. Successi cit III, f. 414 e 416 v.—L' Ardizzone neW Esamina o Interrogatorio fatto al Genoino, carcerato in Ispagna, a'3 e 9 A- gosto 1620 è chiamato da lui suo emulo. Giuliani, f. 177 v. mihi. < A. A v > — 68 — dizioso di serra serra, che in Napoli per lunga pezza fu il grido precursore della rivoluzione ^), spesso risonava per le vie più popolose. Allora le case e le botteghe si chiudevano, le officine intermettevano i loro lavori, il chiasso dei venditori ambulanti in un attimo spariva, ed un silenzio di tomba, che incuteva terrore negU animi, succedeva dappertutto. Erano queste dimostrazioni pro- vocate, come credevasi, daUo stesso Genoino, affinchè, in- sorgendo il popolo, egli avesse potuto ottenere il suo scopo. Ma il momento non era ancora matm-o. Pochi erano quelli, che comprendevano la ragione e la utilità di quelle rifor- me, che lo stesso reggente Costanzo, patrizio insieme e magistrato , trovava giuste ma inopportune ^ ; pochis- simi quelli che avevano la forza o la volontà di adope- rarsi ad ottenerle. Né il disquilibrio ed il danno negl' in- teressi materiali erano giimti a tale che potessero spingere la plebe a qualunque più ardita e pericolosa novità. Ep- però nessimo allora si mosse, ed appena nel mattino del 4 giugno 1q salve di uso annimziarono che il cardinal Borgia aveva preso possesso della carica di viceré, e si seppe che era stato nella notte segretamente introdotto nel Castel Nuovo, ed aveva ricevuto obbedienza dalle autorità civih e militari, che tosto la scena cangiò in- teramente. Il Genoino ed i suoi partigiani fuggirono o si nascosero, il Duca ai 14 giugno parti per le Spagne; non parlandosi più delle pretensioni del popolo, gU or- < 1) Era con editto stabilito che non si potesse gridar : serra serra; e che contro quei che a tal editto contravvenivano procedesse la G. Corte della Vicaria ad horas. De SAsns, Codice delle leggi del r. di Nap. Xn, p. 261.— Negli Av- vertimenti cit. il Genoino nega di aver avuto parte a questi tumulti, anzi dice che nel 28 maggio usci solo per le strade della città a persuadere i cittadini che a- prissero le botteghe e le case, f. 411. ^) Zazzera, p. 598. Mi piace riportare in Appendice al n. 2 im dociunento assai importante sul proposito, che leggesi nel Giuliani, f. 252. Esso è una lettera deir Eletto e della piazza popolare a D. Baldasseure Zunica, presidente del Con- siglio d^Italia, la quale ci dimostra, come le lagnanze e le aspirazioni del popolo esposte dal Genoino non erano già per particolari suoi fini esagerate. < A- A y > > — 69 — dìnamenti municipali seguitarono a reggersi nel modo che prima costumavasi, e tra gli spari degli archibugi ed il suono delle campane, che dimostravano la gioia della maggior parte dei cittadini, i fanciulli andavano per le vie di Napoli in ischiere ed a coro, cantando: Sfatte aliterò citatino Ca è trasuto 'o cardinale Noe ha sarvate eT ogne male E cardato Oenovino ^). Or nel 29 giugno di questo stesso anno 1620, in cui accadde T accennato movimento, che potrebbe acconcia- mente tenersi come il prologo del dramma svolto poscia nel 1647, alcuni popolani, uomini e donne, erano con- venuti in una casa al primo piano al vico Rotto nella piazza del Mercato per festeggiare un lieto avvenimento. Si procedeva al battesimo di un fanciullo nato ijiel mattino, e che era il primogenito della famiglia che ivi abitava. Tutti portavano i loro abiti di gala. Gli uomini, alcimi, i più ricchi e smargiassi^ o/oW aXbemugJso (specie di cappa) di ^ ZaxzsrAj p. 603. Secondo leggiamo nel citato voi. Praecedentiarumj al f. 114 Y. « A* 14 Giugno, la domenica verso sera il duca d*0ssima si imbarcò in una squadra di 6 galee per Spagna, lasciando in Palazzo sua moglie ». U Genoino nei primi giorni si « salvò nelle camere della Viceregina, Lettera di un cavaliere del governo della città a Criov. Francesco Spinelli in Giuliani, f. 32. Nella copia Ms. dei Giornali dello Zazzera, posseduta da me, al di 14 giugno si notano coloro, che furono carcerati pei passati tumulti, tra i quali cinque parenti stretti del Genoino, e coloro, che furono fatti forgiudicati, tra i quali Giulio ed Antonio Genoino, e Francesco Antonio Aipaja. Si nota pure che furono confiscati e venduti i beni di esso Genoino. Non si tenne conto del guidatico e salvacondotto, che egli aveva avuto dal Duca di Ossuna, copia del quale si legge a f . 70 del Giuliani. Sembra anzi che fosse stato posto un taglione sul suo capo, come può congetturarsi da una lettera degli Eletti dei 15 ottobre 1620. Litterar. VII, f. 2: v. nell'arch. Munic. Da ultimo nella stessa copia Ms. dello Zazzera ai 6 agosto si narra che il Card. Borgia fece carcerare da 300 uomini popolari, la maggior parte del Mercato, per aver essi parlato licenziosamente del dottor Carlo Grimaldi, Eletto del po- polo, sopra le cose della grassa ; quali stettero cosi carcerati per parecchi giorni, e finalmente furono liberati con molto lor danno. < < A V > — 70 — teletta, col sajo di rascia a finte e liste di tarantola giaUa, col giubbone di tela della Cava squartato e foderato di taffettà rancio, con cosciali e calze di stamma e stracci di seta legate con cioffe e seiscidij e col collaro di tela fina, e cappello ornato di pennacchio epassacavaUo ^); altri — i più modesti — con casacche a campana con bottoni grandi di camoscio, calzoni {cauze a brache) di tarantola bianca, e calze aUa martingala di negro ^ ; altri finalmente, marinari o pescatori, in più sempUci arnesi, con calzoni di dubletto o di tela bianca, e camiciuola di lana, e col tipico berretto rosso in testa. Né mancava chi portasse le maniche a la spagnola larghe ed increspate, come era la moda in quel tempo, e chi, come i vecchi più tenaci delle antiche usanze, i calzoni coUa giamera (scarsella) ed i berretti piatti a taglierà ^. Le donne vestivano con corpetto di scerghiglia, da cui compariva la camicia di tela di bretagna, con gonnella di saia frappata, e con grembiule di filondente ornato di pvizilli a fi'angette , e di truglio (ciondolo tondo) di vetro *) o con sottana di dobretto corta e tonda. Portavano, se giovani, le scarpe di sommacco piccato, o di cordovana, se attempate, c/tea- nieZfe, pantofanettiy o zoccoli *). Vera qualcima del Mah piccolo col vestito e col manto proprio di quella contrada, di cui qualche raro esempio ora può trovarsi nelle donne di Precida ^. Nelle fanciulle potevano notarsi le acconcia- ture del capo o alla scozzese, coi capelli cioè a canestrette < > A 1) Basile, Pentamerone, 1, 136 ; Le muse napóliixmej II, p. 328, Ck)BTESE, Ope- re, n, p. 233, 234. ^ Basile, Fentamerone, 1. 130. «) Ck)BTE8E, Opere, L 90; II, Fref, m, 142: Basile, Feniam. IL 118; Sqrut- TENDio, Ld Tiorba a taccone, p. 27. *) Basile, Fentam. I, 353; Cortese n, 98 e 99; Valentino, La meza can- na, p. 24 ^) Ck)BTESE, II. 7 ; SORUTTENDIO, Ivi p. 30. ^ Celano, Notizie ecc. della Città di Nap, Giorfi. IV. p. 292 ediz. del Chìa- lìni ; Saktillo Nova, La Sporchia ncanzone, p. 210. A ■y V > — 71 — intrecciati da nastri o fettucce (zagarellé) incarnatine o ver- di, tra cui taluna aveva posto una ciocca di ruta ^) , o alla spagnola col tuppo , che con voce propria ^ di quella nazione dicevasi muno {chignon). Le maritate usa- vano il toccato^ che era proprio del Mercato e Lavinaro % le foresi la magnosa. La stanza, in cui quella gente era radunata, aveva un' assai modesta ma non povera apparenza. Una cas- sapanca a borchie di ottone, un canterale, una tavola di noce, ed in fondo un letto alto, senza trabacca, ma con biancheria di tela fina di bucato, e con coltre di seta, ove stava la puerpera , erano i principah mobih che l'or- navano. Allorché fii chiaro che nessuno dei parenti e degU amici convitati mancava a quella domestica festa, la de- stra comare, che, senza intermettere la sua ordinaria lo- quacità, aveva finito di avvolgere tra le fasce il neonato, gli appendeva alle spalle alcuni amuleti, come denti di lupo, coralli, porcellini, e mezze lune di osso *); ed indi lo prendeva tra le braccia e portatolo in mezzo alla stanza, lo metteva in terra sul tappeto, che a tal oggetto da un ragazzo era stato in quel momento colà disteso. Poscia , volgendosi al padre del bambino, gli diceva : Ora su, com- pare, aurate 'o padondeUo tuio, e benedicetiUo e basattllo mmocca. (Orsù via, compare, alza da terra questo tuo bambino, e benedicilo e bacialo in bocca). Cosi faceva tutto allegro colui, ed indi lo dava tra le braccia del parente che eragli vicino, il quale baciatolo anche a sua volta, lo passava a un altro, e questi ad un terzo, in guisa che il neonato non era riposto sul letto della puerpera se prima non avesse fatto il giro di tutti gh astanti. E nel compire < 1) Cortese, I. 246 ; Soruttkndio, p. 14 e 53 ; Fasano, Gerusalemme Libc' rata, I. 42. *) Sgruttendio, p. 53 e 187. 8) Capecelatro, Diario, III. 316. ^) Basile, Pentam. 1, 365. > < A. A. V > > — 72 — questa cerimonia, ciascuno aggiungeva il solito augurio, che in tale occasione costumavasi, cioè: comme Vavimmo visto natOj vedimmólo murato ^). Fatto ciò, la comare prese in braccio il bambino, e seguita da alcuni dei parenti e da colui che dovea levarlo dal sacro fonte, non senza l'accompagnamento di moltis- simi ragazzi e monelli che l'aspettavano in sulla strada, si collocò nella rituale seggetta o bussola, e s'avviò aUa chiesa parrocchiale per compire il rito religioso. La chiesa di S.* Caterina in foro-magno era la par- rocchia, da cui dipendeva la casa abitata dalla famiglia del neonato. Questa chiesa era stata fondata daUa con- fraternita dei coriari o pellettieri (conciatori di pelle) , e propriamente da quelli che dicevansi deW arte grossa. In prima era una grancia di S. Arcangelo degli armieri, isti- tuita dopo l'ampliazione della città nel 1536 ^. Poscia nel 1599 dall'arcivescovo Alfonso Gesualdo fu dichiarata parrocchia. Oltre alla congregazione suddetta radunavasi pin^e ivi la confraternita del Santissimo Sacramento isti- tuita nel 1568, la confraternita di S. Maria di Costan- tinopoli fondata nel 1535, e la compagnia dei pescatori da hdentino canniiccie e fUaccionej della quale si conoscono le capitolazioni del 1585. La chiesa, come ancora vedesi, era posta tra il con- vento del Carmine e le mura della città, verso il lido, ove a quei tempi era la porta del torrione della marina. La piazza, che vi era innanzi, dicevasi allora di S. Cate- rina , ed anche de li scamusciaturi ^. Fino a pochi anni fa esisteva la porta antica di essa di pipemo ed a sesto acuto, che nel 1850, rifacendosi, con cattivo consigho fu < ^) Cortese, Yajaaseide^ e Tardacino (Bartolomeo Zito) Annotaz, II, p. 76 e 88. ^ De Stefano, Luoghi sacri di Napoli p. 46. ■) Sdmmontk, Hist di Napoli, I, p. 279. Acta Visit paroch. minor, ab. arch. Annibale de Capua a. 1580. f. 455. A. > > Y V — 73 — axQinodemata. Nei tempi, di cui discorriamo, l'edificio, di una forma alquanto più regolare di quella che è al presente, aveva due piccole navate laterali, di cui una a destra di chi entra esiste tuttora, e l'altra già fu adat- tata ad uso di sacristia. Aveva pure cinque altari, oltre il maggiore, con cone o di alto rilievo in legno indorato, o di tavole e dipintin^e dell'antica scuola napolitana, che tutte, meno 1' affresco che vedesi ancora sulla cappella dal lato dell'epistola, furono sostituite da quadri moderni di mediocre pennello. Innanzi al presbitero, come era costume in quei tempi, una trave posta in alto a tra- verso sosteneva un crocifisso in legno. A sinistra di chi entra eravi il fonte battesimale, ed a destra quel braccio in fondo della chiesa, che si prolunga verso la marina e forma un lato ineguale ed abnorme dell' edificio, era una cappella che serviva allora per sacristia ^). Era allora parroco di S. Caterina l'abbate D. Giovan Matteo Peta. Costui, adempito il rito prescritto dalla nostra religione, ed accomiatato il popolano, che aveva tenuto il bambino al sacro fonte e la comare, entrò nella sa- grestia, ove toltisi i sacri paramenti, e preso da uno scaf- fale un grosso libro, su cui leggevasi : Libro XII dei bai- tezzati, al foglio 44 verso scrisse: A 29 Giugno 1620. Thomaso Aniello figlio di Cicco d^ Amalfi et Antonia Gargano è stato batte^^ato da me D. Giovanni Matteo Peta, et levato dal sacro fonte da Agostino Monaco et Giovanna de Lieto al vico Rotto ^. Francesco d'Amalfi, che nel dialetto napoUtano dicesi anche Cicco, e che per burla comunemente era chiamato 1) Celano ; 0. e. IV, 218 ; D' Ambra, Descriz. di Napoli U, p. 394. ^ Fino al 1844 generalmente dubitavasi del luogo della nascita di Masa- niello. Alcuni lo dissero napoletano senza più, non dichiarando se era tale, per- chè nato in Napoli, oppure in altro luogo del Begno. Altri lo dissero nato nella nostra città, nella piazza o ne' vicoli del Mercato. I più lo credettero amalfitano, donde avrebbe tratto il cognome che, da taluno anche contemporaneo (V. Bai- thas. BomFAcn Historia ludicra, Ven. 1652 p. 746 e ss.), senza alcun fondamento >V A < < 10 V V > — 74: — CecconCy poco prima, come ci attestano i documenti della stessa parrocchia, si era congiunto in matrimonio coli' An- tonia Gargano. Ai 18 febbraio dello stesso anno essi erano stati solennemente ingavdiatij ed il medesimo abbate D. Giovan Matteo Peta aveva col sacro rito legittimato e benedetto il loro amore, del quale l'Antonia portava già un pegno nel proprio seno in Masaniello. La cerimonia, per questa circostanza , fu celebrata in casa della sposa al Carmine, previa l'autorizzazione deUa ernia arcivesco- vile di Napoli ^). < si affermò esser Maia o di Maio. E cosi su questo e sul nome, che egli cangiò in Tomaso Angelo il detto Boniface poetava a p. 748 della detta opera. Nominia omen habet, pelagoque profundior alto Maocimus hic Thomas grandis abyssus erat Angelua ut verbo, factis aie Angelus ipsis Nescio quid majus vir fuit ipso viro. Gente satus Maja, solers, subtilis, acutus Ingenium alipedis nactus et ipse Dei est Quid mirum quod tam veHox hinc avolet ? alas Dat suus huic genitor, quo cder astra petat. Ma, nel 1844, l'egregio abbate d. Vincenzo Cuomo ed il signor Emmanuele Palermo, diligentissimi investigatori delle cose nostre, tolsero ogni dubbiezza su tal proposito. Essi rinvennero ne'registiì della Chiesa parrocchiale di S. Caterina in Foro magno non solo la fede di nascita del medesimo, che ho riportata testual- mente nel racconto, ma anche le fedi del matrimonio suo e de'suoi genitori, non che quella della sua morte e della nascita di sua sorella Grazia e di im fra- tello, Antonio, che dovette morire pria del 1647, non trovandosi di lui men- zione alcuna ne' fatti di quello anno. Poco dopo tutte queste fedi furono pubbli- cate dal chiarissimo cav. Luigi Volpicella, in im suo erudito discorso Della pa- tria, famiglia e morte di Masaniello di Amalfi nel voi. m degli Atti delP Accademia Cosentina, ed indi ripetute nella 2.* edizione della Storia Napoletana delTanno 1647, scritta dal fu chiarissimo Michele Baldacchini. 1) e A 18 Febbraio 1620, Francisco, alias Cicco d'Amalfi et Antonia Gur- « gaao, ambi napolitani che habitano al Carmine, servatis servandis iuxta formam « del S. C. T. et i riti della nostra Corte, ambi sono stati ingaudiati in casa per « me Don Giovanni Matteo Peta, paroco, con decreto di Monsignor Vicario Gene- « nJe, e vi furono presenti Andrea di Bossi, Agostino Ceratolo, Salvatore Liz- « zibelli, e Giovan Battista Cacuri, don Olimpio Siciliani et altri ». Registri della Chiesa Parrocchiale di S, Caterina in foro magno. Libro V dei matrimonii, f. 89 n. progressivo 16.— In un poemetto scritto a forma di lettera in dialetto napole- tano ai 10 agosto 1647, di cui conservo copia, dicesi: No cierto Masaniello piscia- vinaio. Figlio de no Ceccone, > < A J< V > > — 75 — Ventun anno di poi nella stessa parrocchia compivasi un altro atto solenne della vita privata di Masaniello. Ber- nardina Pisa, vaga ed onesta fanciulla a sedici aTrm' ^) aveva ferito il cuore del giovine pescatore. Egli la cercò in moglie, e la dimanda fii accettata e gradita. Un giorno verso la fine del 1640 il giovine vestito dei suoi più belli abiti da marinaro fece la prima visita ufficiale, la sagliuta^ come propriamente dicevasi dal no- stro volgo, in casa della sposa, e portò alla medesima il dono di uso, conveniente alla scarsezza dei tempi ed alla propria condizione. Consisteva questo in due pendenti, una canruuxa (collana), una graudiglia (specie di gorgiera ali* uso spagnuolo), ed un ventaglio, alcune calze, delle legacce , e degli spilli , ed altre cose di tal genere ^. Una stretta di mano ed un bacio alla sposa compirono il rito, e solennemente suggellarono la reciproca promessa di matrimonio ^. Da quel di alle finestre della casa di Bernardina, che era posta dirimpetto alla Chiesa del Carmine, e da quelle dei suoi parenti, come alle finestre della casa sulla piazza del Mercato accanto al vico Rotto^ ove dimorava Masaniello, ed a quelle dei parenti di lui per alcuni giorni si videro pendere coverte di seta e tappeti. Cosi, secondo il costume, davasi conoscenza al pubblico del parentado contratto tra le due famiglie *). n matrimonio in seguito fii solennemente celebrato nella chiesa di Santa Caterina, ove i due sposi tenendosi per mano, e seguiti dai proprii parenti ^), si recarono 1) « Addi 29 Luglio 1625 Bernardina, figlia di Pietro Pisa et Adriana de « Satis è stata battezzata da me D. Giovan Matteo Peta et levata dal sacro « fonte da Prutentia Calenda, avanti al Carmine ». Meg. dt Ltb. XII dei hai- tezzatù fol. 151 n. 188. >) Basile, Le Muse napoletane U p. 287 e 305. ^ Basile. Pentam. I. 365; Cortese, II, 50 e 99. ^) Cortese Annot del Tardadno, II. 155. fi) Basile, Le Muse Napd: Il 288. < A X V V > — 76 — ai 20 Aprile dell'anno seguente e non mancò di alcuna di quelle cose che solevano allora costumarsi in simili circostanze ^). Tutti i parenti e gli amici più stretti fu- rono invitati e convennero alla festa. Tra i primi erano Antonia Gargano e Andreana de Satis, madre di Ber- nardina; poiché Cicco d'Amalfi e Pietro Pisa, genitori degli sposi, erano già morti. Vi era pin^e Grazia d'Amalfi sorella dello sposo e Cesare di Roma di Gragnano, che l'aveva recentemente impalmata ^; Giovanni altro figlio di Cicco d'Amalfi, che allora aveva 17 anni '), e che poscia nel 1647 ebbe parte al potere e alla fortuna del fi:atello; Girolamo Donnarununa altro cognato di Masa- < 1) « Essendosi fatte le tre deniinzie neutre giorni festivi continui , cioè « a* 27 Gennaio, 2. 19 febbraio 1641, inter misaae parrocchialia aolemnia et non «essendo scoperto alcun impedimento, io abbate don Giovan Matteo Peta, « per me interrogato in chiesa Tommaso Aniello di Amalfi et Berardina Pisa « napolitani, dicti habitano a questa parrocchia, et avuto il loro mutuo assenso, « servata la forma del S. C. T. et decreto di Monsignor Vicario Generale, con « lo quale despenza etiam al bimestre elasso, Tho solennemente conjunto in « matrimonio per verba de praeaenti et vi furono presenti Domenico de Satis , « napolitano, figlio di Nuncio, di questa parrocchia, Giovan Battista Pisa, na- « politano, figlio di Scipione, di questa parrocchia ; Domenico d'Alessandro, na- « politano y figlio di Vincenzo, di questa parrocchia et Clerico Andrea Catone, « et altri ». Beg, cit Lib. VII dei Matritnonii f. 3 n. 18. ^ « Grazia Francesca, figlia di Francesco d'Amalfi, et Antonia Gar- « gano, è stata battezzata da me don Giovan Matteo Peta et levata dal Sa- « ero Fonte da Geronima Esperta, al vico Botto ». Beg, cit Lib. XII de'bat- t ezzati, f. 69 n. 98.— « A' 27 Gennaio del 1641 precedenti le tre debite denun- « zie ne' tre giorni festivi consecutivi, 6, 13, 17 gennaio 1641, inter misme pa9^ « rocchialis solemnia, et non essendo scoperto alcun impedimento, io Abbate « Giovan Matteo Peta, parroco, ho interrogato in chiesa Cesare di Roma di «.Gragnano, e Grazia d'Amalfi napoletana, ambi non ancor casati, habitanti « al Vico Botto al Lavinaio, et havuto il lor mutuo assenso, secondo la forma « del S. C. T., con decreto di Monsignor Vicario Generale, l'ho solennemente « riuniti in matrimonio |^r verba de praesenti; et vi furono presenti Thommaso « Aniello d'Amalfi, napolitano, figlio di Francesco di questa parrocchia, Giu- « seppe Giannattasio, napolitano, figlio di Baimondo, di questa parrocchia, Ago- « stino Brancaccio, napolitano , figlio di Battista, di questa parrocchia , clerico « Andrea Catone, et altri ». Beg. cit. Lib. VII dei matrimoniiy f. 2. ^ « Ai 26 maggio 1625 Giovan Battista figlio di Francesco di Malfa et « Antonia Gargano è stato battezzato da D. Sebastiano Zizza, et levato dal « sacro fonte da Geronima Composta al Lavinaio ». Beg. cit. lib. XII dei bat- tezzati, f. 126. > < A. A. > > •y Y — 71 — niello salsumaio e bottegaio di frutta al Pendino, che dopo la morte di lui nel settembre 1647 fu nominato capitano del popolo per qualche tempo ^) ; Domenico de Satis e Giovan Battista Pisa zii della sposa ed altri molti. I due banchetti di rito, uno nella mattina in casa di Bernar- dina e Taltro nella sera in casa dello sposo, furono ab- bondanti e pieni dell' allegria franca e spensierata dei na- poletani ^. Né vi mancò mastro Ruggiero col suo liuto, che cantò le viUanélley e le canzoni più in voga in quel tempo ^. La festa fii chiusa con balli e cascarde , e coUa spallata che chiamavasi madamma la zita ^) , danza propria dell'occasione. Intanto lo stato del Regno procedeva ogni di al peggio ed i popoli erano stremati dalle disgrazie natxu*ali, dalle carestie, dalle scorrerie dei turchi, dal timore delle flotte francesi, e più che tutto ciò dall' insaziabile in- gordigia dei dominatori spagnuoli. Il Duca di Medina , D. Ramiro Fihppo de Gusman, che allora governava il regno per Filippo IV, e che nella nostra città ha lasciato 1) PoLLio. Ms, cit f. 74; Bacconto o Diario Ms. p. 237; Cafecelatbo, Diario, U, 40; ec. S) Basile, Le Muse Napol. II, 288. ^ Le vUìaneUe erano canzoni dettate si in italiano, come nel dialetto, le quali sin dal secolo precedente avevano acquistato tanta fama che si desi- deravano e si ripetevano anche nei paesi stranieri. U Costo, dal quale ricavo questa notizia, riporta pure il principio di alcune di esse, come: Napolitani vum facite folla ec. Ssi auttanielky donna , che portate ec. o accenna al pensiero di altre, come quella del traaformarai in pulice per mozzecar le gambe alla Si- gnora, (FuggHozio p, 137). Certo la fìama, di cui le villanelle godevano , era dovuta alla musica, da cui eran vestite, anziché ai pregi del loro concetto o della loro forma poetica. Esse, come alcune altre canzoni di diverso metro, si accompagnavano al ballo, il quale allora ne prendeva la denominazione, ed era di moda in Francia, e nel Belgio nella fine del secolo XVI, Mémoires de Vaccad, de Brux, Vm, 16.— Le canzoni in voga nel tempo', di cui trattiamo, sono accennate dal Basile, dal Cortese e dallo Sgruttendio. *) Varie specie di ballo in uso a quel tempo sono indicate dal Basile Pentam, I, 267, e 369. Alla Spallata accenna il Cortese I, 89. Le cascarde e- rano canzoni che si sposavano al ballo. Delle cascarde: Pordenzia, madamma la zita ecc. parla il medesimo Cortese II, 146. Cf. De Ritis, Voc, Nap. in v. < < ^ A. V V > — 78 — memoria di sé in mia porta, fatta a spese di privati cit- tadini, ed in ima fontana opera dei suoi antecessori, per sopperire alle incessanti richieste di denaro e di gente, che gli venivan fatte dalla Corte di Spagna, aggiungeva dazii a dazii, gabelle a gabelle, ed aimientava le già esi- stenti senza misxu'a o criterio. Le antiche gravezze sulla seta, sul sale, sull'olio, sull'orzo, sulla carne, sui salmni e sul grano si aumentavano ad una proporzione mag- giore, e nuovi dazii s' imponevano sulla calce, sulle carte da gioco, su Toro e l'argento filato, e sopra tutti i con- tratti di prestiti che facevaosi nella città e nel regno. Si tentò pure la carta bollata, una tassa sulle pigioni, ed il testatico, imposte che per essere insolite, e più che le altre gravose, dovettero lasciarsi, e compensarle invece coll'au- mento di altre gravezze già esistenti e specialmente ac- crescendo quella deUa farina ^). Cosi il Medina nel suo governo di poco più di sei «tìtii potette ricavare dalla città e dal regno, oltre le entrate ordinarie, meglio che 30 milioni ^ di ducati (127,500,000 franchi). Non man- cavano, è vero, in questo frattempo nella nostra città, anzi erano frequenti, le feste e gli spettacoli, ove il lusso della casa viceregnale, degli spagnuoU, e della nobiltà, che consumava senza produrre, pareva che desse aspetto di ricchezza e di prosperità al paese. Ma questa non era che un'apparente prosperità, e ben sei sapeva il Duca di Medina che partendo da Napoli, ebbe a dire con cinica improntitudine: lasciar egli il regno in tal termine che > 1) V. Pragm. XX. De vectig. 10, 11, 12, 14, 16 ec. t. IV p. 138-156 ediz. Cervone; Fabrino 0, e, U, 266. ^ n Monterey quasi nello stesso spazio di tempo prese ben 43 milioni di ducati, dei quali soli 17 girono a prò del re. Capeceiatro, Annali^ p. 45. Cf. Una seconda congiura di Campanella del eh. De Blasiis, nel Giornale Napol. p. 433 e a,— Lea deux Siciles, scriveva il marchese di Fontenay, ambasciatore del re di Francia a Boma, nel 1643, sont Ics meilleurea Indes qu^ait le rei ca- iholique. Dispaccio del 7 gennajo 1643. Le due de Gruiae à Naplea p. 24. A. < "V V y — 79 — quattro buone famiglie non avrebbero potuto fare un buon jrìgnato maritato^ cioè una buona minestra ^). Le gabelle sui generi annonariì e specialmente sulla farina e sul pane, comechè gravi dovunque, erano nella nostra Città gravissime, e più che per altri per la povera gente. Oostumavasi allora di panizzare fra noi due specie di pane, cioè il pane a rotolo e la cosi detta palata; il pane a rotolo per chi poteva spendere, la palata per la plebe o per i poveri. Il costo del primo, che vendevasi a peso, variava in proporzione del prezzo deUa farina, l'altra che si pagava sempre quattro grana (17 centesimi), variava in tali circostanze soltanto di peso e di qualità. Cosi quando il grano costava caro, il pane della palata era piccolo e cattivo, e talvolta, specialmente nei forni e neUe botteghe non soggette alla giiuisdìzione municipale, an- che pregiudizievole alla pubblica salute. Gli scrittori ed i dociunenti del tempo ci attestano ciò apertamente. Nello stesso anno 1641, come afferma un agente del Duca di To- scana in Napoli, essendo stato scarso il ricolto, l'eletto del popolo Giovan Battista Nauclerio « non solo aveva « dato facoltà ai panettieri di poter mancare due oncie « per ogni palata di pane, ma che potessero mettere in « detto pane ogni altra mestura, che a loro fosse piaciuta, « cocendolo malamente, purché ritenesse il peso » della qual cosa gli altri eletti si lagnarono col viceré ^. Quin- di, come afferma un contemporaneo ^, due carlini (85 centesimi) di pane al giorno non bastavano in tali con- giunture ad un pover' uomo ; pur fortunato , se le cose franmiiste alla farina onde farla pesante, non gli erano < 1) BiSACCiONi, Historia delle guerre civili di questi ultimi tempi, Ven. 1644 V. n, p. 112; Bbusoni, Stor. d'Ital. XV, 444. ^ Arch. Stor. It. IX p. 823. 8) Donzelli, Partenope liberata p. 16. > < A A. V V > — 80 — causa, come a 27 soldati di Castel S. Elmo, nel 1629, d'infermità e di morte ^). Queste pubbliche miserie, che facevano dura e dif- ficile la vita alla povera gente, non risparmiavano cer- tamente la famiglia di Masaniello. Essa campava sten- tatamente aUa meglio , e spesso i sottili guadagni del proprio mestiere non bastavano al pescivendolo. Spesso pure Masaniello sciupava lo scarso lucro della giornata (bisogna pur dirlo) con i compagnoni del suo quartiere, o nelle taverne del Mercato e del Pendino, o al giuoco, sia nella camorra ^ innanzi palazzo, sia sotto le tende e le baracche del Largo del Castello. Allora il bisogno e la fame erano nella casa di Ber- nardina , e la povera donna si avventurava a qualche piccolo contrabbando per procurarsi un poco di pane a più buon mercato. Un giorno , avendosi comprato poca quantità di farina in uno dei casali di NapoU, ove non essendoci le gabelle della Città, si poteva trovare a prezzo più discreto , tentava di portarla nascostamente a casa sua dentro una calzetta , sotto colore che fosse un suo piccolo bambino avvolto tra le fasce, che pel freddo cer- cava ricoprire con un panno. Lo stratagemma però non ingannava gì' iniunani e rigorosi gabellieri , che , come dice uno scrittore di quel tempo , cercavano addosso a tutti nei passi ordinarii e nelle strade stesse di Napoli, non rispettando neanche le donne nelle parti del corpo soggette alla vergogna '). La povera Bernardina , sco- perto il contrabbando, fu presa e condotta nelle carceri dell* arrendamentOj ove fu sostenuta per circa otto giorni. 1) Fede del tenente del Castel S. Elmo di esser morte 27 persone per aver mangiato pane fatto colla farina della Città, 1629. Cautele , voL XXV, f. 246-248 nell'Arch. Munic. ^ Nella pramm. 15 tit. de Aleatoribu8 del 1735 tra le case dei giuochi dei dadi, che si permettono, essendosi dismesse le altre, si nota la Ckimarra innanzi Palazzo. Pragm, t. I. p. 118. >) Donzelli, Op. cit p. 18 ; De Sàntis, Storia del tumulto di Napoli p. 26. > < A- A > V V — si- li marito, saputolo, corse al posto della gabella a Porta Nolana, indi dall'affittatore della medesima Girolamo Le- tizia, onde ottenerne la libertà. Tutto fii inutile. Le pre- ghiere , i pianti , le sottomissioni non ottennero alcun effetto. Bernardina non usci di prigione se non quando fii pagata ^) la multa (cento scudi, affermano alcuni scrit- tori), che il povero Masaniello potette a stento raggruz- zolare, vendendo tutte le masserizie di casa e procuran- dosi qualche somma in prestito dai suoi parenti. Allorché il misero, consegnato il danaro al gabelliere e presa per mano la moglie, per la via dell' Arendccia si avviò a casa sua, si volse prima un momento verso l'ufficina della ga- bella , e pieno d' ira e di dispetto : Per la Madonna dd Carmine, disse, o ch'io non sia piic Masaniello, o che un giorno mi vendicherò alla per fine di questa canaglia ^. < n. E il giorno della vendetta arrivò , tristo , tenibile, inaspettato. Allorché ai 7 Luglio 1647, nella piazza del Mercato, la plebe, istigatore e duce Masaniello, al grido di : Viva U Be e muoja il mal governo, fieramente insorse, dimandando V abolizione della gabella de' finitti e delle altre gravezze che 1' opprimevano, uno de' primi atti di autorità del nuovo Capopopolo fa l'incendio del posto del- l'arrendamento della farina a Porta Nolana, e della casa > 1) Un bando del duca di Medina dei 24 luglio 1638, confermato dal duca d'Arcos ai 15 marzo 1646, affinchè ad unguem si osservasse ed eseguisse, pre- scriveva che « non si dovesse introdurre dentro la città quantità alcuna di pane, farina ec. per mÌTiirrm. che fosse senza aver pagato prima il debito diritto... sotto pena... alle donne... di anni 3 di esilio extra provinciam, e che ritrovato alcmio in flagranti di un tal contrabbando si dovesse assicurare deUa persona e della roba ec. » Pramm. 60, tit. De vectig. t. IV, p. ?.... ^ Donzelli, 0. e. p. 22 ; Db Saih'is 1. e. ; De Lussan. Histoir. de la révd, de Na^ I, 36. X. A. < u V V > — 82 — abitata da Girolamo Letizia a Portanova ^). Un drap- pello di circa 50 garzoni e fanciulli, capitanati da Grio- vanni d'Amalfi a cavallo, eseguiva fedelmente gli ordini di Masaniello. Scalzi, in sola camicia e mutande di tela, e col berretto rosso in testa, essi, facendosi ministri di una nuova giustizia, andavano processionalmente per le vie, preceduti da uno stendardo (pennone) ^ nel quale si vedevano dipinte le armi reali di Spagna ^ , e porta- vano chi torce di pece, chi graffii o forcine, chi solfanelli, fascine impeciate ed altre cose bisognevoli ad accendere, e chi finalmente picconi e sciamarri. Erano cenciaiuoli o bajt^areoti ^ gente della più vile e povera condizione, che viveva stretta ed ammucchiata in alcuni di quei lu- ridi covili del Mercato e del Lavinaro, che si dicevano e si dicono tuttora fondachi, e che la progredita civiltà ha ora diminuiti, o in buona parte migliorati, ma non ancora interamente distrutti. Laceri e seminudi furon i primi , che allora si chiamassero lazzari, e questo nome, che i superbi dominatori spagnuoli diedero loro come una in- giuria, i plebei sollevati della città e del regno, imitando i Bnizii dell'antica ItaUa , ed i gueux delle Fiandre , lo < > ^) Istoria del tumulto di Napoli del Mag. Bernardo Ricca. U, L D. dalli 7 luglio 1647 sin alli 6 aprile 1648 Ms. presso di me, monco della fine f. 160. (Questa istoria fino all'agosto 1647 è simile a Tontoli); Racconto cit Ms. agli 8 luglio ; Della. Monica Op. cit. Ms. f . 27 ; Donzelli I. e. , Capecelatbo, Diario 1, 32; De Santis, Op. cit. p. 49; Nicolai, Op. cit. p. 89; De Turbi, Disaidentis, deaciscentis, receptaeque Neap. libri p. 66, ed. Gravier. ; Gibaffi ecc. ^ In quei tempi, allorché lisciva qualche giustizia dal tribunale della Gran Corte della Vicaria, dopo il trombetta ed il banditore che annunciava il delitto e la qualità della morte, andava, come ci fa sapere il Summonte, un gran stendardo chiamato Pendone di color rosso colle insigne reali e con quelle del Gran Giustiziere del regno, il quale precedeva il condannato assistito dalla com- pagnia dei Bianchi. Hist. di Naj). 1, 177 ; Del Tufo, Ragionamenti cit. Ms. rag. V. Questo costume imitavano i lazzari. Racconto cit. agli 8 luglio. B) I bazzareoti erano e si dicono ancora i venditori ambulanti di comme- stibili. < A. A. — Y ■ Y — y - 88 - ^ adottarono volentieri, come un titolo onorifico , e come un distintivo di animo libero ed indipendente ^). Era Girolamo Letizia o di Letizia uno degli affitta- tori dell' arrendamento della farina, che, uscito dalla plebe, coi guadagni di quello si aveva procacciato non poche ricchezze. Uomo senza misericordia , non perdonava in alcun modo, come dicono le memorie contemporanee, a chi , entrando nella città con un poco di farina o con due pagnotte di pane , non ne avesse pagato prima il dazio corrispondente ^. Oltre al fatto della mogUe di Masaniello, narravasi di lui, che una volta, per un con- trabbando di pochissimo momento, avesse fatto condan- nare aUa frusta due povere contadine de' casali di Na- poli. Era quindi oltre ogni dire odiato dalla povera gente. Ora i lazzari, bruciato che ebbero l'ufficio della ga- bella a Porta Nolana, secondo gli ordini ricevuti, si por- tarono al Largo di Portanova^ ove, nel palazzo della fa- miglia Mormile de' Duchi di Campochiaro , ora segnato col ninnerò civico 11, abitava allora il Letizia. Ivi giunti, occuparono tutti gU sbocchi delle vie circostanti, e cir- condarono il palazzo, giidando sempre : Viva tlBee mmja il mal governo ! Poscia, rotta ed aperta la porta con mazze ferrate o colle fiamme, alcuni di loro salirono sulla casa > 1) Càfbcelatro, Diario j IH, 278. Tra la ricchissima nomenclatura d'in- giurie, che ha il dialetto napoletano nelle opere scritte prima del 1647, non si trova mai il vocabolo Lazzaro, Esso fu introdotto in quella occasione, e fìi dato a tutti i plebei sollevati di qualunque paese o regione fossero. Cosi il Buragna ^liì^mn. i tumultuosi di Palermo lazzari di Sicilia, p. 8; il Valvasor, che in un Ms. posseduto ima volta dal Conte di Policastro tratta dell' asse- dio posto a Sorrento nel 1647-48 dai plebei del contado, nomina costoro laz' zari del Piano, e cosi via discorrendo. Mal si apposero dunque quei che deri- varono una tale denominazione da un fondaco del Mercato, che dalla famiglia cui apparteneva, si sarebbe detto dei Lazzari. (Racconto f. 209). ^ Racconto agli otto luglio; Cfiomale storico dei tumtUti popolari e dei loro eventi accaduti e delle pene dei delinqueìiti da luglio 1647 per li 16 gen- naio 1652, f. 6. Ms. presso il eh. D. Gennaro Aspreno (Calante. L'a. testimone di veduta sembra essere uno scrivano o certo persona del foro. Cf. pure il PolHo al f. 309. < > A. V V > — 84 — del Letizia, e, preso tutto ciò che vi era , dalle finestre lo gittavano nella piazza; altri dal basso riunivano il tutto in catasta e vi ponevano il fuoco. Magnifici arazzi, ricche cortine di seta e di oro, scrittorii di ebano intarsiati di argento o di avorio, quadri di nobilissima pittine,, vasel- lame di argento ed ogni altra preziosa suppellettile era preda delle fiamme. Né si risparmiavano le gioie o il denaro contante, non le cose commestibili, non gli stessi animaU, che in quella casa per avventura si trovassero. Cosi il tutto riducevasi in cenere ^), senza che alcuno di quei miserabili pensasse a sottrarre o a serbare per sé un oggetto qualunque , fosse pxu'e di nessun valore. E mentre il fiioco distruggeva quelle robe, finitto de' gua- dagni procacciati colle odiose gabelle, Giovanni d'Amalfi alla gente circostante gridava: Vedi, popolo mio, queste robe sono delli officiali, che se V hanno fatte cól sangue di noi altri poveri; si buttano in questo fuoco e si bruciano, per or- dine di Masaniello , mio fratello ^. Il popolo in parte compiaciuto, in parte atterrito, guardava meravigliato ed attonito Torrido spettacolo. Ma ormai la plebe sollevata aveva la coscienza delle proprie forze, e, non contenta dell'abolizione delle gabelle e dell'amnistila pe' fatti de' 7 ed 8 luglio, accordate fa- cilmente dal Viceré , dimandava istantemente altre più larghe concessioni, e la isopólizia o la eguaglianza de' di- ritti coi nobili nel governo municipale della città. Vo- gliamo il privilegio di Carlo V, aveva arditamente detto Masaniello al Duca di Maddaloni ed agli altri nobili spe- diti al Mercato dal Viceré ; vogliamo il privilegio di Carlo F, ripetevano in coro i la^^ari^ che, come gente bassa , al < 1) « Tutte le mondìglie di oro e di argento che si poterono colligere « dalle ceneri di que' mobili furono donati alla chiesa di S.* Maria delle Gra- « zie alla Pietra del Pesce ». Campanile, Diario^ f. 7. n danno secondo il Della Monica , ascese a più di 15,000 ducati. Ms. f. 27. *) Diatno Anonimo del 1647, f. 20 twt^i. > < A. A > > y ■ ' v — 85 — dire di un contemporaneo ^), non sapevano parlare. Un vecchio, in abito da prete e con lunga barba, era l'au- tore e Tanima di queste risoluzioni. Egli istruiva il pesci- vendolo, già pubblicamente acclamato Capitan generale del popolo ; egli gì' insinuava le grazie ed i privilegi da dimandarsi al Viceré, egli gli spiegava come l'aquila e le colonne di Ercole, che si vedevano sulla porta della Vicaria (il palazzo di giustizia) , fossero le insegne del benefico imperatore , e che perciò dovessero essere ri- spettate. Questo prete e questo consigUere era D. Giulio Genoino. La vita del vecchio agitatore , ne' 27 anni decorsi dal 1620 al 1647, era passata tra le angustie e gU stenti del carcere, e tra le liti e le molestie procacciategli dalla sua indole turbolenta, e dalle persecuzioni de' nobili, suoi antichi nemici. Carcerjato in Ispagna, ove , dopo la ca- duta dell' Ossuna erasi condotto, e, con sentenza de' 28 Settembre 1620, condannato in Napoli alla forgiudica % egli nel 1621 aveva ottenuto da re Filippo IV, con di- spaccio de' 18 novembre, che il suo giudizio fosse in Na- poli stessa riveduto ^. Ed infatti una Giunta speciale, composta del licenziato Francesco Antonio d' Alarcon , cavaliere dell'abito di S. Giacomo, commissario delegato del re, e da quattro giudici scelti ne' tribunali del regno, intese novellamente il Genoino, trasportato prima a Baia e poscia a Capua *). Ma il secondo giudizio non fii 1) FoLLio, Op. cit f. 34. ^ GiuiiiANi, f. 77. La sentenza di fuoigiudica leggesi pure nel Capaccio, Forestiero, p. 531. ^ Le petizioni del Oenoino al Re per essere abilitato^ come allora dice- vasi, si trovano nel Giuliani fol. 81, e la copia della commissione fatta all' Alar- con ne' Successi varii. T. ni; fol. 407. Nel f. 45 del T. Il che trovasi nella bibl. Naz. vi è Tallegazione di im tal Oiov. Francesco Castaldi in difesa del Grenoino cosi intitolata: Dejurepro U. L D. Jvlio Genoino tribuno fidelissimi populi Neap, contra r, Fiscum coram regios dekgatos regis Catholici, *) 1 quattro giudici furono : Salvo , Brancia , Niquesa ed il presidente D. Giovanni Erriquez col fiscale della Vicarìa. U Canoino poi giunse in Napoli < < J^ A. V > — 86 — molto diverso dal primo , ed egli fa condannato a car- cere perpetuo in qualche castello appartenente alla Co- rona di Spagna, che non fosse nel regno; e, per ordine del re in data de' 22 Ottobre 1622, gli fu assegnata la fortezza del Pignone in Afiica. Così visse ivi più o meno strettamente per 12 anni, sinché, avendo mandato alla Corte il modello in legno della fortezza ^) ove stava rinchiuso, ottenne dal re la grazia della libertà, mediante il pagamento di 4000 ducati, e coli' obbligo di restare in qualche luogo deU' Andalusia o di Castiglia a confine. La carta con cui gli fii partecipata la grazia sovrana, è del 12 febbraio 1634 ^. Se non che, dopo alcuni anni, il Genoino ritornò in Napoli , ove rinfocolati gli odii an- tichi, e suscitati nuovi sospetti, a' 2 Ottobre del 1639 , ad istanza degli Eletti della città , fii per estranee ca- gioni sostenuto per qualche tempo nel Castel Nuovo ^. Allora vedendo, come egli stesso dice, « la sua persecu- « zione nello stato secolare, e che dove meritava premio, « gli si era data pena, risolse, nel residuo deUa sua vec- « chiezza, servire Dio in istato di sacerdote, e con breve « apostolico , prese gli ordini sacri , servando tutte le « sacre costituzioni e le prescrizioni del Concilio di Trento, « per mano di D. Basilio Cacace , arcivescovo di E- « feso *) ». > con Frane. Ani. Arpaia a' 4 maggio 1622, e dopo nella notte andò a Baia, e nel mattino seguente a Capua. Lettera de' Deputati delV Ambasceria al signor Fa- bio Caracciolo in Madrid, Giuliani, f. 231. 1) La copia della lettera, che scrisse Giulio G^noino al re Filippo IV, quando gl'invìo il modello, leggesi ne' Successi varii, fol. 428, 4. ^ Carta de aviso della gratia ricevuta da sua Maestà ai 12 febbraio 1634. Successi varii cit. f . 429 e. In piedi si nota : dal suo originale delli fragmenti remasti delle scritture del Genoino portata in questo luogo nel 1672. *) V. Biglietto del Viceré al Reggente Matthias Casanatte, nei Successi, f. 431. n fatto è narrato pure abbastanza diffusamente dal Capecelatro ,; Annali^ p. 158. ^) Apologia di Giulio Genoino alV Abbate Torrese, f. 432. A. < > > "Y r — 87 — In queste nuove condizioni di ^àta ritrovavasi , al- lorché la imposizione della gabella sui firutti , che egU piucchè altra riconosceva odiosa al popolo, venne a rin- npvellare le sue antiche speranze. Ne' primi mesi del 1647 fu veduto spesse volte, verso l'imbrunire, stringersi a secreto colloquio con Masaniello nella Chiesa del Car- minello al Mercato ^). L' astuto vecchio aveva scorto l'influenza, che il giovine pescivendolo esercitava sulla plebe del Mercato e del Lavinaro, l'avversione, che nu- triva contro i nobih ed i prepotenti, l'animo pronto ed ardito, ed U buon senso, che nascondeva sotto le appa- renze della spensieratezza e della buffoneria. Lo indet- tava quindi, e lo preparava a' futuri casi ed a' moti fa- cilmente prevedibiU. Né le sue speranze fallirono. Ciò che egU aveva già inutilmente tentato nel 1620, ora, scoppiata la solleva- zione , assai più largamente dal popolo ottenevasi. Le chieste immunità e prerogative, poiché quel privilegio di Carlo V, che invocavasi, non era mai esistito, ad honore ^ conservatùme e gloria della Maestà Cattolica del Be, del- l'eminentissimo. . . . cardinal Filomarino arcivescovo delV ec- cellentissimo signor Duca d'Arcos, vice^'è...., e del signor Tom- maso AnieUo d^ Amalfi, capo dei.... fedelissimo popolo, erano, ai 13 lugUo, dallo stesso Viceré, in nome di Sua Maestà Cattolica, ad esso fedelissimo popolo restituite , ampUate e confermate, ed anche solennemente giiu-ate. GU eventi inoltre superavano la espettazione del Genoino, ed oltre- passavano i privilegi conceduti. Dai 7 lugUo fino al 3 Giugno dell'anno seguente, il Tribunale di S. Lorenzo non fu più riunito. I nobili cessarono affatto dal governo della città, e l'Eletto del Popolo restò solo a disporre di tutti gU affari municipah. Francesco Antonio Arpaia, il com- pagno del Genoino ne' tiunulti del 1620 e nelle pene ^) BaccontOy f. 8 ec. < < J^ K > > y sr — 88 — indi sofferte, chiamato da Teverola, ove era governatore di quella terra, fìi allora da Masaniello nominato ad mi tale importante ufficio ^). In questo frattempo la famiglia del pescivendolo divise con lui il rispetto ed i riguardi, che egli così ina- spettatamente si ebbe. Tutti coloro , che in qualunque modo gli appartenevano, in quei pochi giorni di potere, si gloriavano e cercavano anche di profittare della loro, fosse pur lontana , parentela. Né mancò chi , tuttoché affatto estraneo , si volle dare a proprio vantaggio per congiunto di lui. Cosi fece un marinaio di Chiaja , che neUa domenica 14 lugho spacciatosi per nipote di Ma- saniello , andava per quella contrada facendo ricatti e minacciando l'incendio e la morte a chi si negava alle dimande. Il capitan generale appena n'ebbe notìzia, or- dinò che restituito a ciascuno il danaro con quella in- venzione sottratto, il marinaio venisse condottò al Mer- cato a subire colla morte rigoroso castigo dei suoi la- dronecci ^. Ma tra tutti i parenti ed i cognati di Masaniello, - coloro che principalmente ebbero parte al potere ed agli onori, furono in ispeziaUtà il fratello e la moglie. Gio- vanni di Amalfi fu quasi come \m luogotenente di lui. Egli negli otto lugKo metteva le nuove assise ai comme- stibili nelle botteghe e nei posti della città. EgK nel gio- vedì, allorché dovettero fissarsi le capitolazioni col viceré, precedette ed annunziò 1' arrivo del fratello a Palazzo. Egli nel sabato 13, vestito di lama d'argento tiu-chino, lo accompagnò nella trionfante gita al Duomo pel giu- ramento delle dette capitolazioni. Egli era col fratello a spasso nella gondola del viceré a Posilipo, ed al banchetto in Poggioreale nella domenica e nel lunedì 14 e 15 lugho. 1) BiSACCioNi, Op. cit P. Il, p. 129. ^ Campanile, Diario f. 16; Tontou, Il Masaniello p. 132. < < A A. y V > — 89 — Egli finalmente nella sera dello stesso di 15 luglio, vi- gilia jdella morte di Masaniello, fu da costui spedito con una mano di circa 500 plebei ad inseguire e cattm'are il Duca di Maddaloni nelle vicinanze di Benevento ove credevasi essersi rifugiato ^). Bernardina d' altra parte godette del pari , e forse anche più di lui, della mutata fortuna del marito. Il vi- ceré, che conosceva la influenza di lei sull'animo di co- stui, cercò con ogni mezzo blandirla e rendersela bene- vola per suoi fini con ricchi regaU, ed anche invitandola a recarsi a Palazzo ^. Nella domenica 14 luglio verso sera una carrozza di corte tirata da sei cavalli ^) ed accompagnata da quattro alabardieri tedeschi, si fermò innanzi alla povera casa posta a fianco al vico Rotto. Poco stante la madre, < ^) Campanile, Diario f. 13; Diario anoninto Ms. p. 20, e 21; Baccanto cit. al di 13 luglio; Buraona p. 137; Nicolai p. 77; Oapibcelatro, Diario p. 168. ^ Secondo alcimi scrittori, la moglie di Masaniello andò più volte a Pa- lazzo, prima della solenne visita della Domenica, ed ebbe in tale occasione, o in altre, parecchi regali. H Fuidoro dice al f. 35 v. « quest'andare e venire in Palazzo « della moglie di Masaniello et sua sorella, durò più volte sempre in carrozza « fino a tanto che si fecero le capitolazioni. £ per imprimere azioni di corri- « spondenza fra di loro, acciocché si fosse effettuata la capitolazione per la « quiete, il Viceré e la viceregina alternavano regali a Masaniello e a sua moglie, « portati da soldati della sua guardia d'alabardieri et soldati di fanteria ». In im altro manoscritto, che tratta pure dei fatti di Masaniello fino alla sua morte, e di cui non posso indicare il titolo, perchè monco del principio, si dice : « La si- « gnora Viceregina ha mandato in dono alla moglie del detto Tommaso Aniello « un'altra coUana d' oro con cannacca di diamanti ; con gli orecchini anche di « diamanti del valore di diecimila scudi in circa, et ima catena d' oro alla « Siviglia a Giovanni d'Amalfi fratello del detto Tommaso Aniello, e parola « di voler battezzare il figUo che haverebbe partorito la moglie del detto Tom- « maso per esser gravida, ed il titolo di Duca di S. Giorgio? ». H manoscritto contemporaneo si conserva dal mio egregio amico d. Bernardo Gaetani, cassi- nese, abate di S. Paolo in Perugia ed ora vescovo di Sansevero in Puglia.— Dei regali parlano pure altri scrittori del tempo, e specialmente il Gi&affi, giom. VI p. 142, il BiRAGO, Delle Historie memorabili, Ven. 1663, p. 245, ed il Boba- ONA p. 137 , che fa menzione di alcuni vestiti molto costosi , di scelte paste e di altre cose dolci. ^ Alcimi dicono che la carrozza appartenesse al Duca di Maddaloni (Bu- raona 156, GiRAFFi 165); ma i più affermano che fosse di Corte. > < A. A. IS V V > — Go- la moglie e la sorella con due cognate ed un^altra pa- rente di Masaniello, tra l'ammirazione dei lazzari e l'in- vidia deUe comari del Mercato e del Lavinaio, si collo- carono in quella. Le loro vesti convenivano alla presente non alla passata fortuna. Bernardina portava una roba all' imperiale, colle maniche gonfie (a presutto) , una gon- nella ed \ma soprawesta o giubbone di lama d'oro e di seta, guarnite di fasce piccate e di trine e repwnfó piu'e di seta o di oro ^), ed usava il guardinfante, la cui moda da poco tempo era stata introdotta dalla viceregina duchessa di Monterey ^. Aveva al collo una ricca e pesante collana d'oro, regalo della duchessa d'Arcos. Le altre donne piu-e si erano ornate di veste ricche e sfar- zose scelte tra le robe, che già si erano saccheggiate al duca di Maddaloni, e Grazia d'Amalfi aveva in braccio un fanciulletto di pochi mesi anche riccamente addobbato. Allorché la carrozza si avviò verso Palazzo, e mentre passava per le vie della città popolate di gente ciu-iosa di vedere lo strano spettacolo, la famiglia di Masaniello riceveva dovunque i plausi ed i saluti rispettosi della plebe che gridava: Viva Spagna, viva ilpqpólOy viva Masaniello. Alla porta del parco, che era dove ora, nella strada di S. Carlo, si vede il cancello del giardino reale coi cavaUi di bronzo, le donne smontarono, e la Bernardina si pose nella sedia della stessa viceregina, la cognata in quella di D.* Ca- terina d'Ayala, moglie del visitatore generale del regno D. Giovanni Chacon y Pons de Leon, e le compagne in altre sedie di dame, che allora trovavansi in corte. Cosi attraversarono il parco fino a piedi della scala del palazzo, ove furono ricevute dal capitano della guardia e dal ca- vallerizzo maggiore del viceré col capo scoverto, e ser- ^nte dagli alabardieri e dai paggi sino alla camera, dove < 1) Basile, Pentam. ss, 10; Pragm. 446, e Supplem, 1, 190. 2) Sgbuttendio, 0. e, f. 80; Caputo. Annali Ms. f. 48 mihi. > < A. A V V > — 91 — si trovava la vioeregma con suo fratello D. Vincenzo d'A- ragona, con lo stesso visitator generale, col cardinal Filo- marino, e con alcune principalissime signore del Regno. Le accoglienze furono non solo cortesi ma anche amorevoli. Due dame di compagnia si fecero sulla porta della camera incontro alle sei donnicciuole, e la vicere- gina alzatasi si accostò alla moglie di Masaniello, dicen- dole in ispagnuolo: Sea V. S. llustrisima muy ìnen venida. (Vostra Signoria Illustrissima sia la molto benvenuta). Al che la moglie di Masaniello, non sconcertata dal luogo insolito per essa e dalla presenza di persone tanto supe- riori alla sua condizione, abbracciandola, ed all'uso po- polaresco, come da uguale ad uguale, appiccandole due sonori baci suUe guance, rispose prestamente: E Vostra Eccellenza la mólto ben ritrovata. Poscia, finiti gli abbrac- ciamenti ed i baci, che furono nello stesso modo ripetuti colle altre signore presenti , ed anche dalle compagne della generalissima, e sedutesi la viceregina e la comitiva, Bernardina soggiunse: Vostra Eccellenza è la viceregina delle signore, ed io sono la viceregina delle popolane. In questo le visitatrici furono abbondantemente re- galate di dolcimni e di rinfreschi, ed il Ghacon , volendo cattivarsi la benevolenza della famiglia del Capitan Ge- nerale, prese tra le braccia quel bamboccio suo nipote, al quale non disdegnava di fare singolarissime carezze, come se fosse stato un figliuolo della stessa viceregina. Egli, che era stato autore principale a mantenere la ga- bella sui frutti, corrotto, come fii fama, dai regali, che gli arrendatori di quella aveano perciò fatti alla moglie di lui ^), aveva ragione di temere l'ira del popolo. Po- < > 1) La vìsita della moglie di Masaniello a Palazzo è narrata da tutti gli scrittori di quegli avvenimenti. Cito, tra gF inediti, Cahpanilb f. 160; Della Porta f. 57; Eaccanto ai 14 Luglio; Ite Fiobb, Racconto dei tumulti popoiari di Napoli, Ms. DiABio anonimo Ms. t. 88 v.; f. 43; e tra gli stampati: Donzelli, 0. e. < -A- A ■y V > — 92 — chi momenti imianzi Masaniello, il quale prima di por- tarsi a Posilipo r aveva incontrato nelle anticamere di palazzo reale, si era accostato a lui, e presolo pel petto, con termini risoluti, gli avea detto : Signor visitatore^ mi è stato riferito che voi siete un gran mariuolOj e che in ispecie avete rubato ad uno che so io seimila ducati. Se io non vi ho castigato ancora conforme meritate, abbiatene obbligo al Signor Cardinale mio signore, ma per Vawenire state bene in ceiDcttOj perchè vi bisogna. D. Giovanni Chacon se l'ebbe per detto, e quindi cercava con questi bassi mezzi rendersi amico il Capitan generale del popolo. D'altra parte la viceregina, presentando un ricco mo- nile ed im gioiello in diamante alla Bernardina, con bei modi si adoperava a persuaderla perchè avesse indotto il marito a depositare il comando, or che le capitolazioni erano state giurate, ed il popolo aveva ottenuto quanto dimandava ;^ e la sollecitava perchè quegU si rimanesse contento ormai deUe mercedi promessegli: Seiioì^a coma- < p. 127; Capecelatro, Diario I, 86; Gibàffi p. 166; Bubaona p. 158; De Santis p. 108 ; De Tubbi p. 102; Mém. du barvn de Modène, l, p. 148. Mi piace però riferire le parole del gentiluomo della Corte della Vice- regina sul proposito , che si leggono nel Ma, Relacionea ecc., di cui ho par- lato più sopra nella Notizia premessa a questo libro: « A las siete de la tarde fue « la mujer de Masaniello con sus parientas a ber a mi Sefiora la Duquesa, ve- « stidas de tela de oro, y su Excellenzia las dio a todas halandrias. f. 17. Ag- giungo la notizia, che ne dà D. Miguel de Miranda, altro gentiluomo spagnuolo al signor Duca di Montalto, in questo modo: « No perdono el desbanecimiento « a la mujer de Thomas Anielo, y el ritentar ber a so Ex.^ la Senora Duquesa « de Arcos, y asi se dio a intender quererla visitar; y comò en su Ex.^ son « yguales la grande^a y agasado no les nogu la acojida, dispusode labenida « de està Dama al Castìllo ynbiando las carro^as que la trajesen, prebiniendo « las sillas, enquien trase con su madre y parientes. Los adomos, con que « benia eran mejorados en la sustancia, mudados ya el lien90 y lana en sedas « y telas de oro, tan ajustado a su traje que aimo havia dejado la forma de « la marineria, culpa o descuydo del tiempo, pues obrando tan apriesa en el « marido, ce descuydo del aseo de la muger. Mandola regalar Su Ex.^ con « una joja de balor, a su Hermana con una cadena, y a las de mas con mu- « chos dulces que Uebaron » f. 760.— Le parole poste in bocca alla Viceré- regina ed alla moglie di Masaniello sono testualmente riportate da' più gravi scrittori di questi avvenimenti. > < A A. V v > — 93 — dre , conchiudeva la viceregina , haga de manera , qtie su marido dexe d mando, porque se quieten las cosas, — Oh que- sto poi no, signora commara, rispondeva a tali insinuazioni l'accorta donna. Se mio marito abbandonasse U comando, né la sua né la mia persona sarebbe più rispettata. Però sarà me- glio che ambedue stiano uniti, il Viceré e Masaniello, cosicché Vuno governi gli spa^uoli e V altro il popolo ^). L'ardita risposta non piacque per fermo alla vice- regina, che dissimulando non aggiunse altro, ma acco- miatò gentilmente la Bernardina e le sue compagne fino alla porta. Cosi allegra e contenta la comitiva si partì, e colla stessa carrozza tornò a casa, seguita dal dono ricevuto, che era portato da un facchino in im canestro (spasa), coverto da una tovaglia di taffettà tiu-chino, ed accompagnato dagli alabardieri e dai servitori, i quali quando furono nel mercato, suonarono di nuovo le trombe e le donne smontarono e si riceverono il detto regalo ^. Ma non passarono due soli giorni e la scena cangiò interamente. Nel mattino di martedì mentre maddamma Antonia ^, la vecchia madre di Masaniello, Bemar- < 1) Donzelli, 0. e. p. 81— Che fosse stata regalata la moglie del Visita- tore perchè non si togliesse la gabella sui frutti lo asserisce il Pollio 0. e. f. 806, e lo fa intravedere il De Santis p. 26. Egli, come dice costui a p. 4, sotto il manto del servizio del re cercava % proprii interessi. ^ n Pollio cosi racconta questo fatto : « La moglie di Masaniello al ri- « tomo da Palazzo fa accompagnata la carrozza dai Tedeschi con le Alabarde, « e questo fu da me visto con la carrozza di S. E. , e con un presente appresso « di detta carrozza, portato sopra di un portarobba, coperto con una tovaglia di « taffetà turchino; che fosse dentro non posso sapere ». f. 40. Ed altrove ripeten- do , dice : « La moglie di Tommaso Aniello , licenziata e fattole im gran dono « dalla Viceregina di argento et oro et gioie, di modo tale che furon ricevute « dentro un canestro spaso et accompagnatele fino alla scala.... e per Napoli anda- < rono li detti Labardieri et servitori con li donativi appresso della carrozza, et « quando furono di nuovo nel Mercato sonomo di nuovo le trombe et smon- « tate , ricevemo lo detto reale (regalo) portato dalli Tedeschi ». f. 240 v. ^ Con questo titolo solevano allora chiamarsi le donne attempate della più bassa plebe-, maritate o vedove che fossero. In tempi più antichi era esso una qualificazione onorifica delle regine e delle persone reali, non fanciulle. V. De Rrris, Yocab. Kap. in v. y < A A. V > — 94 — dina e Grazia incerte, ma pur presaghe del loro danno, sole ed abbandonate da tutti in un angolo della loro casa piangevano e si comunicavano a vicenda i propri timori, un mormorio continuato e lontano pervenne al loro o- recchio. Erano gridi di trionfo o di morte? Masaìniello aveva, come nel mercoledì precedente, trionfato dei suoi nemici, o tutto era finito per esse, potere, agi ed onori? L'incertezza non tardò guari a dileguarsi. Il rumore si faceva più chiaro e distinto , era una tiu-ba di popolo che gridava: Viva Dio e il re di Spagna, Masaniello è morto^ Masaniello è morto! sotto pema di ribellione nessuno riomini più Masaniello. A quelle parole, la povera Beniardina die un alto grido e cadde tramortita al suolo. In questo momento quella cimma di popolani era giunta nella piazza del Mercato, e sparando alcune ar- chibugiate in aria, ripeteva gli stessi gridi ed applausi. Un suono di tromba fii ripetuto tre volte, e, fattosi si- lenzio, lui banditore ad alta voce lesse: Bando e comandarn&nto per ordine di Sua Eccelleva. PHn.TPPUS DEI GEATIA EEX < > In esecutione dell'ordine oretenus dato a noi da S. E. si fa il presente Bando , per il quale si ordina et comanda a tutte et qualsivogliano persone di qualsivoglia grado, stato et conditione si sia, che fra il termine di 24 bore debbiano restituire et dar nota in poter nostro di tutte et qualsivogliano robe, cioè oro, dina- ri, argento quadri et ogni altro mobile di qualsivoglia sorte che sia, che si ritrovano in potere di qualsivogUa persona, pigliate dal q. Tommaso Aniello d'Amalfi, o d'altri in suo nome da qualsivo- glia persona e casa, et anche in potere di chi fossero andate dette robe, sotto pena di confiscazione de' loro beni, di morte naturale e diroccatione delle loro case; acciò havuta detta notizia se ne faccia avvisata S. E. per eseguire quanto comanderà. Ed acciò tutto venga a notitia di ciascuno, e nessuno possa allegare causa d'ignoranza, si ordina che si pubblichi il presente Banno, non solo < A. A. > > — 95 — nel Mercato di Napoli, dove solea vivere detto q. Tommaso Amelio, ma anche in ogni altro luogo dove sogliono pubblicarsi detti Bau- ni. — NapoU 16 lugUo 1647. D. Giulio Genoino. < Letto il bando ^) e replicato tre volte il suono di tromba, il banditore procedette altrove, ma quella ciurma di popolo si volse verso la casa di MasanieUo ; altri, come dice un testimone di veduta, per guardare quante robe in essa vi erano, altri per rubarle, giacché era sedia va- caute, altri finalmente per impadronirsi della moglie e della sorella e condurle prigioni innanzi al viceré ^). Capo di questi ultimi era Carlo Catania di Bracigliano, fornaio al Carminello, uno degli uccisori dello stesso Ma- saniello , compare ed amico di lui , e che era stato dal capitan generale , nel tempo del suo potere , nominato provveditore delle milizie popolari. Pure i beneficii non erano stati da tanto a vincere l'astio invidioso di lui, e il dispetto per le minacce fattegH da Masaniello, allor- ché credendo di poter profittare del suo posto e della sua influenza, non temette di fare nel suo forno il pane cattivo e mancante. Forse anche la moglie di MasanieUo entrava per qualche cosa in quest' odio e dispetto del Catania. Egli dunque aUa testa dei suoi seguaci, irruppe nella casa del compare; andò difiJatc^^ a Bernardina, la prese ^) Questo bando leggesi nella sua orìgiaarìa pubblicazione tra i Bandi, editti, capitoli ed altri ordini emanati durante la rivoluzione del 1647, rara ed importante collezione , che si conserva nella biblioteca dei PP. dell' Oratorio o Gerolamini di questa città. E segnato col nuuL d'ordine IX. Nessuno degli scrittori recenti di quella rivoluzione lo ha ristampato, o ne ha fatto cenno. Ai 19 luglio fu replicato altro bando sul proposito, che con altri dello stesso tempo tanto in stampe originali, che in copie Mss. si conserva da me, ed è riferito nel- V Appendice al n. 3. 2) PoLUO, Op. cit. , f . 242 V. < A A. V v > — 96 — pel corsetto, e, servendomi deUe stesse parole del PoHìo, « maltrattandola di poco onore et boffettoni, et strasci- nata la condusse in istrada, con la sua guancia (mano) dentro il petto di quella meschina », che col seno sco- perto e scarmigliata empiva Tana di strida ^) e dispe- ratamente piangeva. Nello stesso modo Grazia di A- malfi maltrattata e vituperata, era presa da altri com- pagni del Catania. Né d'altra parte la grave età era di schermo all'Antonia. Anch'essa insieme colla madre di Marco Vitale, il segretario di Masaniello ^, veniva da quei popolani imprigionata. Cosi le povere donne tra le beffe e gli schemi erano condotte a Palazzo, facendo le stesse vie, che avevano fatte neUa domenica antece- dente in un modo tanto diverso. Non vi furono vituperii ed ingiurie, che quella gente villana ed inferocita non facesse a quelle infelici. Non era persona, dice piu-e un grave scrittore di quegli avvenimenti, che non si acco- stasse a darle un calcio o a strapparle i capeUi ^, Al- cuni plebei precedendo la ciurmaglia , gridavano ; largo largo alla signora Duchessa delle sarde; e qualcuno, che non aveva mancato d'inchinarle e reverirle nei tempi della < y 1) Con tutte le mende da fuora, dice il Pollio Op, cit. fol. 42 v. Altrove ripete : pigliomo la moglie et la sorella.... che le portavano colle granfe nel petto f. 242 V.— La ragione o almeno il pretesto di im tale trattamento ce la dà il Ms. , di cui ho parlato nella nota (89) che dice : « havendole il popolo tolto alcune perle, e quantità di zecchini, che aveva posto in petto ». ^ Costui era stato ucciso nella stessa mattina a buon'ora. Era figlio del dott. Matteo Vitale della Cava, che in tempo del governo del Duca d'Ossuna vo- lendo esser nominato governatore della casa dell'Annunciata, offirl al Gtenoino una somma di danaro, il che saputosi dal Duca l'obbligò a spenderla in servi- zio del pio luogo, facendone costruire una grossa lampada d'argento a forma di nave per la Chiesa. Gampanilb foL' 17 v. Postilla nei Successi cit. f. 369. ^ Istoria della vera cagione, e dei principali motivi della sollevazione napo- letana accaduta nel 1646 (sic) al tempo di Tommaso Agnello di Amalfi descritta da D. Carlo Colà duca di Diano. Ms. di e. 109, una volta posseduto dal Miniconi, che termina colla morte di Masaniello. V. a f. 79. < X A V V > — 97 — loro fortuna, ora vilmente non risparmiava i motteggi e gli strapazzi ^). Né d'altra parte il viceré e la viceregina più gene- rosi si mostrarono nel giorno del loro trionfo. Allorché le donne, gimite finalmente a palazzo e portate innanzi al viceré, si gettarono ai suoi piedi chiedendo misericordia ed aiuto, il Duca d' Arcos non ebbe pietà alcuna di quelle infelici. La stessa viceregina, che volle vederle, quasi per < 1) GnuFFi, Le rivoluzioni di Napoli, p. 190, ediz. del 1705. Quest^opera, che va anche sotto il nome di Nescipio Liponari, e tratta solo delle dieci gior- nate di Masaniello, ha avuto moltissime edizioni. Le più antiche sono quelle di Venezia 1647, e di Padova (Napoli) e Gkieta 1648 in 8®. In quest'ultima vi è ag- giunto un curioso discorso sopra i quaranta^^ttro ribelli bruciati ed incendiati dal popolo fedelissimo napoletano Vanno 1647, dove nome per nome si raccontano tutt'i loro passati difetti; e sono 44 quartine composte da un poeta sciocco ed igno- rante per nome (se pur non è finto) Simone Alleone. H libro del Giraffi ha avuto pure due traduzioni, una in olandese e l'altra in inglese; ambedue stampate nel 1664. Per cortesia dell'egregio Signor Adolfo Parascandolo, io recentemente ho potuto vedere la traduzione inglese, che per essere poco nota, e per la sua seconda parte, che contiene la storia della rivolu- zione fino alla prigionia del Guisa, merita che io ne faccia qui speciale menzio- ne. Essa si compone di due parti. Il titolo della prima è il seguente ; An eocact history of the late revolutions in Naples, andof their monstruos successes nottob epa- raUeled by any ancient or modem hystory; published by the lord Alexander Oi- raffi in Italian, and (for the rareness of the subject) rendered to english by J, H, Esq, (James Howell). In two parts. London 1664 in 8^. Questa prima parte, che è tradotta dal Giraffi, ed ha innanzi il ritratto di Masaniello, consta di 154 pa- gine oltre la dedica e finisce col Manifesto del fedelissimo popolo di Napoli del 17 settembre 1647. La seconda parte è cosi intitolata : The second part of Masaniello, His body taken cut of the Town-Ditch, and solemnly buried with epitaphs upon him. A continuation of tumult; the D. of Guise mode Oeneralissimo ; Taken prisoner by young Don John of Austria, The end of Commotiofis by J, H, Esq, London 1666. Essa ha inTningì 1 ritratti a medaglioni di G^noino, Masaniello e Gennaro Anne- se, e consta [di p. 125 oltre la dedica ed un proemio, nel quale l'a. dice di aver composto questa sua storia sopra autentici manoscritti e sopra collazioni e confronti di lettere scrìtte da diversi distinti personaggi. Nell'opera poi egli comincia dal ricapitolare i fatti narrati nella prima parte e riporta pure il so- netto : Altra paga sperai, altra mercede, e l'iscrizione composta da Bernardo Spi- rito pel monumento, che si voleva ergere nella piazza del Mercato. Narra indi i fatti del secondo (p. 32) e del terzo (p. 44) tumulto, e finisce coll'entrata de- gli Spagnuoli e colla partenza di D. Giovanni d'Austria. Singolare è la noti- zia, che trovo in questo racconto a p. 116, di essersi cioè nel tumulto accaduto nel febbraio 1648, inteso tra gli altri gridi quello di: Viva il parlamento d'Inghil- terra, Ora il libro trovasi nella biblioteca della Società Napoletana di storia patria. > < A 13 A. > V V — 98 — prendersi la sua rivincita, sfogò (come accennano alcuni, sebbene altri lo neghino) il dispetto della domenica an- tecedente, dileggiando la povera vedova, veneranda allora per r improvvisa sventiu-a , col titolo d'illustrissima , di generalissima e di viceregina delle popolane. Soli il cardinale Filomarino e l'Eletto del popolo Francesco Antonio Arpaia fecero sentire una parola di compassione tra gli strapazzi e gl'insulti di tutti. Essi pregaroiio il viceré a risparmiare quelle povere donne, e cosi furono mandate nel Castel Nuovo, ove per alcuni giorni ebbero vitto ed abitazione , ed ove furono pm-e trattenuti in seguito il fratello, il cognato e gli altri pa- renti di Masaniello, che al primo conoscere della morte di lui, si erano fuggiti o nascosti ^). < m. > X Ucciso Masaniello, il Duca d'Arcos credette che la rivoluzione con lui fosse omai spenta. Egli, ordinata ima gran cavalcata, a cui intervennero i cavalieri e gli uffi- ziali o ministri principali dei regi tribunali, col cardinale arcivescovo e con buona guardia di fanteria e cavalleria ben armata andò al Duomo per render grazie a Dio ed al Glorioso S. Gennaro, patrono principale della nostra città, per la quiete omai ottenuta, e girò lieto e con- tento pel Mercato e per le altre vie della città. Nello stesso tempo ordinò che si facesse l'inventario delle robe conservate tanto nella casa di Masaniello quanto nei ma- gazzini del Mercato, del che fii dato incarico all'Eletto del popolo. Secondochè asserisce il buon prete PoUio, il quale ^) n fratello di Masaniello cercato nella sua casa dopo la morte di .quello, si salvò fuggendo per gli astrici, secondo si afferma da un contemporaneo, che scrisse dei fatti accaduti dal 7 luglio al 6 ottobre 1647 in ima Storia della 8oU levazione del 164?; MS. di cui ho fatto menzione sopra. A. < — 99 — accompagnava il compare in questa occasione, lo Arpaia chiamò per suo segretario Vito Antonio Cesartuio, onde scrivere minutamente tutto ciò che ivi si fosse rinvenuto; e nel far l'inventario, molti dissero che gli uccisori di G. de Montetnayor fot. da una stampa contemporatua Masaniello in quella notte, che segui la morte di lui, sì avessero pigliato gran quantità di oro ed argento ed un baule di monete, trasportando il tutto per gli astrici della ')• 1) Poixio, 0. e. {. 43. Ivi lo ■ giunto Tonno o Antonio. è cbitunato Vito, e poi sopra è ag- V V > — 100 — Poco dopo due bandi, uno dei 17 e Taltro de' 21 lu- glio, alle preghiere dello stesso Eletto e per far cosa grata al fedelissimo popolo, estendevano l'amnistia accor- data pei fatti del 7 luglio in poi anche al fratello ed al cognato di Masaniello, che ne erano stati prima col bando dei 16 di quel mese eccettuati ^). Se non che Giovanni fii dato, come suol dirsi, in consegna a Marco di Lorenzo macellaio, che cogh onesti guadagni del suo mestiere, si aveva prociu-ato grandi e straordinarie ricchezze, tuttora tradizionali neUa memoria del popolo, perchè lo guardasse in sua casa, trattandolo nel miglior modo che fosse pos- sibile ^. D' altra parte la moglie , la madre e la sorella di Masaniello cacciate dal Castel Nuovo ^ , furono con- segnate al Genoino, che era stato creato presidente della Regia Camera della Sommaria , e furono condotte alla casa di costui a S. Agnello dei Grassi, ove per alcime settimane furono con conveniente assegnamento mante- . nute. Ma il fuoco era coverto di cenere e non tardò guari a divampar nuovamente, ed in modo anche più terribile e funesto di prima. I tumulti dei mercanti e dei tessitori di seta, degU studenti forestieri , dei pezzenti , e perfin delle donne contro il governo del Banco della Pietà o Monte dei Pegni , ciascuno per la revindica dei proprii diritti perduti, o per Tabolizione di qualche abuso intro- dotto, manifestavano gli animi sempre torbidi ed inquieti < ^) n bando del 17 luglio è riportato dal De Santis^ p. 117, il quale sog- giunge che parve al popolo che esso avesse del maligno, perchè non compren- , deva il cognato di Masaniello. £ però il Viceré con un secondo bando dei 21 luglio non riferito da alcuno, ripetè l'indulto del 17 aggiungendovi anche il co- gnato di Masaniello, che era stato nell'antecedente omesso. Amendue i Bandi si trovano nella mia Collezione di bandi j Capitoli, editti, ed ordini del 1647-48. *) BxTBAONA O. e. P. n, p. 4; Capkcelatro, Diario, I, 98. •) Capecelatro ; /. e. Delia casa del Genoino a S. Agnello dei Grassi parla della Porta. > < A A. V y > — 101 — del popolo, e facevano agevolmente prognosticare altre più gravi ed aperte ribellioni ^). n viceré dal canto suo non negava cosa alcuna. Dis- simulando , accordava e prometteva tutto, ben risoluto, quando che fosse, a non attender nulla. In questo stato di cose non mancava che un'occa- sione qualimque, la quale soffiasse nella brace ad eccitar rincendio, e desse ai tiunultuanti un novello capo. Questa occasione presto si offerse. Per la imprudenza ed ambizione del presidente Cerniamo ai 21 Agosto una seconda ge- nerale soUevazione del popolo scoppiò nella piazza della SeUaria, e, sebbene per poco, fece nuovamente comparire nella storia della rivoluzione del 1647 la famiglia di Ma- saniello. Le più antiche memorie, che io trovo della piazza della Sdiaria rimontano al secolo XTT. In quel tempo essa chiamavasi strada di Capo di piazza [platea capitis plateae). In due istrumenti uno dei 5 febbraio 1194, e l'altro del 6 dicembre 1198 , accennati nella Platea del monastero di S. Severino della nostra città, si ricorda una casa con orto sita in Napoli in capo della strada detto Capo di Piazza^ pertinenze di Portauova, non lontana dalla porta détti Monaci, , e vicino alla chiesa dei SS. Cosmo e Da- miano, grancia di detto monastero. Con un altro istrumento dell'anno 1263 la detta casa è descritta come sita ac- canto alla strada, che andava a S. Arcangiolo {d^li ar- mieri)j chiesa appartenente al monastero Cavense, giusta il miu-o pubbUco , e la torre vecchia della città ^. < 1) Piacente, Storia del 1647 p. 69; De Santis, p. 128; Capecelatro, p. 136, 137, Bacconto ai 13 agosto. ^ La Platea di S. Severino, che io ho consultato e che un tempo con- servavasi nel monastero, fu fatta tra il 1779 ed il 1790 sopra registri più an- tichi. Le notizie sulla regione di Capo di Piazza in essa notate sono le seguenti : « A'5 febbraio dell^ind. 14, regnando Errico imp. Pietro di Moneta donò al Mo- « nastero una casa con oi-to sita dentro Napoli ; dentro di un portico comunale « in capo della strada detta Capo di Piazza, pertinenza di Portauova non lontana > < A. X > >^ y- — 102 — Documenti posteriori determinano con maggior precisione il sito di quella chiesa e della contrada circostante. Da essi rilevasi che quella era posta propriamente nella piaz- zetta, ora vico Molinello alla Settaria j tra il vico Giude- cheUa al Pendino^ che allora e in tempi anche più remoti dicevasi Deposulunij ed indi fondaco di 8. Martino, e la strettola degli armieri , già vico 'armentario o armentario- rum ^). Nel 1743 questa chiesa fu profanata, e, come rilevo dalla citata Platea, la cona dei SS. Cosmo e Da- miano, che era sull'altare maggiore di essa, fii trasferita nella cappella degU Spinola dentro la chiesa vecchia di S. Severino ^). Qui in processo di tempo, e propriamente nel 1585, esisteva la bottega e l'abitazione di Giov. Leonardo Pi- > « dalla porta detta delli Monaci, giusta li beni di Elia Ganga, di Giuda ebreo, « ed altri confini , come dal Libro delTinventario n. 1977 ; ed a 6 decembre « 1198, in tempo di Federico H, il Monastero diede a censo di un sestaio di « olio ad Adam Scatola e suoi figli mascoli tantum, una porzione di detta casa « che allora era rinnovata, vicino la chiesa dei SS. Cosmo e Damiano, la corte « comune ed altri beni del Monastero, la via pubblica ed altri confini come « àalV Inventario n. 1898; e nell'anno 1263 il Monastero dà a censo di due e sestara di olio a Tommaso Saperta un' altra porzione di detta casa, sita ut su- « pra, giusta la strada che va a Sant'Arcangelo , lo muro pubblico e la Torre « vecchia della Città con altri confini, come dall'Int^evUartò n. 28; e finalmente, « nel 1267 il Monastero diede a censo di tari 7 e mezzo l' anno a Giovanni e Scossidato parte di dette case site ut sopra, giusta la chiavica che scorre « per li Ferri Vecchi, come à&ÌV Inventario n. 74. Ih un inventario fatto nel 1454 si fa menzione che il Monastero pos- sedeva « una casa grande isolata dalle vie ohe la circondavano con molti mem- « bri , posta nelle pertinenze di Portauova , dove si dice Capo di Piazza , « dalla parte dov' è il principale ingresso, giusta la via pubblica che viene « dalla Sellaria e va al Seggio di Portauova, dall'altra parte giusta la via « per la quale si va al vicolo delli Coppola , e dall'altra parte giusta il vica- « rello posto tra le dette case ed il fondaco della chiesa dell' Incoronata^ per « la quale passa la via, che scende da Pistase, dall' altra parte giusta la corte, « per la quale si passa alla Bua delli Spadarì o Armieri, come dall' Inventa- « rio n. 260 ». Platea cit. f. 126. 1) n Vico deposóhan qui et armentariorum trovasi in un doc. del 966 v. Beg. Neap. nn. 156, 874, 445. Del fondaco di S. Martino inter plateam armenta- riorum et Judecam si ha 'memoria negli Acta visit, Cathedr, ab arch, Ann. de Capua; a. 1580 f. >) Platea dt. f. 805. < A ^ > > •y y — 103 — sani, speziale, che fu uno dei principali istigatori e capi della sedizione deUa plebe napoletana e della infelice morte dell' eletto del popolo Giov. Vincenzo Storace ^) , av- venuta nel maggio di quell'anno. Allorché sedato il tumulto e rimesso l'ordine neUa città, il viceré dopo qualche mese procedette al giudizio ed al castigo di quelli che vi avevano preso parte, il Pisani, essendosi a tempo posto in salvo, fii condannato a morte in contumacia, la sua casa fu diroc- cata, e sul suolo di essa, ove si era seminato il sale, fii eretto ini monumento, nel quale in apposite nicchie si col- locarono le teste e le mani di 24 principali giustiziati con grate di ferro sopra perchè non potessero indi to- gliersi. Una iscrizione in mezzo ricordava il nome del Pisani, il deUtto commesso , ed il castigo ^. Per pa- recchi mesi quel miserando ed orribile spettacolo contristò lo sguardo dei napoletani, che passavano per quella via, ima delle più frequentate della città; ma finalmente il viceré successore , aUe preghiere del nuovo Eletto del po- polo Giov. Battista Crispo, permise che quella memoria di lutto e d'infamia venisse cancellata. Allora i teschi e le mani degl'infelici furono condotti al ponte Guùeardo ora deUa Maddalena, luogo di sepoltura dei giustiziati. Più di 2000 persone, molto clero, e diverse reUgioni di frati accompagnarono coUe torce accese le postume esequie. ^) Generalmente costui anche dagli scrittori contemporanei è chiamato Gio. Vincenzo Starace, ma egli nei registri deU'archiv. munic. si firma sempre Storace.— Del terrìbile fatto parlano largamente il SmofOirrE (0, e. IV, p. 446 e ss.) che con esso pone termine alla sua storia, ed il Costo nelle addizioni al OoLLENUCGio, III. p. 399 e ss. Una narrazione speciale di esso fu pubblicata néiV Archivio ator, per le prov. Napolitane, a. I, pag. 131, ed un'altra intitolata: DeW infelice morte di Giov, Vincenzo Starace trovasi al f. 338 del Ms. della bibl. Nazionale segnato V, C, 51. ^ n disegno eli questo monumento infame può vedersi nel Mutinelli, Belazione degli ambasciatori veneti ecc. IT. p. 156, ed or ora dal medesimo è stato riprodotto nella recente pubblicazione dei Diurnali di Scipione Guerra; riscrizione è riportata dal Parrino, I, p. 374. < < J. A. V V > — 104 — solenne dimostrazione e pubblica protesta del popolo contro il governo spagnuolo ^). Dall'altro lato della via Capo di Picus^ay dopo l'angolo della strada di S. Biagio dei taffettanari ed il vicolo che dicevasi di Pistaso ed ora dei Ferri vecchi al Pendino, sor- geva nel secolo XTT il palagio di Pietro delle Vigne, di colui cioè: che tenne ambo le chiavi dd cor di Federico II, edificata sul suolo già appartenente al monastero Cavense. Ivi nel 1254 dimorò per alcun tempo papa Innocenzo IV, ed ai 7 Dicembre dello stesso anno vi mori. Ivi dopo tre giorni fu eletto il nuovo pontefice Alessandro IV, che vi si trattenne fino al maggio dell'anno seguente. Il palagio, che, tenuto anche conto della modesta maniera di abitare in quel tempo, dovette essere un edificio nobile e vasto, potette albergarvi il pontefice, la curia romana ed i car- dinali del Sacro Collegio, ed avere oltracciò sufficiente località, ove tenersi il pubblico studio di teologia, decreti, decretali e leggi canoniche che lo stesso papa Innocenzo IV nella sua venuta in NapoU vi aveva istituito, fii col- l'orto adiacente e cogh altri beni di Pier delle Vigne dal medesimo Papa Innocenzo IV conceduto alla famigUa dei Fieschi, cui egli apparteneva, ed alla quale in virtù delle convenzioni stipulate con Clemente IV nella inve- stitura del reame, fii anche da Carlo I d'Angiò confer- mato. Ivi verso il 1285 dallo stesso re Carlo I furono collocate 1' officina o zecca delle monete , e la corte dei conti, che da essa dipendeva; ed ivi l'ima e 1' altra si tennero fino al 1333, allorché furono trasportate dirim- petto la chiesa di S. Agostino nel sito, dove fino a poco fa era l'officina delle monete. In processo di tempo la casa pervenne alla famigUa Barbati, nobile del sedile di Montagna, ed indi nel secolo XVI alla corporazione del- l'arte della lana. Cosi in essa si stabilirono le opere di < 1) Relazioìie dei 20 giugno 1586 presso il lodato Mulinelli, II, 158. > < A. > y V — 105 — bagnare, tingere, e frisare i panni, e tutto il fabbricato, al quale si accedeva dalla SeUaria e dal vicoletto di S. Palma, ebbe nei tempi di cui discorriamo, la denomina- zione di Fondaco della zecca dei panni ^). La strada Capo dipiaeza^ che, a quanto può rilevarsi dalle vecchie carte, distendevasi dal sito, ove ora è la chiesa di S. Biagio fino al vicoletto Fate^ o alla piccola chiesa di S. Giacomo dei Mormili da un lato, ed a poco più oltre la strada degU Armieri dall'altro, formava sotto gU Svevi e gli Angioini , una delle ottine o piazze po- polari della nostra città. Essa allora, come ordinariamente le altre piazze si nobiU come popolari, aveva il suo proprio sedile o teatro, che non sappiamo precisamente dove fosse collocato, e che, probabilmente dopo la riforma o la nuova costituzione data ai sedili di Napoh, nella seconda metà del secolo XIV, o cangiò nome o fu abolito, non trovan- < 1) V. la mia scrittura sulla casa di Pietro delia Vigna in Napoli nel Ben- diconto deWAccad. Pontan. a. 1868. Nel Qiomale storico da me sopra citato alla nota (74) sotto il mese di aprile 1649, si narra la modificazione fatta dal Vi- ceré al fondaco della Zecca de' Panni nel seguente modo: e L'Eccellenza del « signor Viceré di Napoli , Conte di Gnatta (sic) avendo visto e riconosciuto « il luogo della Zecca de' Panni di Napoli, ed essendo stato di persona a ve- « dere detto luogo ch'era rinchiuso a modo di Sinagoga, che chi non ci avea « che fare non potea in detta Zecca entrare , per essere un Benevento pie- « colo ^), dove di continuo si commettevano diversi peccati, ordinò che come « stava rinchiuso s'aprisse, e che si potesse passare dall'una parte all'altra, e « cosi il tutto fu eseguito dove fu sfabricato dall'una parte all'altra, cioè « dalla parte della Selleria si buttarono quattro botteghe con tre appartamenti , « uno sopra l'altro, e si f è ima larga strada di palmi 60, con buttare anco « molte altre case dentro di detta Zecca, e si f è im largo grande come ho « detto, tanto dalla parte di S. Palma dalla strada delli Ferri Vecchi ... e «e per grazia di Dio benedetto si è levato quel nido di tante male genti, che « in Napoli quando si dicea, Dio ti guardi degli nomini della Zecca, Dio te ne « liberi, che questi uomini della Zecca de' Panni, sono uomini senza coscienza, « nò hanno timor di Dio. Ms. cit. f. 57 ». > a) Benevento, appartenendo allora alla Chiesa, era rasilo di tutti coloro, che pote- vano temere la giustizia del governo di Napoli. A. 14 < V V > — 106 — dosene più memoria dopo il 1392 ^). Dopo quel tempo anche la strada perdette a poco a poco la sua primitiva denominazione, e prese quella di pia^sa ddla Settaria {Ru- < 1) A dicliiaxazione e documento di quanto ho riferito nel racconto^ rac- colgo in questa nota le poche memorie, che ci rimangono intomo al sedile di Capo di Piazza, le quali si coUegano alle vicende dei Sedili di Napoli, argo- mento importantissimo per la storia di questa Città e non ancora trattato, come dovrebbe esserlo, dai nostri scrittori. Una larga discussione, comunque fosse necessaria, sarebbe qui certamente, affatto inopportuna. Or tralasciando i tempi più antichi, da sicuri documenti è dimostrato che verso la fine del secolo XIII ed i prìncipii del XIY, la nostra Città, per la tassa delle collette e per le altre contribuzioni, o servizi fiscali era divisa in tante regioni o piazze, il numero ed il nome delle quali variano talvolta se- condo Taggregazione o la separazione di talune delle vie che le componevano, e secondo il predominio che davasi piuttosto alPuna che all'altra di esse. Nel 1301 queste piazze erano quindici per i nobili, e 33 per i popolani ^); con que- st'avvertenza però che alcune di esse, per la contemporanea esistenza di ambo i ceti, si veggono ripetute nell'una e nell'altra categoria. Non è certamente inverisimile che tutte queste piazze ^ com'è indubitato per la maggior parte, avessero un proprio luogo, ove si i nobili che i popolari, ivi abitanti, potes- sero radunarsi per discutere la distribuzione delle tasse fra i contribuenti, la nomina dei giudici annuali, l'amministrazione delle estaurite proprie, ed altri pubblici negozi della piazza, o anche semplicemente per oziare in private con- versazioni. Questi luoghi, che si chiamavano tocchi, sedili, o teatri, esistevano da tempo antichissimo nella vecchia città, e non erano, come generalmente si è creduto, un ritrovo esclusivo de' maggiorenti e della nobiltà. Nel 1306, impo- sta la gabella del bium danaro, destinata principalmente al pagamento delle collette, ed aboliti o tramutati in altre prestazioni i servizi reali e personali, non si trova più documento alcuno, che ci ripeta la circoscrizione delle pieizze del 1301 e la distribuzione delle tasse. Anche verso quel tempo, secondochò a me pare, i Sedili ebbero una prima riforma. Essi allora incominciarono a restringersi o a trasformarsi, sia incorporandosi i minori ne' maggiori, sia mu- tandosi in nobili quelli che erano popolari. Conseguenza di questo ordine di cose fu l' abolizione di molti Sedili, o forse anche la riduzione di tutti a 29, secondochò (comunque senza appoggiarsi a sicuro documento) i nostri scrit- tori affermano. Il seggio di Capo di Piazza, che dal Tutini per errore fu confuso con quello di Somma Piazza {Origine dei seggi p. 46) era e restò dei popolari. Di *) Faac. 9. f. 3 ap. Alitto. Vetusta r. Neap, monum. f. È allegato e compendiato dal SUMMONTB, II, 365 e dal Totimi p. 03.— Il Bolvito nel voi. IV. Varlarum rerum, Us. conservato una volta neirarchivio dei santi Apostoli, ed ora nella biblioteca di S. Martino della nostra città al f. 18 riportando questo documento , nota : Su!>seqttens collectartum extat scriptum In quodam Ubello cartarum bomìyycinarum in regio archivio Siclae, re- posito fuxUe SO augusti 1586 in fùsciculo 9, f. 8. Nam extat eolligatus in praedUcto rasa- culo insimul cum certis aliis consimiUbus libellis, et propterea arcMvarius faciens fldein dicit copias /olisse extractas a praedictis fOsdculis, sed in rei ventate extant scriptae in supradictts libellis^ quorum aliqui sunt etiam de pergamena» > < A A. V > — 107 — ga Platea Sdlariorum) dalla via che la continuava ad oriente e che comincia a comparire in aJcmii docimaenti della fine del secolo XTTT ^). In un istrumento del 1334 ricordasi pure la via della Sdlaria vecchia , che anda- va ad un' altra strada detta della Pullaria ^. Sembra < esso trovo la prima memoria in un istrumento dei 29 novembre del 1265, ind. X, in cui interviene un tal Costantino Primese de iliu Toccu publico de capu de Placza regione Portanoben8Ì8 (Notam. inatrum. S. MarceUini, Ut. E p. 161). In altro docimiento del 1304 nell'Archivio di Stato in Napoli si ha pure memo- ria che gli uomini di Capo di Fiazza^ avendo acquistato da* Frati Predicatori del convento di S. Pietro Martire un suolo in quella contrada, che ad essi Frati era stato donato dal Re, construacerunt in terra hujusmodi vacua novum opus quod ad suum Sedile, seu segium deputarunt E siccome ciò erasi fatto in pre- giudizio dei dritti di Gualtiero Melia, al quale apparteneva il detto suolo, po- sto vicino alla sua casa, e ad un andito di essa; cosi il Re ordina al Capitano di Napoli, che esaminata la cosa, provveda alla giustizia (Reg. n. 135 (1304, C.) f. 179).— Poco dopo in un diploma del 1313 si fa parola di certa rissa accaduta in 8egio Platee capitis Platee (Caiceba, Annali, IT, 211). Finalmente nel fasci- colo 93 il 1,^ a p. 562, in carta del 1349, questo sedile è chiamato Teatro, e cosi pure in un istrumento del 1392, ricordato dal Tutini ne' suoi Notamenti mss. nella biblioteca Brancacdana (II, E. 31) f. 96, ove dicesi posto m platea Sellarie. Dopo quest'epoca, come ho detto nel racconto, non trovo più menzione di esso nei dociunenti, e neUe memorie del tempo ; il che mi ha fatto sospet- tare che , verso la fine del secolo XIV o i principii del secolo XV , si fosse trasformato in quello della Sellaria, donde una ottina della Città prendeva pure allora la sua denominazione (V. la nota delle piazze popolari della città nel 1442 in Passero, Criomali p. 14). Pel sito poi del seggio della Sellaria si vegga il Tutini 0. e. p. 170, il Celano ed altri. Secondo il Summoi^e (I, 209) , esso sarebbe stato nell' angolo del convento di S. Agostino ; ma io credo che il benemerito scrittore fosse indotto a credere cosi dall'erronea applicazione, che egli faceva a quel sedile, della iscrizione antica, ov'egli malamente leggeva: In Curia basilicae augusti- nianae. 1) Della Sellariorum ruga, ubi decurrit aqua de fonte Fistulae trovasi menzione nel Registro n. Ili (1301 F.) f. 113, nel grande Archivio di Stato in Napoli. ^ « Nell'anno 1334 a 13 Giugno IT indizione in Napoli. Teodora del « Gaudio, vedova del q. Bartolomeo Caracciolo Bisquitio, tutrice testamentaria « di Cubello e Bartolomeo Caraccioli Bisquitij , fratelli, suoi nipoti, figli ed « eredi del q. Filippo Caracciolo detto Bullone , in nome di detti pupilli; ed « Alogara Piscicella, vedova del q. Matteo Caracciolo Bisquitio, milite, tutrice « testamentaria di Nicolello, Alogarella, Incorella e Mariella Caracciolo Bisquitio « sue n^)oti, figlie ed eredi del q. Filippo Caracciolo Bisqidtio suo figlio , in « nome similmente di detti pupilli, assegnarono a Belardisca Caracciolo Bis- > < A. A. V V > — 108 — inoltre che anche in quel tomo di tempo, l'antico sedile o qualche altro, pure appartenente all'ordine popolare , che nella medesima contrada a quello era forse succeduto, raccogUesse i diritti e le prerogative di tutti quei sedili popolari, che erano nell'ambito intero della vecchia città. Questo sedile, che aveva allato una casa ed una cappella intitolata a S. Chirico o S. Ciriaco, onde ingombravasi la via, secondo alcuni nostri scrittori , era posto nella piazzetta, ov'è la seconda fontana, e dove ora comincia la strada del Pendino. Per alctme dipintiu-e, da cui era adomato, dicevasi volgarmente lo sieggio pittato ^). Nel 1456 re Alfonso I d'Aragona ordinò che il sedile insieme colle fabbriche che vi erano attaccate, fosse di- roccato, affinchè in tal modo si regolarizzasse quella strada che allora era la più bella ed ampia della città, e vi si potessero fare giostre e tornei, come nelle vie extramu- rane di Carbonara e delle Corregge. Il fatto produsse grande commozione e dispetto nel popolo grasso, come allora dicevasi la borghesia, e nel popolo minuto, la plebe. Si credeva che fosse stato quello un pretesto per favorire Lucrezia d' Alagno, che aveva la casa in quel sito, e che prevalendosi dell'amore ardentissimo a lei portato dal re, lo aveva indotto a far abbattere quell'edificio, onde ren- dersi spedito e Ubero l'aspetto della strada. Altri e forse non a torto, credettero che Alfonso avesse voluto ingra- ziarsi la nobiltà che vedeva mal volentieri come i popo- lani avessero un luogo proprio di riunione al pari dei < « quitia moglie di Biccardo Filomarìno milite , a Bianca , moglie di Tomaso « Dentice, e Filippa, moglie di Tommasello Tomacello, sorelle figlie del q. Li- « gorio Caracciolo Bisquitio, milite , la lor porzione , cioè la terza parte lor « toccata nella divisione fra di esse in detti nomi fatta di certe case vecchie ed « orto, seu terra vacua, site dentro Napoli, giusta la via pubblica detta Pul- « laria, nella regione di Portauova » Come dall* istrumento fase. 6, n. 65 nella « Platea, o Reassunto degli antichi strumenti che si conservano nelV Archi- « vio del monastero di Santa Patrizia, già presso il Cuomo, ed ora nella biblio- « teca Municipale. 1) Tdtini, Op. cit. p. 171. y < A y > ■y Y" — 109 — nobili. Che che ne sìa, certo è che ai 31 marzo dell'anno seguente 1456 il popolo radunato nella piazza della Sel- laria tumultuò, la città tutta prese le armi, ed il re fìi obbligato a cavalcare per le vie della medesima , onde placare gU animi esacerbati. Fermandosi in mezzo alla piazza e parlando ai capi dei tumultuanti. Alfonso cercò di dimostrare il miglio- ramento, che da quel fatto la contrada avrebbe avuto , annunziò le giostre che a divertimento del popolo aveva intenzione di farvi, promise d'intervenire ivi alla proces- sione di S. Gennaro detta dei preti inghirlandati, solita farsi il primo sabato di maggio in ciascun anno, la quale, tolti gli impedimenti del Sedile e della casa che stavano in mezzo alla strada, sarebbe comparsa più sontuósa e più bella. La presenza del re, se noxi le ragioni da lui addotte, acquetò gli animi dei più, il bando che egli poi fece nel giorno seguente, con cui dispose di aggregarsi al sedile di Portauova i principali cittadini del popolo grasso, togUendone i capi e quei che formavano la forza principale dei malcontenti, estinse affatto il tiunulto. In quello stesso giorno si cominciò, come dice un cronista, « a levare la silicata della piazza e spianare lo terreno, « come si ci volesse fare la giostra , e la strada restò « longa, diritta ed uguale dal capo de lo Pendino fino « lo piede della via di Pistaso *). » 1) Intorno ali* abbattimento del sedile popolare ^ e successiva esclusione del popolo dal governo del Comune, momento importantissimo della storia di Napoli, grande confusione ed oscurità regna ne* nostri scrittori, e nelle scarse memorie, che ci rimangono di quell'epoca. Le cronache generalmente con poche parole e anche con qualche errore cronologico , accennano ad un tal fatto senza avvertirne la gravità. Cosi il Passabo, ai 7 Dicembre, dice: « S*ei abbattuto lo siegio della Sellaria, » col quale è concorde notar Ambrosio Casa- nova, nel suo Protocollo. V. Peluccu, i, 152. Notab Giacomo, per l'opposto segna un tal fatto al 2 Dicembre 1465 con evidente trasposizione di cifre. Lo stesso Fassaro poi nota a' 31 marzo 1457 : « Se sono levate le silice della insilicata della Sellaria » mentre notar Giacomo segna questo avvenimento a* 81 Maggio 1456. Finalmente im diploma citato dal Sicola (Ftfa di S. Aspreno, < < J^ K V V > — 110 — E le giostre invero forono fatte, la processione fu con maggior pompa solennizzata , ma il popolo per parec- chi anni restò senza rappresentanza e senza sede propria nel governo mmiicipale, e quando dopo il breve dominio di Carlo Vili in parte nuovamente 1' ottènne ^) , non < > n, 430) di Be Alfonso I, col quale a' 27 Marzo 1444, si ordina al Vescovo di Valenza che si togliesse il detto sedile, commettendone 1* esecuzione a quattro gentiluomini del Seggio di Portauova, farebbe rimontare ad un^ epoca più antica la disposizione, se non l'esecuzione di un tal abbattimento. Se non che qualche più precisa particolarità si può ricavare da una cronaca o piuttosto Baccolta di Cronache fatta verso la metà del secolo XVI, copia della quale Ms. si conservava dal lodato sig. Cuomo , ed ora trovasi nella biblioteca Municipale. Nella Hist Dipi, r. Sic, ab. a, U250 ad annum 1266 a p. (51) io ho fatto menzione di essa; ed in altra mia scrittura ne par- lerò anche più diffusamente. Per ora mi basterà notare qui semplicemente come la medesima fosse nota al Tutini, il quale ne compendiò le parole a pagina 246 della sua opera sui seggi. Nella cronaca dimque si legge: « A IH « 1456, alli 7 Dicembre, s'abbattè uno Seggio che stava alla Sdiaria di Na- « poli, quale seggio Thavevano fatto li nobili cittadini del Popolo, il che la « nobiltà ottenne dal Re Alfonso, per non exaltare li popolani — A Ili 1457, « alli 31 di Maggio, fu un gran rumore nel Popolo contro li gentiluomini, ed « hebbe ad essere grande scandalo per lo seggio abbattuto del popolo. Ca- « valcò lo re Alfonso e si fermò alla piazza della SeUaria, parlando a Gio- « vanni MirobaUi ed alli altri cittadini, (dicendo) che quello non era stato « fatto a mala fine, ma perchè volea annobilire la città; che la strada della « Sellarìa era bella, (e che) se levava quello Seggio et una casa che stava al « mezzo, per posser fare la processione et altre feste e giostre. E quello di « fece abbattere la casa, che stava allo costato dello Seggio, e dette fama che « lo prossimo maggio si voleva fare una bella giostra alla tornata delle ga- « lere, cioè per tutto maggio, ma per lo primo Sabato si faria la processione « delli preti giorlannati con la testa e lo sangue di San Grennaro, e che Sua « Maestà volea venire a stare a vedere alla Sellarla, e molte altre belle pa- « role. Cosi per quello, come per la sua cavalcata e per sua presenza, in parte « furo placati, e fé incontinenti incominciare a levare la silicata della piazza « della Sellaria, e spianare lo terreno, come se ci volesse far la giostra, e la « strata restò longa e dritta et eguale dal Capo de lo Pendino fino a lo pede « della via di Pistaso. E lo di seguente fò lo bando come al nuovo Seggio di « Portauova, volea Sua Maestà aggregare li cittadini de lo Popolo grasso e « furo fatti gentiluomini li Cafandi, li Coppoli, li Miroballi per leggieri favori. « Ms. p. 536 Cf. SuMMOi^E, Op, cit, t. I, p. 209. 1) NoTAB Giacomo, Cronica di Nap, p. 190, e Passabo, Giornale p. 73.— I principali patti delle capitolazioni conchiuse tra i nobili ed i popolani si tro- vano compendiati nei Diurnali del Gkdlo ai 17 giugno 1495 p. 12 ; una copia poi dell' istrumento stipulato in quell' occasione , sebbene alquanto scorretta, leggesi nella Baccolta di Cronache , di cui sopra ho parlato , a p. 869 con la A. v V > — Ili — ebbe più un edificio speciale come i nobili , ma gli fu assegnato un locale nel convento di S. Agostino , ove nelle sue occorrenze potesse radunarsi. Senonchè la strada della Sellaria restò sempre come sede propria della giu- risdizione popolare. Ivi nella processione di S. Gennaro, di cui innanzi ho parlato, si ergeva in. ogni sei anni un catafalco^ che raffigurava il distrutto sedile del popolo, e serviva temporaneamente a quelle stesse pompe , cui i sedili nobili , quando loro toccava, erano destinati. Ivi pure nella festa di S. Giov. Battista l'Eletto del popolo riceveva e faceva omaggio, come in propria dimora, al viceré con istraordinari e magnifici apparati ^). Ai tempi di D. Pietro di Toledo questa via ebbe pure altri mighoramenti. La chiesa di S. Felice in ptnciSj ima delle antiche parrocchie della città, che era posta più su verso l'angolo della via di S. Agostino alla Zecca, < data dei 12 giugno. Oltre a ciò, secondochè narrasi ivi a p. 856, prima che Carlo Vm fosse partito da Napoli (20 Maggio 1495) i popolani per mezzo di quattro cittadini, i quali furono Messer Parise Scotio, Messer Giovanni Fol- liero , Messer Antonio Sasso , e Messer Franco Fiorentino presentarono me- moriale al re, della città, che li facesse grazia « in scriptia che potessero e- « leggere un loco della città, dove si potessero adunare liberamente, e trattare « le cose occorressero per lo loro seggio. H re concesse le grazie, e fece chia- « mare gli Eletti gentiluomini dicendoli che volessero essere boni fratelli coli « popoli (popolani), e che, come anticamente erano stati, in uno governo uni- « tamente trattassero in S. Lorenzo le cose occorrenti per la città, e che essi « erano cinque piazze e lo popolo una , che saria lo suo Eletto , e saria la « sesta voce e sana lo suo reggimento popolare in la sala de lo inclaustro « di S. Agostino, e fu chiamato lo primo Eletto del popolo , che fu Giovan « Carlo Tramontano. » Il fatto è riferito anche dal Summonte, il quale nel t. I, p. 145 compendia le parole di questa cronaca. Ma con queste capitolazioni non furono interamente acchetate le diffe- renze tra i nobili ed il popolo. Restavan sempre materie di controversia, al- cune delle quali furono definite da re Federico II d'Aragona nel 1488, ed altre dal re Cattolico nel 1506. Chi di esse vuole più ampie nozioni vegga il Summonte nel /. e. e gli altri scrittori patrìi. ^) Il catafalco nella piazza della Sellaria per la processione antichissima di San Gennaro cominciò a farsi nel 1528. Summonte I, 338.— Per la festa di S. Giovanni ai 24 giugno si veggano le descrizioni fattene dal Capaccio nel 1626 e 1627, dal Giuliani nel 1631, e dall' Origlia col libro: Il Zodiaco ec. nel 1630. Cf. Monografia di S. Giovanni a Mare per Michele Badoona p. 74. > < A A V V > — 112 — e che usciva alquanto più in fìiori della linea delle case da quel lato, fa per ordine del viceré abbattuta, e la cura, che vi era, venne aggregata alla parrocchia di S. Giorgio Maggiore ^). Allora fii pure eretta una fontana nel sito, dove già credevasi posto il sedile del popolo coll'inunagine di Atlante che sostiene il mondo, il tutto opra del famoso nostro scultore Giovanni Merliano da Nola col disegno dell'architetto Luigi Lnpò. Da qui la strada prende ora il nome di Pendino , onde si denomina tutto il quartiere. Un tempo tale de- nominazione si restringeva solo a quel tratto, ove sbocca la via di S. Agostino alla Zecca, che scendendo in pendio da Forcella, si disse in prima Pendino di S. Agostino. Te- nevasi ivi allora, come adesso per tutta la via, imo dei più affollati ed abbondanti mercati di conmiestibili in Napoli. Un arco antico finalmente, che non ha guari fu demoUto, e la via che segue dei Zappari, chiamata nel secolo XIV piazza dei Vindi o deWInfemo, chiudeva la storica contrada ad oriente, e ricordava il vecchio recinto della città, e la nascita di Bartolommeo Frignano, che poi diveime papa col nome di Urbano VI ^. Or le strade della SeUaria e del Pendino nella mat- tina del 21 agosto di quel memorabile anno 1647, bru- licavano più che mai di gente innumerevole , che alla voce sparsasi di tradimento contro il popolo, vi era pre- cipitosamente accorsa da tutte le parti della città. Uo- mini di ogni età e condizione , lazzari e cappe nere ^), < ^) Acta Visit Paroch. maj. a. 1580, nella parrocchia di San Giorgio maggiore. ^ Del Pendino di S. Agostino, la cui denominazione tirava anche per la via dei Calderai, si fa cenno nella Plat cit. di San Severino fol. 79 — In- torno alla nascita di Urhano VI parla il Summonte, IT, 453, il Tutini, Op, cit p. 192, e Celano, Op, cit IV, 185. Taluni però contraddicono ad una tale tradizione. ") Erano cosi chiamate allora le persone civili, e specialmente quelle ap- partenenti al foro, dall'abito nero che portavano. V. Bando di Gtennaro An- nese in CAPSCELATao, Diario IT, Ann, p. 68. > A A. > > y y — 113 — donne del popolo e fanciulli , e perfino frati non pochi ingombravano quelle vie già per l'ordinario cosi popolose. Uno era il pensiero di quanti ivi si raggruppavano in crocchio o a capannelli , uno il discorso di tutti dall'arco del Pendino alla cantonata dei Taffettanari. Narravasi ai curiosi ignari della causa di si nuova e subita indignazione, che Orazio di Eosa, volgarmente detto BazzvUoy tintore e frisatore di panni abitante nel f(md4ico della zecca e capitano del popolo , nella sera an- tecedente insieme col mercante di seta Agostino Campolo, abitante a S. Biagio, aveva sorpreso tra le mani di Marco d'Aprea, mercatante di drappi d'oro e di Giuseppe Vul- turale, una specie di petizione o fede che a^davasi fir- mando, e con la quale si attestava come Fabrizio Cennamo, presidente idiota della regia camera della Sommaria, ed il consighere Antonio d'Angelo, non di ordine del popolo ma per opra di alcuni privati loro nemici, fossero stati ai tempi di Masaniello incendiati ; e quindi si domandava che s'istruisse d'un tal fatto regolare processo , e che i colpevoU ne ricevessero condegno castigo. Aggiungevasi essere questa una prima scappatoia, con la quale il viceré cercava di violare le capitolazioni soleimemente giurate nel Duomo ai 12 del passato lugho, e l'amnistia accordata con quelle e confermata nel 16 dello stesso mese. Con tal pretesto voler egli togUersi d' innanzi tutti coloro , che si erano adoprati al disgravamento ed al bene del popolo. Cosi a poco a poco si sarebbero rimesse le an- tiche gabelle e le innmnerevoU estorsioni , che prima del 7 lugho opprimevano Napoh, i nobiU avrebbero ripreso i loro vecchi abusi, ed il governo della città sarebbe tor- nato ad essere il monopoHo di queUi. Ricordavansi pm-e con aflfetto le opere di Masaniello in beneficio del popolo che ora, senza un capo, non poteva sostenere i diritti ed i privilegi che si aveva rivendicati. Imprecavasi finalmente ai traditori della patria, che ossequenti al viceré, davano < < > A. 15 > > •Y Y- — 114 — mano al Cennamo ed al consigKere d'Angelo, e princi- palmente a D. Giulio Genoino, che tra musiche e ban- chetti, ora godevasi il posto di Presidente della regia ca- mera, prezzo ed an-a di tradimenti passati e futuri ^). Gli animi del volgo si esasperavano oltremodo a que- ste novelle, e più alle insinuazioni di alcimi, che avevano interesse a portar la rivoluzione oltre i limiti segnati da Masaniello. Tra costoro erano specialmente Giovan Luigi del Ferro da Arpino, il dottor Antonio Basso nativo di Napoli , e poeta non ignobile di quei tempi , D. Carlo Pedata eddomadario del Duomo, D. Pietro lavarone, sa- cerdote della terra di Giughano, il dottor Aniello de Falco e qualche altro di parte francese ^ , i quah predica- vano non potersi aver fede alcima negli spagnuoli, e ram- mentavano le loro promesse spesso fallite, i privilegi della città, ottenuti col danaro e col sangue, tante volte sper- giurati ed infranti, i reclami del popolo sempre vilipesi e scherniti. Qualche rara e timida voce di moderazione e di fiducia era accolta da beffe e da minacce, e con grida unanimi di abbasso gV interessati, abbasso i giannvs^eri ^ , morte ai traditori. Omai al tiunulto non mancava più che un indirizzo ed im capo qualimque, e bentosto l'uno e l'altro si ebbero. All' angolo del Pendino in sulla svoltata della via dei Calderai, ima vecchia vestita a bruno e salita sopra ^) Capecelatbo, nel Diario I, p. 109, e 116 dà le accennate particola- rità intorno al Genoino. ^ Che il clero napoletano in quel tempo fosse di sentimenti piuttosto francesi ed amico del popolo si rileva dal Campanile, Diario^ f. 27, dal Della Monica, f. 129 y. e da altri.— U Basso pubbb'cò : B trionfo della bellezza nelle nozze di Placido, ed Isabella de Sangro; Nap. 1640 in 12; i7 Forno di Yenerej dramma per musica nelle feste delle nozze suddette. Nap. in 4, e le Poesie, NapoU 1645 in 4. ^ CHannizzerif parola tolta dalla lingua turchesca, con la quale gli spa- gnuoli chiamano quei del loro sangue, che sono nati da padre o madre forestieri nelle altre regioni d'Europa. Nicolai, p. 154. Interessati chiamavansi coloro, che avevano posto i loro capitali negli arrendamenti. < < J^ A. V V > > — 115 — un poggiuolo accanto alla bottega di un salsumaìo, apo- strofava violentemente, tra i pianti e le strida, il popolo circostante. Era la madre di Masaniello, che il dolore e la disperazione rendevano veneranda ed eloquente. L'in- felice rimproverava ai napoletani l'ingrata dimenticanza, con cui rimeritavano i beneficii ricevuti dai suoi figliuoli, mentre avevano lasciato trucidare barbaramente il primo e facevano ora perire nelle segrete del Castel Nuovo l'altro che pure tanto si era adoperato ed avrebbe ancora vo- luto adoperarsi in prò del popolo. Le parole e l'aspetto della misera genitrice, e più la memoria di Masaniello determinavano i propositi fin allora incerti e contraddit- torii della tiu-ba irritiata : A palazjso , morte a D. Giulio Genuino , ed ai traditori della patria. Viva Giovanni d'Amalfi ! gridò Ciommo Donnarununa, che era quel salsumaio pa- rente di Masaniello, di cui facemmo cenno più sopra. Il grido fu ripetuto dall'un canto all'altro della via del Pen- dino e della SeUaria, e più migliaia di uomini e di donne si avviarono tiunultuosamente verso il palazzo reale. Il viceré trovavasi allora in consiglio coi reggenti del Collaterale. Uso omai da qualche mese a queste con- tinue dimostrazioni del popolo, egli alle dimande dei tu- multanti di voler libero Giovanni d'Amalfi .e consegnato nelle loro mani D. Giulio Genoino, traditore della patria, per mezzo di Bernardino Ferrerò, usciere della sua ca- mera, rispose: Non potemeli soddisfare, aver mandato il primo a Gaeta per metterlo in sicuro dalle vendette dei suoi privati nemici, non trovarsi pimto l'altro nel castello, come essi dicevano; ritornassero dimque tranquilli alle loro case, ai quotidiani lavori, e non distiu-bassero la quiete della città. La risposta del viceré accrebbe l'ira dei rivoltosi. Alcimi di essi, volendo entrare nel palazzo, si avanzarono per far forza aUe porte, altri con sassi cominciarono a molestare gli alemanni e gli spagnuoli, che vi erano di guardia. Ma costoro memori di quanto < < ^ > > ■Y Y- — 116 — era avvenuto nella mattina del 7 luglio, erano preparati, giusta gli ordini del viceré, a respingere la forza con la forza. Trassero quindi una scarica di archibugiate sugli assalitori, alla quale parecchi ne caddero morti o feriti, tutti gli altri, oltremodo impauriti, si gettarono a terra o fuggirono ^). Le memorie del tempo narrano di una vecchia che scarmigliata, come una delle furie, inanimiva i lazzari ed i popolani all'assalto ed alla vendetta ; ne tacciono però il nome ^. A me pare assai verosimile che questa fosse la stessa Antonia, che l'amor materno rendeva fu- ribonda e non curante della propria vita. Io qui non dirò V irritazione del popolo alla novella sparsa per la città di questo avvenimento , V accorrere delle schiere di S. Lucia a Mare sotto il comando di Ono- frio Cafiero, e del Mercato e del Lavinaio guidate da Gen- naro Annese al Regio Palazzo, l'assalto e la presa dei monasteri della Croce, di S. Luigi e di S. Spirito, allora posti di rincontro al medesimo, e della collina di Pizzo- falcone che domina tutta la contrada, la morte del pre- sidente Cerniamo eseguita in mezzo della piazza della Sellaria, e finalmente le fazioni indi per cinque giorni combattute tra i popolani e gli spagnuoli. Omai si ve- niva a guerra aperta. Al grido di : viva il re e muoia il mal governo, succedeva l'altro di : viva il popolo, morte agli spa- gnuoli. Le barricate s'alzavano a Visitapoveri nella strada di Porto, a S. Lucia, in istrada Toledo. I cannoni di Ca- stel Nuovo e del Castel dell'Uovo traevano incessante- mente su tutte le vie. La città era dovunque piena di strage e di lutto. Se non che il Cardinal Filomarino, richie- stone da ambo le parti, anche questa volta s'interpose tra 1) V. Lettera del Card. Filomarino. Arch. stor. It IX, p. 390; e tutti gK scrittori della rivoluzione. Il Della Monica, Ms. cit. al f. 93 narra della madre di Masaniello. 2) De Turbi, Op, cit p. 137. < < J^ A. y > ■Y r — 117 — i contendenti. Dopo varie pratiche inutili , il buon prelato * ottenne la sospensione delle armi, e poscia ai 26 di agosto la pace. Nuove capitolazioni, nelle quaU principalmente stabilivasi la ripristinazione del sedile del Popolo nella stessa piazza della Sellaria, furono conchiuse e firmate, ed indi ai 7 settembre solennemente giurate dal viceré. Fatti son questi estranei al mio racconto ^). La seconda sollevazione, che erasi iniziata col nome di Gio- vanni di Amalfi, non si ricordò più di lui nella lotta, non ne fece motto alcuno nelle capitolazioni. In una notte — era il 4 settembre — un portiere di camera del viceré si presentò nelle stanze del Castel Nuo- vo, ove dimorava D. Giulio Genoiao con Fra Luca dcl- Tordine di Malta, poco fa pei meriti dello zio fatto ca- pitano di cavalli, e Giuseppe San Vincenzo, altro suo ni- pote , testé nominato giudice di Vicaria, e per ordine del viceré l' invitò a seguirlo. D. Giulio raccolse le sue carte, i nipoti il loro bisognevole, e tutti insieme partirono. Un profondo silenzio regnava nel castello. Dopo di aver at- traversato parecchi corridoi, scesero alcune scale e per la porta del so&corso uscirono nell'arsenale. Il soldato, che era di guardia, ad alcune parole dettegli dal portiere del viceré li lasciò passare. Nell'arsenale era pronta a salpare ima galea. D. Giulio ed i suoi nipoti vi entrarono, e poco dòpo la nave parti ^. 1) Di questa seconda sollevazione parlano più specificatamente il Eac- conto Ms., il HiccA, Istoria Ms. cit. , il Diario, ed altri. ^ Nel Diario Anonimo fol. 95, circa il 21 agosto si narra come il San Vincenzo, nipote del Canoino, si trovasse nel castello. « Ritrovandosi, leggesi « ivi, una grossa moltitudine di Popolo avanti la casa di Giovanni Zavaglio, « (Zevallos poscia del principe di Stigliano), in strata di Toleto, di guardia, per « non fare passare avanti li Spagnuoli, passò per detta strada Giuseppe alias « Peppe Sanvincenzo, quale in detto tempo era giudice criminale, lo piglia- « rono con molti strapazzi e li levarono la toga da sopra e lo buttarono in « terra, con dirli molte ingiurie e farli molti maltrattamenti, per la qual cosa « fu forzato ritirarsi in Castello nuovo, dove stava salvato D. Giulio Genoino, « suo zio »— In seguito col e. 2 delle Grazie, concessioni ecc. stipulate il 7 set- ■< < >V A. Y Nella stessa notte un'altra barca conduceva a Gaeta la madre, la zia e la sorella di Masaniello, che insieme al cognato di lui, non so per qual tradimento o caso erano ricadute nelle mani del viceré ^). D'altra parte due uomini gettavano in una sepol- tura della chiesa di S. Barbara una bara. Era il cada- vere di Giovanni d'Amalfi, poco prima strozzato segre- tamente neUa fossa del Miglio per ordine del Duca d'Ar- cos ^. La sola moglie di Masaniello , perchè gravida , era risparmiata in questa comune tragedia della sua fa- miglia, ed era riserbata dal destino a nuovi dolori ^. Scorsero alcuni mesi. La rivoluzione era entrata nella terza ed ultima fase, in cui al grido di: viva Dio ed U popolo, si era proclamata la serenissima real repubblica di Napoli, ed Errico di Lorena, Duca di Guisa, era stato chia- mato a governarla, come doge di essa. Un giorno verso la fine di novembre, o il principio di dicembre — le me- morie non lo precisano — questi, nell'entrare che faceva, come era soKto in ogni mattina, a sentir messa nella chiesa del Carmine, fii fermato da una donna vestita a > tembre fu stabilito che il Genoino ed i suoi nipoti fossero privati di tutti i carichi ed onori che avevano, e che fossero essi e loro discendenti in linea mascolina in infinitum disterrati dal regno , per aver macchinato falsamente contro il fedelissimo popolo. U Fuidoro, o Vincenzo d' Onofrio, in una postilla al Diario del Campanile f . 25, tratta della fine di D. Q-iulio G^enoino, e narra, che imbarcato coi suoi nipoti sopra il vascello di capitan Qiaime Canales di Majorca, andò in Sardegna, ove giunto, diede le lettere del Duca d'Arcos a quel viceré, e fu trattato amorevolmente con alloggiare in palaz zo per spazio di tre mesi e mezzo. Poscia, avendo deliberato di portarsi in Corte a Madrid, si parti di là, ed ammalatosi per via, sbarcò a Porto Maone, ove morì, e fu se- polto nella chiesa maggiore di Majorca. 1) Queste parenti di Masaniello dopo qualche tempo furono ivi fatte morire. Càpecelatbo, Diario , II, 360. U Brusoni Stor. i' It lib. XVI , p. 499 parla pure della sorella e del cognato di Masaniello, ed anche di un loro fi- gliuoletto di anni tre. ^ Capeceiatro, Diario, II, 7; Campanile, Diario, f. 13. B) Del figlio di Masaniello, maschio o femina che fusse, non ho trovato memoria nei registri parrocchiali di S. Caterina in foro magno. Bisogna sup- porre che o la Bernardina dopo questo tempo avesse dovuto sconciarsi, o che avesse partorito nel distretto di altra parrocchia. < A A. — 119 — bruno e velata, che, ìnginocchiatasegli innanzi, gli presen- tava piangendo un memoriale. H Duca con la gentilezza e con la galanteria propria della sua nazione , e che egli possedeva al sommo gi*ado , invitò la donna ad alzarsi, DICA DI GUISA Q. de Montemayor fot. da una stampa cmtempomìiea e volto ad Agostino di Lieto, capitano della sua guar- dia, che gh era vicino, gU domandò chi fosse quell'infe- hce. È la vedova di Masaniello, rispose colui, che chiede aiuto e soccorso da vostra Altezza serenissima. — E non le man- — y y — 120 — ^ cherà né Vuno, né Valtro, disse commosso il Duca, la ve- dova di colui, che iniziò ti movimento popolare di Napoli , e che moriva per liberare Upqpclo dall' oppressione spagnuóta^ ha dritto alla gratitudine deUa repubblica. Indi prendendosi il memoriale da mano della Bernardina e consegnandolo al padre Capece, suo confessore, che pur lo seguiva, de- cretava che fossero assegnati alla medesima 50 scudi al mese ^). Ma questa fortuna della moglie di Masaniello non fu meno efimera delle altre. Non andò guari che nel 6 aprile dell'anno seguente gli spagnuoli, spenta la rivoluzione e caduto prigione il Guisa, occuparono quella parte della città che si teneva pel popolo. Allora il conte d'Ognat- te, nuovo viceré del regno, mentre che promulgava una completa amnistia, cominciava una lenta ma terribile rea- zione contro il passato. Ora sotto un pretesto ed ora sotto im altro, tutti coloro, che avevano preso parte alle pas- sate rivoluzioni, erano condannati a morte, o condotti in galera. I più accorti non si fidarono delle promesse spa- gnuole ed in numero di circa undicimila, come ricordano le memorie del tempo, si ftiggirono a Roma. E la Bernardina ? Col ritomo degli spagnuoli tornò nella sua casa il bisogno e la miseria , tristi e spesso poco onesti consigKeri. Le passate guerre e lo scarso ricolto avevano prodotto una mancanza tale di grano e delle altre civaie, che nella nostra città potevasi scorgere quasi la carestia. L'infeUce donna senza parenti, senza amici, senza ajuto alcimo, non aveva altra alternativa che la fame o il disonore. Bella e giovine ancora, cedette alle seduzioni del vizio. In uno di quei vichi del Borgo di > 1) TuBOE-LoREDAKy État de la répuhlique de Naples p. 71. H libro è scrìtto sulle note dello stesso P. Capece, confessore del Duca di Guisa. Ivi si dice che il fatto avvenne nelle feste di Natale. 11 Duca di Guisa però si vanta di aver egli mandato a chiamare la Bernardina per soccorrerla , a fin di gra- tificarsi il popolo. Memorie del Duca di Ouim, t. I, p. 277. < A, V y — 121 — S. Antonio Abbate, ove miserabili donne facevan mer- cato del loro corpo, la vedova di Masaniello fu costretta a menare una vita di vergogna e di strapazzi ^). Spesso i soldati spagnuoli, che, per la cmiosità o per lo sfogo di brutali voglie, colà si conducevano, dopo averla go- i^ duta, aggiungevano all'onta il danno e l'insulto, e bef- fandola e motteggiandola col titolo altra volta cosi per breve tempo ottenuto, negavano alla meschina il prezzo fii del proprio disonore. Quei pochi giorni di fortuna, che le sparirono tosto come una brillante meteora , erano al- e lora per lei argomento maggiore di dolori e di oltraggi, i Eppure in quel tempo, come a questo proposito il Fol- lie ricorda, Masaniello spesso usava della sua autorità per salvare gli spagnuoU dal fttrore del popolo. Egli K mandava via, dicendo esser soldati del viceré suo com- il al > 1) Lo stato triste e miserabile, in cui si trovò la plebe in Napoli nel- r inverno del 1648-1649 nei seguenti termini è esposto in una scrittura con- temporanea : « Furono cosi grandi et inauditi i disordini cagionati dai pò - « polari tumulti che , quelli per divina misericordia quietati , nell' anno « seguente 1648 restò nulla di meno cosi nella città di Napoli come in tutto « il Regno tanta estrema miseria, cosi gran penuria di tutte le cose, che il « prezzo pei grani ascese al valore di due. sei e pili il tomolo, e di tutte le « altre cose commestibili era la valuta esorbitantissima. Perlochè i poveri « e particolarmente i figliuoli ( che allora erano in gran copia ) orfani de - « relitti, per aver la maggior parte perduti i loro padri o ammazzati o « morti di disagio , si trovavano in estrema necessità a segno tale che « estenuati dallq^ fame, dal freddo e da' cotidiani patimenti andavano mendi- « cando il vitto. E quel che era peggio non essendo chi lor desse qualche « limosina (per ritrovarsi in quel tempo ognuno secondo il suo stato in « qualche bisogno) miseramente si morivano nelle pubbliche strade. E molti « che né anche avevano luogo da ricettarsi dormivano la notte sotto qualche « supportico, tenna o baracca, o in altro luogo simile, dove oppressi dall' ec- « cessivo freddo che fu in quell' anno, et estenuati dalla fame si ritrovavano « la mattina morti, restando insepolti ed alle volte anche mangiati dai cani. « Taccio le miserie delle povere figliuole di qualche età, che correvano gran - « dissimo pericolo nell'onore e nell'offesa di Dio. » Del Conservatorio delle orfane di 8. Nicola, Notizia aggiunta al Campanile, Diario fol. 104, forse scrittura dello stesso. — Che Bernardina fosse poi divenuta pubblica mer e- trice nel boi^ di S. Antonio Abbate lo affermano il Capecelatbo U, 860, ed il Pollio, la cui testimonianza più innanzi riporterò. A A. < < 10 V V > — 122 — pare, a cui spettava dar loro castigo, e cod li faceva met- tere in salvo ^). La peste finalinente, che dopo pochi armi desolò la città ed il regno, e colpi indistintamente gli oppressori e gU oppressi, pose nel 1656 termine ^ aUe miserie della sciagurata, che era stata moglie di Masaniello. < « « « « « « « « « 1) « Mentxe che regnava Thomaso Amelio, dice il PoUio colla soa rozza ed ingenua maniera, li furono portati molti soldati Spagnuoli presi da quelli del popolo et (Masaniello) li mandava via dicendo: questi sono soldati di S. £. mio compare, il quale l' intende parlare et è buono a darli castigo, et li facea portar salvi et questo più volte succede ante di me; benché per mercè la sua moglie di poi la morte di esso fu cercata et spogliata di quanto havea, et non avendo come campare si pose al vor- tello (bordello); et quello che più importa molte volte venevano da lei molti Spagnuoli a darli la burla; da poi averla goduta li faceano molti mancamenti...... Una moglie di Capitan generale, che mai contradisse la Corona, commare di S. £. il quale più volte V haveva honorata in paLaggio con la signora Viceregina non ponerla dentro un monastero, o darle qual- che cosa da accasarla. Cosi passò il negotio, fatta meretrice pubblica al co- mando di tutti, vista da me al bordello, con molta meraviglia e scandolo dei contemplativi Poluo, Ms. f. 48. *) Cafecelatbo, Diario, IH, 360. > A. < J^ Y Y > > A. < APPENDICE < r V Y y DOCUMENTI L Lettera di Giulio Genoino agli Accademici Oziosi INTORNO alle PRETENSIONI DEL POPOLO DI NaPOLI Aììi Signori Accademici Otiosi — Mi è stato riferito eh* io sia stato ripreso da alcuni della Vostra Accademia de certo mio parla- mento fatto pubblicamente a Sua Eccellenza in Palazzo nella sala dell' Ecc. della Signora Yiceregina, lunedi li 6 del presente mese di Maggio 1620. Provate con dire che in quello sia stato da me usata arte oratoria e mordace. Quel mio ragionamento fu a fatto aU' im- provviso, a richiesta di alcuni miei Cittadini , et se in qualche cosa impensatamente non dicevole fussi transcorso, mi faranno piacere le Signorie Vostre (scrivendoli io a quest'eflfetto) correggermi, et perchè non me si attribuisca dal volgo quello che io non ho detto, vengo hora a punto a scriverli quanto io all' hora dissi, che altro non fu che questo: Sono venuto, Signore Eccellentissioio, da parte di questo mio Popolo qui presente ad esporre querele, sperar giustizia, et impetrar gratie. Querele , Si- gnor £gc.™o. Si è inteso che molti nobili di piazza (salva però la pace di co- loro che non intervengono a tal consiglio) facciano conventicoli, conspirazioni, et monopolii in diversi privati luochi, case, chiese et ridotti; cose detestabili et da ogni legge prohibite; et si questa nobiltà ha da fare alcun parlamento, ha le sue pubbliche Piazze, dove gionta potrà deliberare et concludere ogni suo parlamento, si come fa questo mio Popolo. Quello che questo mio Popolo so- spetta contro detta nobiltà, è che quanto dichi et operi sia cospirazione contro di esso et contro di chi FEccellenza Sua può immaginarsi, e per quanto vedo, fa la mira al piede per colpire in testa : Tuno et l'altro capo prenderà peso di >V A > — 126 — provare questo mìo Popolo. Intenderà forsi questa nobiltà in questo modo pri- varci di quel bene ove è fondata ogni nostra speranza; non sarà gianmiai et s'inganna di lungo. Pretenderà forsi suppeditare questo mio Popolo? Non con- viene, essendo suo affezionatissimo. Intende forsi esser nostra tiranna? Né que- sto, mentre stiamo sotto regia protezione. Finalmente pretenderà farci suoi schiavi? H che non sarà giammai, poiché se al proprio nostro Be non havemo altro obbligo se non di ^delissimo vassallaggio , come si presumerà che dob- biamo esser schiavi a questa privata nobiltà? Erra certamente alla lunga: do- vrebbe al fine porre mente a tante cose, né fastidirse pili Torecchia del nostro He di tante querele et messi, et lasciar quieta la Cattolica Maestà attendere ad altro, et a cose più gravi che in queste nostre gare, pretensioni et liti, et quelle fra noi con amorevolezza teiminare et finire ; al che con vivo affetto di cuore preghiamo la detta nobiltà et quelle debbiamo con amorevolezza vicendevole componere; nel che l'Eccellenza Sua non sia più giudice nostro, ma amiche- vole compromissore. A questo con ardente affetto di cuore anzi con vive lagrime da parte di questo mio Popolo prego voi tutti Signori qua presenti che vogliate adoprare ogni vostro valore, potere et forza, che questa nobiltà resti quieta di vivere unita col suo carissimo Popolo, e che gli ceda quella parte di autorità che nelle cose comuni di giustitia li conviene, non l'aggravi più, ma lo sollevi a ciò non hab- bia occasione alla fine darsi in preda di disperatone, et quello che detta no- bQtà con occulti conventicoli contro di esso consulta l'habbia a dirlo in pub- blica piazza. Viviamo dunque in tranquilla pace. Anzi si è risoluto questo mio Popolo chiamare con citatorio pubblico editto detta nobiltà a giusto et cmore- vole partito di quiete et questo acciò sia manifesto appresso Iddio et il mondo tutto quanto questo mio Popolo desideri la tranquilla pace. Et voi. Signor £cc.°^, non volendo questa nobiltà inchinare l'orecchia a pre- ghiere di questo Popolo, et volendo più oltre procedere in dette sue ostinate cospirationi, allora la pregamo voglia usare il debito rigore della sua giustizia contra li trasgressori, come disturbatori della universale quiete et pace. Et quando che no, avemo, signore EccellentÌEeimo, un volgare nostro napoletano prover- bio che « il mal guadagno sparte compagnia ». Si é visto, signore Ecc.™>, che da questa nostra comunità (ma per opera non so de chi) s'è causato un mal guadagno; si sa quanti milioni di oro deve questa nostra Città; si dovrebbe per ragione, per sollevamento di quella, dividere questo peso, et la mità pagarne il nostro Popolo et l'altra mità la detta nobiltà. Ma ecco, signore Ecc.™», come quella mi risponde: Questo non è giusto né conviene, che, essendo il Popolo tanto numeroso et la nobiltà tanto pochi, paghi la maggior parte il Popolo et una minima parte paghi la Nobiltà ; al che li dico come li' pesi sono tutti del Popolo et gK onori tutti della Nobiltà ? Queste, signore Eccellentissimo, sono male spartenze: leonina divisio. E stabilito per autorità di legge che nessuno a forza sia tenuto stare in compagnia ; per ciò quando la nobiltà si vorrà attribuire più di quello, che le tocca di questa nostra Comunità et unione, allhora è resoluto questo mio Po- polo di vivere dissunito da quella, et da mo le dice: Addio, restate in pace. Questo basti all'esponere di querele et aspettar giustitia. Resta, signore Ec- cellentissimo, de impetrar gratia. Et primo sa l'Eccellenza Sua quanto è povero questo mio unito Popolo che non ha altro eccetto il solo legato della felice memoria del Serenissimo Be Cat- < > < A_ V > — 127 — tolico, che appena basta a distribuire lì legati pii, et pie dispositioni; perciò è resolato fra sé stesso fare una tassa et per volontarie contrìbutioni fare almeno la somma di ducati 30000, et quelli poi convertire in compra de annue intrate, anzi quelli de anno in anno cumulare, acciocché si possa di dette entrate sog- giovare in ogni urgente bisogno, mantenimento di lite, et tutte altre cose in comune et in privato, che sarà espediente di detto popolo, conforme li bisogni che di giorno in giorno potranno occorrere a questa volontaria attìone. Si sup- plica il beneplacito et consenso di Vostra Eccellenza. 2. Mira l'Eccellenza Sua questa nobiltà, che sta nel suo cospetto, come sta pregiata, pomposa et ornata. Mira all' incontro questo mio Popolo come sta hu- mile et con quelle sue positive vesti, che per decentia del loro stato cosi con- viene stiano vestiti. Perciocché si supplica Vostra Eccellenza che, per orna- mento e decoro di questo Popolo, voglia permettere l'Eccellenza Sua che a que- sti populari Capitami et Consultori se li permetta vestire di una veste lunga talare a modo di senatoria veste, et di quella servirse assolutamente in tutte le pubbliche functioni che lui farà, et ^^^^a^do compare all'aspetto dell'Eccel- lenza Sua per cose pubbliche. Questo domando per onore et decoro di questo mio Popolo et a ciò reveriscano tanto più l'Eccellenza Soa et a sua gloria. 8. Ha stabilito questo mio Popolo deputare sei di ciascuno di detti Capi- tami e Consultori ogni di, acciocché comparino ogni mattina avanti l'Eccellenza Sua, et queUa umilmente salutino et se li offeriscano per servi et le ricordino che li sono fìdelissimL 4. Instantemente pregano l'Eccellenza Sua almeno si lasci personalmente vedere una volta la settimana nella Piazza di questo suo Popolo, acciocché ve- dendo il suo aspetto viva lieto et sicuro. 5. et ultimo. Signore Ecc.™», le propongo questo che é successo a me me- desimo, che andando l'altro hieri a pigliare possesso di questo mio ufficio ebbe loco appena di unirsi questo popolo ad esercitare detto atto, attesoché quelli Beverendi Padri di Santo Agostino, per erigere il Campanile, hanno sfabbri- cato quello antichissimo edifizio dove se univa detto Popolo. Perciò non ha luogo dove unitamente congregarsi. Si é resoluto edificare un particular luogo dove si possa per lo advenire quello unirsi, quale s' intitolerà : Seggio della Piazza Popolare, e là possa unito parlare di tutte pubbliche cose occorrenti. Tutte queste sono gratie, che si sup- plica l'Eccellenza Sua potrà a quello facilmente concedere, mentrechè sono cose volontarie et non pregiuditiali al terzo et per maggior onore et quiete di detto popolo, del che humilmente supplica l'Eccellenza Sua e gli fa reverenza. Ho det- to. Ecc.™» Signore. Questo è quanto io esposi nel mio ragionamento et non altro, et si pure il volgo o altra persona dicesse aver detto altro di que- sto, erra. Vedete dunque se in detto ragionamento ho commesso alcun eccesso, riceverò volentieri l'emenda et correzione, del che instantemente li prego. E gli fo humilissima riverenza. Delle Si- gnorie Vostre Servitore AfPezionatissimo Giulio Genoino Eletto del Popolo Napolet < > < A V > > 128 — ^ n. Lbtteba bell'Eletto e bella Piazza popolare a D. Baldassabbe ZUNICA presidente BEL CoNSIOUO b' ItALIA, CON CUI SI ESPON- GONO LE QUERELE DI ESSA CONTRO LE PlAZZE NOBILI. < Illustrissimo ed Eccellentìssimo Signore — Sono tanti et tali gli aggravii et vilipendii che questa nostra Piazza del fidelissimo Popolo napoletano (tanto devoto della Maestà Sua et dei suoi reali Ministri, et in particolare di Vostra Eccellenza) riceve giornal- mente dalle piazze de' Nobili in disservizio di Dio, del Be N. S. et del ben publico, clie obbligheriano noi, clie la governiamo, a ve- nire o mandare cento et mille volte l'iiora in codesta Beai Corte ai piedi deUa Maestà Sua e suoi Consigli per gli opportuni ri- medi. Ma, poiché questo non ci è permesso, mercè che questa povera Piazza non ha modo dello spendere, come l' hanno quelle de' NobiU, che (per le prerogative che ora godono di poter quat- tro di esse sole £Etr conclusione di Città, benché la nostra Piazza pretenda non senza raggione o la parità de' voti, o che non possa farsi cosa senza la nostra saputa, giacché cosi conviene al ser- vizio del pubblico e del Be), spendono e spandono del peculio universale come lor pare et piace, ancorché ci habbiano cosi poca parte; poiché l'entrate della Città si cavano mille volte più da questo Popolo numerosissimo che da' Nobili che sono cosi pochi; habbiamo stimato ben degno , se non in tutto ahneno in parte, ragguagliamo Y. E. Capo del Consiglio d'Italia, et sopra modo zelante del servizio di Sua Maestà et benefìcio de' suoi sudditi, et supplicarla con questa (se pure la nostra buona fortuna vuole che ella capiti nelle sue mani, poiché non possiamo assicurarcene per la potenza e stratagemmi degU avversari), a degnarsi far que- ste nostre giuste querele pervenire alle reaU orecchie della Mae- stà Sua, acciocché possa essa nostra fidelissima Piazza, riportarne quelle gratie et provvigioni che la giustizia de' suoi miserabili casi ricerca; assicurando Y. E. che non meno sarà opera degna di vera pietà Christiana l' adoperarsi essa con la Maestà del No- stro Be a prò di questo fidelissimo Popolo, di quello che sarebbe se l'Eccellenza Sua cavasse dalla schiavitudine molte migliaia di persone. Saprà dunque Y. E. che tra le molte cose, nelle quali é ve- nuta e viene la nostra fidelissima Piazza aggravata et vilipesa < A. > y y Y- — 129 — da' Nobili (tacendo l'altre peggiori per hora per non tanto fastidirla con la lunghezza di questa lettera), ve ne sono tre che a nostra istanza si discutono in questo regio Collaterale. L'una è che quattro delle cinque Piazze nobili conclusero ad Agosto passato, ciascuna da per sé separatamente, contro la forma del dovere e del solito , che dovesse tenersi aggente perpetuo in cotesta Corte, et in effetto, senza chiamare la nostra Piazza, eles- sero il Dottor Giovan Camillo Barnaba, che quivi resiede, con provvisione di 600 ducati 1' anno , a tempo che questa Città va debitrice sinhora (e Dio perdoni a coloro, per colpa de' quali ciò è avvenuto) in più di 11 milioni, senza le tante centinaia di mi- gliaia di ducati che deve di terze vecchie, non ad essi Nobili, Signore Eccellentissimo, perchè han ben saputo e potuto pagarsi; ma a tante povere vedove, pupilli et altri miserabili del popolo. L'altra, che a' 9 di Settembre anche passato, deputarono et mandarono per ambasciatore in codesta medesima Beai Corte il Padre Taruggi de' Gelormini, senza il nostro intervento e saputa, e non obstante che dal Collaterale Consiglio fosse stato tre giorni prima , mediante provvisione agU stessi nobili notificata a' 6 del medesimo mese, ordinato che non si mandasse. E la terza, che havendo la stessa piazza de' Nobili firmata una capitolazione, sotto il titolo di Riforma àé Tribunali della nostra Città, per la quale si levano e tolgono affatto non pure alla nostra fidelissima Piazza et ai suoi Eletti le loro antiche raggioni et autorità, ma anche a' regii Ministri che in essi TribnnaU as- sistono a petition nostra , hanno rechiesto essa nostra Piazza a concorrere alla detta riforma , et noi habbiamo ricusato di farlo per essere cosa di tanto nostro preiudizio e della Beale giuri- dittione. Intorno alle due prime V. E. resterà servita veder dalle qui incluse copie come già per decreto del Signor Begente Valen- zuela , commissario in questo particolare delegato dall' Illustriss. Signor Cardinale Viceré , sta sospesa l'elettione di Aggente, et per decreto parimente di tutto il Collaterale , annullata 1' amba- sceria del Padre Taruggi, come fatte illegittimamente et contro la forma del dovere. Et in quanto alla terza, già si sta da noi facendo istanza appresso questi signori Beggenti che sieno intese le nostre rag- gioni. Non lasciando di dire a V. E. che i sudetti Nobili oltre l'haver privato alcuni de' nostri di qualche carica o oflSicio con- feritogU dalle lor Piazze , senz' altra caggione che di non haver < A. 17 > > V ^ — 130 — voluto aderire a' loro disegni, si sono lasciati trasportar dall'odio conceputo contra di noi, solo perchè habbiamo voluto difendere le ragioni della nostra Piazza con termini della giustizia contra le loro irragionevoli pretensioni et conclusioni, che e privata et pubblicamente in absenza et in presenza nostra non si sono astenuti dal maltrattarne di mille ingiurie et minaccie, come ne abbiamo dato parte all' Bl. signor Cardinal Viceré et suo Collaterale Con- siglio , forse per provocarci a fame qualche resentimento da per noi, per lo quale poi avessero potuto tacciarne di persone rivoltose et inquiete. Ma noi habbiamo il tutto sopportato con animo piucchè forte per non cagionare qualche giusta alterazione al nostro fede- lissimo Popolo, il quale, come che non è mai stato soUto di rice- vere simili affironti dalla Nobiltà nelle persone de' suoi Eletto , Capitani et Consoltori, da che è stata fondata questa Città, facil- mente havrebbe potuto far qualche movimento di vendetta , se noi havessimo cercato di rissentirci dell' aggravio fattone, e non havessimo procurato diminuire al possibile la gravità delle cose appresso quelli de' nostri quartieri. Anzi, hierimatina, 27 del cor- rente, vigilia dell'odierna festa de' gloriosissimi Apostoli Simeone e G-iuda, tutte le Cinque piazze Nobili ad una stess'hora, imite, ciascuna però nella sua, con manifesto monopolio (con riverenza) conclusero che si facessero deputati, i quali potessero, per mezzo del sudetto Padre Taruggi asserto ambasciadore o d'altri, non pur resentirsi delle istanze fatte (com' essi dicono) tanto licen- ziosamente dalla nostra Piazza in disservizio del Publico , ma dar parte a S. M. degli aggravii , che dicono haver patiti nel particolare delle istanze fatte anche da noi intomo all' haver vo- luto impedire il detto Padre, dove medesimamente si dolgono e del signor Viceré (di ninno de' quali non mai si contentarono) che del Collaterale , per ordine del quale , con somma giustitia, si prende informationi contro i deputati e' hanno spedito il me- desimo Padre , cosa che mai si ricorda e' abbiano fatto contro questa fedeUssima Piazza, della quale sempre hanno fatto qualche stima , fuorché da alcuni mesi in qua , sebben crediamo ( se pur ad altro non hanno l'occhio) che tutto ciò habbiano fatto et fac- ciano per atterrirci et farci desistere dalle oppositioni, che tanto giustamente facciamo alle loro ingiuste conclusioni et preten- sioni, et ottenere per questa strada quanto bramano, poiché veg- gono che questa nostra fideUssima Piazza é hoggidi, per gratia d'Iddio , retta e governata da persone da bene (se pure é lecito lodarci con la propria bocca) timorose di Dio e della giustitia, A. < < ^-H V > > — 131 — et sopratutto amiche della pace e zelose del servitio della M. S. et in particolare dal suo Eletto, di conosciutissima bontà e qua- lità. Però noi staremo sempre fermi e saldi et attenderemo coi termini del dovere e della giustizia la difesa delle nostre rag- gioni, sintanto clie da chi può comandarci non ci verrà altrimente commesso et ordinato , ancorché ci fosse con notabile preiudizio dell' havere, dell' honore et della vita di tutti noi. Abbiamo dunque, signore Eccellentissimo, voluto narrare que- ste cose a Vostra Eccellenza, sia perchè Ella ne stia com' è di dovere informata, si anche, come detto abbiamo, perchè ci faccia la gratia col suo christianissimo zelo di farlo a saper a S. M. acciocché et Ella et Y. E. col suo Consiglio non pure intendano che sud- detti Aggente et Ambasciadore sono stati dechiarati nulli, come eletti contro la forma della raggione e che come tali non de- vono esser ammessi et ascoltati, ma anche la M. S. provvegga con la sua giusta e potente mano in maniera che non siamo a questo modo maltrattati e dispreggiati da questi Nobili che ad altro non aspirano che a farsi soU et assoluti padroni del ma- neggio delle cose di questa Città , senza la nostra fidelissima Piazza del Popolo ci abbia una menoma parte. E per fine ba- ciando a Vostra Ecc. humilissima et riverentemente le mani le preghiamo da Sua Divina Maestà il colmo di ogni felicità e com- pita grandezza — Di Napoli a 28 Ottobre 1622 — HumiUssimi e Devotissimi Servi — L' eletto, Capitani e Consoltori della piazza del fed. Popolo Nap. — Paolo Vespàio , eletto — Anello Auricola^ cons. — Orlando JPrencipe , capitano — Giacomo Pinto , cons. — Giuseppe Palmisano, capitano — Giov. Ang. della Monica, cons. — Giov. Batt. Pelliccia , capit. — Pietif' Antonio Ferrante , cons. et capit. — Andrea Jf^fce, capit. — Loise Bispolo, Cons. et Cap. — Agost de Juliis, cap. — Agost. Miranda, Cons. e capit. — Francesco cPAnna, capit. — Frane. Schettino , capit. — Horatio Pisano, capit. — Giov. Loise Saggio , capit. — Giuseppe Maffeo , capitano — Gìxa). Tom- maso Giovine, capit. — Piett^ Antonio Sorrentino , cap. — Genn. Fasano, cap. — Santolo Manso, cap. — Ottavio Cassano, cap. — Mar- cello Manna , cap. — Bened. Mancino , cap. — Ottavio di Mayo, cap. — Indio di Maria, cap. — Giov. Andrea Sances, capitano — Giov. Andrea Canale , cap. — N. Giov. Vinc. Petite, cap. — Ce- sare Campanile , cap. — Paolino S Amato , cap. — N. Giov. Ber- nardino de Juliano, Cap. et Secr. » < < "Y" 1 BaIIDO, con cui si aiPETE l'oBDIMB di doversi BIVALEBE LE BOBE MOBILI, CHE BEANO STATE FBB8B DA DITSBSE OASB PEB OBDINB DI Masaniello. Fhilippus Bei Gratia Bez. ete. Per mi altro nostro Banno fu ordinato che chi tenea robbe mobili di qualsiTOgha conditione prese da diverse case , borghi e casali di questa fedelissima Città, consistentino in gioie, in oro, argento di qualsivoglia maniera, drappi d'oro, seta et altro prese per ordine del g. Masaniello d' ATTiaìfi o per altro ordine le deb- biano rivelare sotto pena della confiscazioue et altre a nostro ar- bitrio. E perchè molti pochi hanno rivelato appresso di chi fossero dette robbe , per questo acciò si possa provvedere di giustitia vogliamo che in termine di ventiquattro ore doppo la pubblicatione di questo lo debbiano rivelare all'Eletto o al Presidente (ìenoino delegato per S. E. E se in questo termine di ventiquattr' ore doppo l' affis- sione del presente Banno non le liveleranno si dà indulto a tatti quelli, quaU etiam saranno stati compUci et oltrechà ^se revele- ranno in potere di ohi si ritroveranno dette robbe , se le darà la terza parte della pena , nella quale saranno incorsi li trasgres- sorìf quale se li darà sicuramente. Dat. Neap. die 19 Julii 1647 — JZ Presii^^, D. Oiulio Genoino. D. Mabzio Scalbsio, segretario. A- r 3 2044 050 528 850 THE BORROWER WILL BE CHARGED ANOVERDUE FEE IFTHIS BOOK IS NOT RETURNED TO THE LIBRARY ON OR BEFORE THE l.AST DATE STAMPED BELOW- NON-RECEIPT OF OVERDUE NOTICES DOES NOT EXEMPT THE BORROWER FROM OVERDUE FEES. -7^ S^